L’artista del Neukunstgruppe è e deve necessariamente essere se stesso, deve essere un creatore, deve saper creare i propri fondamenti artistici, senza utilizzare tutto il patrimonio del passato e della tradizione.
Queste le parole di Egon Schiele, pittore austriaco del primo Novecento, una tra le personalità artistiche più rilevanti dell’Espressionismo viennese. Le pronunciò nel 1909 come manifesto del suo nuovo gruppo, Neukunstgruppe, appunto, fondato assieme al collega Oskar Kokoschka in risposta ai limiti e alle censure imposti dall’Accademia dell’epoca. Proprio così. Egon Schiele non rientrava nella schiera dei bravi e rispettabili artisti. Sarà curioso e oltremodo intrigante sapere che, se a quel tempo avessero chiesto chi fosse, la gente avrebbe risposto: «Non ha talento, non segue alcun canone estetico e rifugge ogni bellezza, è offensivo, esplicito e la sua non è arte… è pornografia!».
Ci ricorda qualcuno? Caravaggio? Manet? Van Gogh? Courbet? Che sia il Cinquecento o il XX secolo, la società troverà sempre il modo di ostracizzare colui che desidera guardare il mondo da un’altra prospettiva, non conforme a ciò che comunemente viene definito standard. Perché una mente aperta è una mente ingovernabile. Esattamente ciò che accadde con i dipinti di Egon Schiele, considerati indecenti, scioccanti, disturbanti, ai limiti del pornografico. Il motivo erano quei corpi nudi e contorti, dalla linea distorta e tagliente. E, soprattutto, il loro spudorato erotismo.
Non era un animo sereno. Era nato a Tull, nel 1890, e a soli 15 anni la malattia mentale di suo padre e la successiva morte per sifilide lo segnarono profondamente. Ma Egon sapeva bene che il suo destino non era quello di fare il ferroviere come la sua famiglia. Perciò studiò all’Accademia d’Arte di Vienna, dalla quale si ritirò a causa dello stile conservatore dell’ambiente. Correva l’anno 1907 e qualcuno notò i disegni del giovane Egon, restandone terribilmente affascinato: il suo nome era Gustav Klimt.
Già famoso e apprezzato dal pubblico, Klimt faceva spesso da mentore a giovani artisti che riteneva talentuosi, presentandoli a potenziali mecenati e aiutandoli economicamente. Fu questo il motivo per cui le prime opere di Schiele mostrano delle evidenti somiglianze ai suoi lavori, sullo stile della Secessione viennese. Opere come di Ritratto di Gerti, sua sorella, dove il naturalismo della figura ricorda molto quello di Klimt. Ma Schiele toglie del tutto lo sfondo, concentrandosi sul corpo dalla linea nervosa e i colori terrosi.
Da qui si può notare ciò che sarà il soggetto ricorrente del suo operato, quasi un’ossessione: il corpo umano, specialmente quello femminile e nel pieno della pubertà. Ritrarre giovani donne, tra cui Wally Neuzil, con la quale ebbe un forte legame, divenne una prassi per il pittore, che nel 1912 fu arrestato con l’accusa di rapimento e violenza su minori. Le accuse risultarono infondate ma fu condannato a un mese di carcere per aver esposto materiale pornografico – forse la vera accusa era sempre stata questa. Come dimostrazione pubblica, fu bruciato persino un suo disegno.
Neppure la Prima Guerra Mondiale poté frenare il suo impeto. Riuscì a ottenere un incarico che gli permettesse di continuare a dipingere e a organizzare mostre, a Zurigo, Dresda, Praga. Schiele era convinto che il corpo umano potesse comunicare qualcosa di unico e sconvolgente. Quando non usava modelli esterni, indagava se stesso allo specchio e la sua produzione di autoritratti è tra le più feconde della storia dell’arte. Si raffigurava in pose insolite, studiandosi a fondo. Come in Autoritratto con alchechengi, dove risalta il colore pastoso e vorticoso e la cosciente sensualità con cui decise di mostrarsi. Ciò che lascia di stucco è l’intensità degli occhi, magnetici, rivolti maliziosamente allo spettatore come un Tiziano del XX secolo. L’erotismo è evidente pur non essendoci alcun nudo.
Pian piano, Schiele si liberò sempre più dallo stile raffinato ed estetizzante della pittura secessionista per rivolgersi all’Espressionismo, a una pittura violenta che, distorcendosi, riportava alla luce l’anima dell’artista, in tutti i suoi conflitti, le sue angosce, le sue più intime emozioni. È questo, dopotutto, che l’arte dovrebbe fare. I suoi nudi non avevano bisogno di rientrare nelle tipiche convenzioni di bellezza ed erano spigolosi, disarmonici, dai colori innaturali e una sessualità che era essa stessa bellezza. In Nudo di ragazza dai capelli neri, sono persino evidenziate in rosso le zone più erotiche del corpo di questa giovinetta: le labbra, i seni e il pube.
Uno dei suoi capolavori resta senza dubbio Amanti o L’abbraccio. Qui Schiele rappresentò due amanti distesi e avvinghiati, al termine o durante un rapporto sessuale. I corpi sono plasmati attraverso il colore e la linea tagliente ma c’è un particolare che lascia percepire l’altissima tensione erotica: lui le sta annusando i capelli. Sta assorbendo tutto il suo odore, il suo piacere, la sua essenza. Ed è qui che emerge l’Io dell’artista.
Quando, nel 1918, l’Europa fu colpita dalla pandemia influenzale spagnola, Schiele perse la vita assieme alla moglie Edith, incinta. Aveva solo 28 anni. Nonostante la breve vita, la sua produzione artistica fu intensa e prolifica: più di 300 dipinti e quasi 3000 disegni.
Schiele non si piegò alle etichette ma decise di sperimentare una propria ricerca dell’essere, attraverso immagini alterate e ricche di tensione. La sua carica espressiva, l’erotismo, la potenza del colore, la sua libertà estetica che all’epoca faceva tanto paura, restano i caratteri peculiari della sua arte. Un’arte che è un’indagine psicologica, la pura rappresentazione dell’animo erotico di ognuno di noi. Ed è fondamentale riconoscere la differenza tra erotismo e pornografia. Forse è il caso di farlo spiegare a Egon Schiele stesso: Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco.