È stato l’ago della bilancia della XVII legislatura della Repubblica Italiana, il principale rivale del centrodestra di matrice sovranista e la spina nel fianco dei suoi stessi alleati, ora è il cavallo che tiene in scacco il governo di Giuseppe Conte sostenuto da M5S e PD: Matteo Renzi è l’unico, vero, grande catalizzatore del dibattito della moderna politica.
Da qualche settimana, il nome del senatore fiorentino è associato all’instabilità che sta minando all’esecutivo vigente. Che l’esperienza del Conte bis si aggiorni con un rimpasto della squadra dei ministri o si concluda con una mancata fiducia del Parlamento, Matteo Renzi potrà rivendicare la propria vittoria. A far saltare la maggioranza sarebbe, infatti, la componente di Italia Viva, che può contare su quaranta parlamentari e due ministeri – Elena Bonetti alle Pari Opportunità e Teresa Bellanova per le Politiche Agricole –, quanto basta a staccare la spina alla difficile convivenza tra pentastellati e democratici.
Ma quali sono i motivi per cui l’ex Premier sta facendo tremare la leadership dell’avvocato degli italiani, Giuseppe Conte? E, soprattutto, ha ragione? Non sono poche le istanze su cui Matteo Renzi contesta l’operato dell’attuale maggioranza di governo e – in particolar modo – del Presidente del Consiglio dei Ministri, dal piano vaccini al MES, passando per i progetti previsti per il Recovery Fund, fino ai cantieri da sbloccare, il ruolo del commissario Arcuri e la delega ai servizi segreti. Nulla di quanto appena elencato, secondo il leader di IV, è gestito in maniera appropriata.
Anticipiamo immediatamente le conclusioni a cui il lettore vuole arrivare: sì, in parte Matteo Renzi ha ragione. Tuttavia, una disamina attenta dei punti nevralgici contestati dal senatore toscano è fondamentale e aiuta a fare chiarezza tra le reali criticità messe in evidenza dalla sua insofferenza e le occasioni politiche che, attraverso una crisi di governo, Italia Viva cerca opportunisticamente di cogliere.
Partiamo proprio da questa ultima considerazione. Renzi è abilissimo a far passare quella che è una battaglia inscenata per mettere le mani sulla pioggia di soldi che il Recovery Fund – il fondo europeo istituito per fronteggiare l’emergenza coronavirus di 209 miliardi per l’Italia – per una controversia di tipo etico-morale. Ciò che davvero conta è quale ruolo avranno i rappresentanti di Italia Viva e di quali ministeri potranno beneficiare, incidendo il più possibile nella definizione della manovra da presentare a Bruxelles.
Se Giuseppe Conte non dovesse riuscire nell’intento di tenere unita l’attuale maggioranza (con o senza rimpasto) il motivo sarà soltanto ascrivibile a una scarsa capacità di dividere in maniera soddisfacente per tutte le componenti in causa la gigantesca torta che è il Recovery Fund. Matteo Renzi – che è maestro nel mettere in difficoltà chi tiene lo scettro del potere saldo nelle sue mani – ha fiutato il malcontento di tanti, anche all’interno dello stesso schieramento pentastellato, ed è pronto ad azzannare alla giugulare del Premier. Nessuno, infatti, ha interesse di far cadere il governo attuale e consegnare il Paese a Salvini e Meloni: tradotto, troveremo una soluzione.
Posto, dunque, che dietro le critiche mosse da Renzi c’è un interesse troppo grande per lasciarsi ammaliare dalla sua indiscutibile dote oratoria senza opporre un contraddittorio, è bene approfondire punto per punto le critiche che il senatore muove all’esecutivo. Come detto, non tutto il dibattito è un tentativo di gettarla in caciara e uscirne con la bandiera.
Innanzitutto, la discussione relativa all’impiego del Recovery Fund vede Matteo Renzi opporsi alla cabina di regia voluta dal Presidente del Consiglio e composta, oltre che da Conte stesso, dal Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (PD), e da quello dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, (MoVimento 5 Stelle). «Siamo contrari a sovrastrutture di centinaia di consulenti che stanno al Recovery Fund come i navigator stanno al reddito di cittadinanza», aveva dichiarato Renzi a la Repubblica, facendo intendere la necessità di agevolare il processo di realizzazione dei progetti anziché rallentarli con una struttura che si sarebbe sovrapposta ai ministeri esistenti. Come dargli torto?
In verità, i contenuti stessi del Recovery Fund sono stati oggetto di critiche da parte di Italia Viva. Non ha senso spendere 88 dei 127 miliardi dei prestiti europei per finanziare progetti che già esistono è la sintesi del pensiero renziano che punta alla realizzazione di nuove opere anziché – come previsto – alla ristrutturazione di quelle attuali, un programma di investimenti e infrastrutture che mirino a produrre un utile futuro che sarà in grado di sostenere il debito di cui l’Italia sta per farsi carico.
Un debito che – va sottolineato con forza – stipula la classe politica odierna e verrà pagato, invece, dalle generazioni che oggi sono la forza giovane del Paese, gli under 35, completamente esclusi dalla progettualità del piano di ripartenza. Non un solo disegno sul tavolo della maggioranza prevede, infatti, misure per l’occupazione giovanile, a tutela del futuro dei giovani italiani. Chissà, non a caso il resto d’Europa parla di Next Generation e noi di Recovery. Questa nostra, forte denuncia non è esattamente quanto afferma Renzi, ma ci va certamente più vicino di quanto M5S e PD abbiano finora partorito.
«L’unico modo di combattere il debito è la crescita, non i sussidi» è il pensiero del senatore – già critico con la mossa fallimentare del Reddito di Cittadinanza grillino –, che insiste sulla distinzione tra assistenzialismo e finanziamenti, incoraggiando questi ultimi.
Altro punto nevralgico dell’affondo di Matteo Renzi alla maggioranza è la proposta di investimenti previsti per la sanità, un piano di 9 miliardi di euro assolutamente non soddisfacente alle necessità che l’Italia ha dimostrato di soffrire. Nelle ultime ore, Conte ha assicurato un aumento della quota prevista per il sistema sanitario nazionale intorno ai 20 miliardi, fondi, però, che verranno sottratti proprio agli investimenti, in particolar modo relativi al green, altra mossa che delega alla classe dirigente del futuro il destino delle vite di chi abiterà domani le nostre città.
A tal proposito, la proposta dell’ex Sindaco di Firenze è il ricorso al MES, lo strumento comunitario che mette a disposizione dei governi una linea di credito per finanziare i sistemi sanitari. Su questo punto, però, Renzi ci trova nuovamente in sua opposizione, e il motivo è lo stesso per cui ci schieriamo a favore dell’istanza appena illustrata, ossia la scarsa capacità – per non dire la totale incompetenza e menefreghismo – di farsi carico del debito che avrebbe, invece, un impatto drammatico sul futuro delle prossime generazioni.
Infine – volendo fare un riassunto di quanto ancora non abbiamo posto alla lente d’ingrandimento – Renzi contesta le funzioni del commissario Arcuri, investito del ruolo di commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19, e successivamente responsabile di terapie intensive, reperimento di mascherine e dispositivi medici, della firma del contratto dell’app Immuni, del rientro a scuola, fino al piano per la distribuzione dei vaccini. Un Superman contemporaneo che – a conti fatti – dimostra, forse, di aver bisogno di un po’ di riposo, di lasciare qualche incombenza anche ad altri tecnici altamente qualificati e le immagini delle code per il piano delle vaccinazioni, oltre che dei ritardi di alcune regioni, stanno a testimoniare che, anche in questo caso, Matteo Renzi non ha tutti i torti. Strumentale o meno, la disamina del senatore di Italia Viva punta il dito contro quello che – va ricordato – è ancora anche il responsabile della gestione della crisi dell’ILVA.
Insomma, non vogliamo – con questo articolo – tessere le lodi di un fine stratega, uno straordinario opportunista che, ancora una volta, sta mettendo l’interesse della propria parte davanti a quello dell’intero Paese, dovesse la sua crociata concludersi in una crisi governativa. Non rifiutiamo, però, neppure l’idea che, perché inviso a ormai ogni parte politica e a gran parte dell’opinione pubblica, i temi che pone al centro del dibattito non vadano presi in considerazione. Mai come in questo caso, Matteo Renzi pungola un esecutivo che ha mosso ogni passo, dalla primavera in avanti, in continui stenti e in totale confusione, con argomenti su cui è giusto interrogarsi e interrogare.