Nonostante tutti gli sforzi che si possono fare per evitare di parlare di chi approfitta del COVID-19 per finalità politiche, diventa davvero difficile ignorare i tentativi disperati di quei soggetti che ce la stanno mettendo tutta pur di posizionarsi al centro della scena, rinunciando a quel minimo di dignità che un politico è tenuto a mostrare. A tal proposito, avevamo preferito tacere sulla preghiera congiunta di Barbara D’Urso e Matteo Salvini durante una prima serata su Canale 5, anche perché i commenti circolati sul web erano bastati a evidenziarne il gesto ridicolo. In più, si sarebbe rivelato davvero difficile giudicare chi dei due fosse stato più imbarazzante: magari sarebbe risultato necessario dedicare uno spazio di approfondimento a ognuno di loro. E, davvero, non ci va di sprecare il tempo in questo modo.
Tuttavia, arriva un momento in cui le parole prendono il posto dell’imbarazzo e questo, a dire il vero, ci succede da un po’ nei confronti di Matteo Salvini. Ridondante spiegare il perché. In questa occasione, però, non siamo mossi da nessun sentimento di protesta ma solo dal patimento per chi ha deciso ancora una volta che l’impulso di cavalcare l’onda è più forte dei morti in mare, del ruolo della Polizia di Stato o, appunto, di una pandemia.
Lo scorso venerdì, il gruppo parlamentare della Lega ha presentato in Senato un emendamento al decreto legislativo Cura Italia che prevedeva che le regioni e le province autonome possono incrementare le risorse per le finalità di cui al comma 1 fino al doppio dell’ammontare indicato nella tabella A e che le condotte dei datori di lavoro di operatori sanitari e sociosanitari operanti nell’ambito o a causa dell’emergenza COVID-19, nonché le condotte dei soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria derivante dal contagio non determinano, in caso di danni agli stessi operatori o a terzi, responsabilità personale di ordine penale, civile, contabile e da rivalsa, se giustificate dalla necessità di garantire, sia pure con mezzi e modalità non sempre conformi agli standard di sicurezza, la continuità dell’assistenza sanitaria indifferibile sia in regime ospedaliero che territoriale e domiciliare.
Stando a quanto previsto dalla legge, i dispositivi di protezione individuale sono quelle attrezzature indossate dai lavoratori il cui fine è la tutela dai rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante lo svolgimento delle proprie mansioni. Essi, oltre che implicati dall’art.32 della Costituzione che parla di diritto alla salute dell’individuo – dunque anche del lavoratore – e della collettività, sono stati oggetto di vari interventi del legislatore nel corso degli anni, che ha spesso fatto i conti con troppe morti bianche: si pensi agli oltre 500 decessi di operai, tra il 1970 e il 1980, che lavoravano negli stabilimenti chimici di Porto Marghera dovuti all’esposizione al cloruro di vinile. Di certo, soltanto una delle tante tragedie che si sarebbero potute evitare se fossero stati utilizzati dei sistemi di protezione ad hoc e che, purtroppo, si ripetono ancora.
Quanto proposto nella seconda parte dell’emendamento in questione, invece, stava a significare che sarebbero stati esenti da colpe di tutti i tipi coloro che hanno l’obbligo e la responsabilità di gestire l’attuale crisi – dalle Regioni alle Aziende Ospedaliere – qualora le loro azioni o omissioni avessero danneggiato gli operatori sanitari o terzi, anche nel caso in cui non avessero rispettato le misure di sicurezza: l’unica condizione sarebbe stata quella di garantire i servizi sanitari. Parliamo al passato perché, fortunatamente, l’emendamento è stato ritirato poiché considerato dalla stessa Lega fraintendibile dopo aver mandato su tutte le furie CGIL, CISL e UIL, ma ci rendiamo conto che di fraintendibile c’era ben poco. C’era semmai l’intenzione di passare oltre le misure di sicurezza e di mettere a rischio medici, infermieri e chiunque è, oggi, in prima linea, che in questo modo avrebbero corso il rischio di vedersi privi di disposizioni di protezione individuale efficienti pur di esonerare da responsabilità chi è tenuto ad assicurare tali garanzie. Dunque, lo stesso Salvini che accusa il Governo Conte di star facendo troppo poco per gli operatori sanitari voleva esporli ancora di più a rischio. E per quale motivo? Per proteggere le Regioni che, così facendo, avrebbero potuto tranquillamente creare falle in un sistema già traballante.
Vergognandoci noi per lui, non ci interessa stabilire se una proposta del genere sia di destra o di sinistra né è chiaro se la decisione di revocarla sia stata dovuta al buon senso – tanto citato dal leader del partito verde – o dalla paura di vedersi contro tutto il sistema sanitario: quello che è evidente, invece, è l’idea di mettere in secondo piano la sicurezza di chi in questo momento sta fronteggiando una situazione che non si era mai verificata dal dopoguerra in poi. La proposta diventa ancora più squallida se comparata con le dichiarazioni dello stesso Salvini che in quei giorni lamentava la mancanza di dispositivi di protezione nell’ospedale di Foggia, chiedendo all’esecutivo di intervenire tempestivamente, perché da Nord a Sud è un problema che si presenta quotidianamente.
Naturalmente, a sorprenderci non è l’incoerenza del soggetto in questione quanto il fatto di ritenere più urgente levare da ogni responsabilità chi in realtà è in gran parte artefice del disastro della nostra sanità, ossia gli enti regionali. La fotografia dello stato delle strutture ospedaliere – di cui sembriamo accorgerci solo oggi –, infatti, rappresenta il fallimento del sogno federalista (sogno proibito della Lega) che è stato per fortuna solo in parte realizzato con la riforma del Titolo V del 2001 che ha inserito nell’art.117 la materia sanitaria come residuale, dunque di competenza delle Regioni. E ci troviamo adesso con alcune di queste che sono in condizioni di profonda arretratezza e altre – tra cui quelle cosiddette virtuose, governate da anni dal Carroccio prima di Bossi poi di Salvini – dove la sanità privata è stata prediletta a discapito di quella pubblica, non senza scandali (vedi il caso Formigoni).
Ora, immaginiamo se a Palazzo Chigi in questo momento ci fosse Salvini e la maggioranza del Parlamento fosse nelle sue mani? Avrebbe il potere di emanare un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che lasci le Regioni e le ASL libere di concedere a chi lavora negli ospedali mascherine, guanti e quant’altro anche se non conformi agli standard di sicurezza, dunque insicuri non solo per la loro salute ma anche per quella dei pazienti e di quanti vi entrano in contatto. Già, proprio quella sicurezza di cui tanto blaterava.