Il 17 marzo scorso la Sezione speciale misure di prevenzione del Tribunale di Torino ha stabilito per Maria Edgarda Marcucci, ex combattente dell’unità curda femminile YPJ, la restrizione della sorveglianza speciale per due anni, accettando così la tesi della Procura di Torino che la individuava come persona socialmente pericolosa.
In particolare, le è stato prescritto di comunicare il luogo in cui intende eleggere il proprio domicilio, con l’obbligo di non allontanarsi dal Comune piemontese né dalla propria dimora senza un preventivo avviso all’autorità pubblica. Così come previsto dalla legge, dovrà consegnare passaporto e patente e portare con sé un libretto su cui la polizia annoterà tutti i controlli cui sarà sottoposta, oltre a dover rientrare a casa entro le 21 e non uscire prima delle 7 di mattina, accompagnata all’impossibilità di partecipare a presidi, assemblee o assembramenti di più di tre persone dopo le 18.
Una decisione che sembra voler colpire l’attività politica e sociale che Eddi – così la chiamano tutti – ha sempre svolto sin da quando è tornata dalla Siria del Nord, per tramutare in fatti quella rivoluzione socialista cui ha partecipato nella regione del Rojava dal 2017. Prova ne sono gli avvenimenti presi in considerazione dalla magistratura per confermare la misura di prevenzione solo per Eddi, escludendo le altre quattro persone per cui il PM l’aveva proposta e che avevano fatto la stessa scelta di contrasto all’ISIS.
Si tratta della sua adesione al movimento NO TAV, che condivide con l’organizzazione confederalista del Kurdistan l’opposizione a un modello di società che non è in grado di assicurare salute, sicurezza e libertà alle persone, al movimento Non Una di Meno e, in particolare, ai presidi a sostegno di lavoratori precari e senzatetto. Ma c’è un avvenimento nello specifico che ha fatto oscillare l’ago della bilancia a sfavore di Eddi: la sua partecipazione a un’azione presso la Camera di Commercio di Torino il 25 novembre scorso, a pochi giorni dal lancio dell’operazione militare turca contro il Rojava.
Allora, mentre il Ministro degli Esteri Di Maio prometteva di sospendere la vendita di armi ad Ankara, la Camera di Commercio, con il patrocinio della Regione Piemonte e la partecipazione del Ministero della Difesa, si rendeva sponsor di una fiera di compravendita di apparati aerospaziali principalmente bellici, con un panel tutto dedicato ai rapporti tra Italia e Turchia. In quell’occasione, l’ex combattente romana denunciò pacificamente la complicità del nostro governo al massacro di migliaia di innocenti, non potendo restare a guardare di fronte alla tremenda fine delle donne e degli uomini con cui aveva combattuto.
Dunque, il Tribunale di Torino le ha prescritto di vivere onestamente – così si legge nel provvedimento – come se i valori cui Eddi ha sempre ispirato la propria vita non fossero onesti, come se la sua scelta partigiana e quella di altri migliaia di combattenti internazionali non avesse alcun valore, facendo rivoltare nella sua tomba chi quei valori li ha sposati e difesi fino alla morte. Tra le motivazioni si legge che Maria Edgarda manifesta una costante opposizione nei confronti dei provvedimenti di pubblica autorità, talvolta associati ad atti di vera violenza. La polizia aveva già accusato Eddi e Jacopo – tra gli attivisti per cui era stata chiesta la sorveglianza – di comportamenti aggressivi in più occasioni, ultima delle quali il corteo del primo maggio di Torino, in cui si diceva erano stati fotografati in pose aggressive, pur non avendo compiuto alcun atto di violenza.
Nel provvedimento notificato a Eddi, inoltre, si sottolinea come le azioni che hanno fatto propendere per tale decisione siano successive all’avvio del procedimento che, dunque, non ha rappresentato un deterrente per la proposta, che si conferma così dedita alla commissione di reati e portatrice della pericolosità sociale, poiché incline a violare i precetti dell’autorità, non curandosi degli effetti delle proprie azioni sui diritti altrui. Una simile accusa, però, sembra surreale se è a danno di chi ha deciso di arruolarsi per difendere la libertà di una comunità fondata sulla democrazia e ogni giorno mette al centro del proprio attivismo politico la difesa dei diritti fondamentali. In verità, molto meno eticamente, a essere colpito è il dissenso di Eddi, fino a criminalizzarlo. Ma la nostra magistratura e il Tribunale di Torino in particolare non sono nuovi a queste decisioni, ultima delle quali la condanna di Nicoletta Dosio, attivista NO TAV di 73 anni, a un anno di carcere – oggi ai domiciliari – per un blocco autostradale cui aveva partecipato nel 2012.
Le misure di prevenzione, e la sorveglianza speciale in particolare, sono sanzioni non corrispondenti ad azioni o omissioni penalmente rilevanti: a essere colpito è un soggetto poiché si ritiene che possa in futuro commettere reati, creando non pochi dubbi sulla loro compatibilità con il principio di legalità. Del resto, si tratta di misure di epoca fascista che derivano dalle cosiddette misure di polizia: inizialmente tali disposizioni si trovavano nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 poi, dichiarate incostituzionali perché lasciate in gran parte alla discrezionalità dell’autorità, furono disciplinate per la prima volta dalla Legge 1423 del 1956, sotto il titolo di Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e la pubblica moralità, creando forti riserve nella cultura giuridica. Successivamente, le misure di prevenzione personali sono state oggetto di numerose modifiche – soprattutto a seguito di indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale – che hanno condotto all’esclusione di alcune tra le principali obiezioni al testo originario, suscitate dall’inclusione tra i destinatari di categorie come oziosi, vagabondi abituali, coloro che diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere per le loro manifestazioni, ipotesi dunque che potevano provocare la criminalizzazione di condotte sulla base di presupposti ideologici del tutto personali.
Nonostante le modifiche, il legislatore ha confermato la natura di pene del sospetto poiché non basate su alcun accertamento né sulla commissione di un fatto costituente reato. Con esse, si persegue una finalità esclusivamente punitiva anziché rieducativa, riflettendo una forma di controllo sociale di tipo repressivo. I parametri attraverso i quali stabilire la sussistenza della pericolosità sociale appaiono estremamente ambigui e rischiano di coinvolgere scale di valori del tutto discrezionali. La giustizia italiana incorre così in innumerevoli contraddizioni che ledono il principio garantista cui dovrebbe ispirarsi: l’ISIS è disegnato da tutti come un nemico da combattere, salvo poi tacciare di pericolosità sociale coloro i quali hanno tentato di ostacolarlo.
Si tratta di un provvedimento che, pur colpendo Eddi, non riguarda lei soltanto poiché coinvolge implicitamente tutti coloro che svolgono attivismo politico, coloro che condividono i valori che Eddi ha sposato, tutti coloro che non omologandosi ad affermazioni populiste tentano di mettersi in azione per cambiare un sistema che in questi giorni di emergenza sta manifestando le sue contraddizioni. È una decisione che arriva con un amaro tempismo, non solo perché dopo un procedimento molto lungo si è scelto un periodo in cui le manifestazioni di opposizione non possono essere svolte, ma soprattutto perché arriva a un anno dalla morte di Lorenzo Orsetti, che per quegli stessi ideali ha dato la vita.
Ed è proprio ricordando le parole di Orso che Eddi, forte della sua decisione di non ottemperare alla restrizione della libertà impostale, insegna qualcosa a tutti noi: Ricordate sempre che ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia. Non sempre combattere per i propri ideali sarà semplice, ma ci sono obiettivi che meritano il nostro totale impegno.