Per l’intera mattinata del 4 aprile 1921, cento anni fa, Ellen West restò a letto, dove consumò la prima colazione. A mezzogiorno mangiò molto e si sentì soddisfatta, come non le accadeva da anni. Passeggiò in giardino, con il marito Karl, e lesse poesie di Rilke, Storm, Goethe e Tennyson. Più tardi, bevve il caffè e assaggiò cioccolatini e uova pasquali. A sera, infine, cenò in camera e poi si fece portare del tè a cui aggiunse il veleno: dosi elevate di barbiturici e di morfina. Il giorno dopo, appariva nella morte – come mai nella vita – tranquilla e felice e in pace, scrisse il marito nel resoconto che inviò al dottor Binswanger, direttore della Clinica Bellevue di Kreuzlingen, in Svizzera.
Soltanto ventitré anni dopo, nel 1944, Ludwig Binswanger (1881-1966), psichiatra svizzero fondatore della Daseinsanalyse e protagonista della psichiatria fenomenologica, pubblicherà Il caso Ellen West. L’opera diventerà una tra le più famose analisi cliniche, redatta intorno alla sofferenza psicologico-esistenziale e alla morte, all’età di 33 anni, di una persona straordinaria chiamata Ellen West, uno pseudonimo che cela la storia di una donna nata nel 1888 in una famiglia tedesca di religione ebraica emigrata in Europa quando lei aveva dieci anni. In Italia, il famoso saggio di Binswanger si può trovare grazie alle edizioni SE (2001 e 2019) ed Einaudi (2019).
Con il termine Daseinsanalyse si indica l’analisi esistenziale definita nell’ambito dell’antropologia fenomenologica che Ludwig Binswanger sviluppò sulla base filosofica della fenomenologia di Edmund Husserl (1859-1938) e dell’ontologia esistenzialista di Martin Heidegger (1889-1976). In particolare, lo psichiatra svizzero riconsiderò i concetti di salute e di malattia mentale, ridefinendo il problema della cura della sofferenza psichica. Restituendo alla pratica terapeutica della psichiatria un fondamento umano, l’autore affermava che il soggetto sano e quello alienato appartengono allo stesso mondo, anche se lo percepiscono in maniera diversa e hanno stili comportamentali differenti. Nell’approccio terapeutico che si instaura tra medico e paziente, insomma, comprendere l’altro significa entrare nel suo essere-nel-mondo, in una connessione di senso realizzata attraverso il linguaggio, le emozioni e accogliendo il sofferente psichico come un partner esistenziale.
La storia personale della giovane Ellen West, invece, ci racconta di un’intelligente, appassionata e brillante studentessa a cui piaceva leggere e scrivere poesie. Definita testarda e disobbediente nel carattere, la ragazza visse male l’età dell’adolescenza per la rigidità formale dell’ambiente alto-borghese al quale apparteneva. A vent’anni, interruppe il fidanzamento con un giovane straniero “romantico”, come venne definito dai familiari, mentre il primo disagio psicologico lo ebbe nel 1907, forse dopo un viaggio in Italia. Cominciò, infatti, ad avere paura di ingrassare e da allora iniziarono lunghi periodi di sofferenze, con disturbi alimentari e ossessioni suicide. A ventotto anni, Ellen ebbe il permesso familiare di sposare suo cugino Karl, un avvocato. La giovane, intanto, prendeva molte medicine per non mettere peso e questo le causò un aborto. Dopo tre anni di vita matrimoniale, decise di affidarsi, d’intesa con il marito, alle cure psicologiche dei medici, che fecero diagnosi differenti del suo stato psicopatologico: dalla malinconia alla nevrosi ossessiva e, infine, alla schizofrenia.
Ellen divenne paziente del dottor Binswanger nel gennaio del 1921 e trascorse quasi tre mesi nella Clinica Bellevue. Dopo un inizio positivo, le condizioni di disagio psichico si aggravarono, con due tentativi di suicidio. Il marito Karl rifiutò il passaggio della moglie in un reparto chiuso e, anche su richiesta della paziente, Binswanger la dimise, pur sapendo che Ellen avrebbe messo in atto il suo progetto di morte che realizzò alcuni giorni dopo.
Dalla pubblicazione de Il caso Ellen West, il comportamento di Ludwig Binswanger fu al centro della discussione intorno alla storia clinica perché l’autore spiegò la drammatica decisione affermando che con il suicidio Ellen aveva realizzato se stessa. L’anoressia nervosa di cui soffriva e la simbolizzazione della vita e della morte, che avveniva intorno all’ossessione del cibo, le avevano reso accettabile il tragico epilogo. Le dimissioni della paziente in grave stato di disagio, infine, erano state, secondo lo psichiatra svizzero, un atto di ammirazione e di rispetto.
Tra le tante critiche, ricordiamo quella dello psicologo umanista Carl Rogers (1902-1987), assertore della terapia incentrata sul cliente, che rimase sconvolto dal fatto che Ellen non fosse stata indirizzata verso un’apertura alle esperienze che erano in contraddizione con il mondo sociale, permettendole di comunicare con se stessa e sviluppare relazioni positive con gli altri. Ad altri studiosi, la decisione di Binswanger sembrò un tradimento della Daseinsanalyse, una sorta di nichilismo terapeutico.
La lacerazione esistenziale di una donna in conflitto con il proprio mondo – che Binswanger descrisse come opposizione tra il mondo etereo dei desideri giovanili e il mondo sepolcrale della realtà terrena – è descritta mirabilmente, in effetti, in una poesia di Ellen, Die bösen Gedanken (I cattivi pensieri), che inizia, nella versione italiana di Giacomo Conserva, con i versi:
Da sola non oso più
andare nel bosco,
poiché dietro ad ogni albero
stanno gli spiriti malvagi.
Da dove venivano gli “spiriti malvagi” che incutevano timore alla giovane Ellen? Più avanti, sono proprio loro che glielo spiegano:
Un tempo eravamo i tuoi pensieri,
le tue speranze orgogliose e pure!
Ma adesso dove sono i tuoi progetti?
I tuoi sogni?
Nella storia della cultura del XX secolo, Ludwig Binswanger ha sviluppato l’antropologia fenomenologica in opposizione alle dottrine psichiatriche di tipo organicistico. L’approccio terapeutico è stato spostato dalla considerazione oggettivante del paziente a quella nella quale la soggettività e la comprensione della storia personale del sofferente psichico vengono messe in gioco in un relazione duale e più umana.
Tuttavia, tra il dire della teoria e il fare della pratica psicoterapeutica – inserita in un contesto storico, sociale e culturale non sempre favorevole alla concreta attuazione – ci sono le storie di vita di persone come Ellen, una donna sensibile e amante della bellezza del mondo che aveva percepito la trasformazione dei sogni giovanili in spiriti malvagi. Questi la ossessionavano tanto che preferì prendere il veleno, in un giorno d’aprile di un secolo fa, perché non riusciva più a sopportare la pesantezza del suo corpo, della prigione familiare senza sbarre e le giornate piene di cattivi pensieri.