Era il 1 febbraio del 1945 quando in Italia veniva riconosciuto il diritto di voto anche alle donne. Una giornata storica che faceva presagire un futuro migliore per ciascuna cittadina del Paese rivelatasi, tuttavia, meno efficace – e ben più illusoria – di quanto auspicato. A distanza di settantaquattro anni, infatti, tocca ammettere che l’accesso alle urne non è stato sinonimo di garanzia per quello che, in continuità con la mentalità di allora, viene definito ancora sesso debole perché debole resta la sua possibilità di scelta.
A tal proposito, un esempio più che esplicativo è certamente il Decreto Pillon, l’aberrante proposta di legge avanzata dall’omonimo senatore leghista che intende modificare l’attuale legislazione in materia di diritto di famiglia, ridiscutendo i termini del divorzio e dell’assegno di mantenimento. Un ddl attualmente fermo in Senato che, dovesse essere approvato, priverebbe di moltissime tutele le donne, sempre più vittime dei loro compagni e mariti, persino dello Stato. Il testo in discussione, infatti, rende ancora più difficile immaginare una separazione, prevedendo che, rigorosamente a pagamento, i due (ex) coniugi si rivolgano a un mediatore familiare, costringendo la coppia a una spesa che forse non può permettersi e a un confronto, da ripetersi in varie sedute, obbligatorio e non gradito, ignorando che lo scioglimento della famiglia sia già di per sé un momento difficile, spesso dovuto al ricorso alla violenza da parte di uno dei partner. Anche per i bambini, inoltre, è prevista una normativa differente: innanzitutto, il tempo per stare con l’uno o con l’altro genitore che si dividerebbe equamente, arrivando persino a parlare di possibile doppia residenza, senza tenere conto di cosa eventualmente questa potrebbe significare in termini di praticità e serenità del figlio, costretto a fare la spola tra un genitore e l’altro e, purtroppo, anche a trascorrere i suoi giorni con quel papà o con quella mamma magari violenti. Inoltre, se uno dei genitori si oppone alle frequentazioni del bambino o anche nel caso in cui sia il piccolo a rifiutare una delle due figure parentali, si legge nella bozza del provvedimento, il giudice può rivolgersi ai servizi sociali affinché il bimbo affronti uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità. Una decisione che appare più come una costrizione dannosa che come sostegno del minore che vede la sua famiglia cambiare assetto e che, più spesso di quanto si pensi, è vittima di abusi all’interno delle mura domestiche. Con la stessa superficialità, dunque, viene introdotto anche il discorso di alienazione familiare, ossia il rifiuto apparentemente immotivato del figlio nei confronti del genitore, per molti causato dal condizionamento psicologico esercitato su di lui da uno dei due adulti. Una condizione di disagio pensata in questi termini dal misogino Richard A. Gardner – che parlò addirittura di indottrinamento – ma che la comunità scientifica si rifiuta di definire sindrome o malattia perché sprovvista di prove che ne accertino la sintomaticità. Sempre in tema di prole, il ddl 735 mira all’introduzione di un contributo diretto alle spese del figlio, dunque a uno stravolgimento dell’assegno di mantenimento che, nei fatti, verrebbe a mancare, con conseguenze notevoli per ogni singolo membro del nucleo familiare ormai scioltosi.
Il divorzio, lo dicono i dati, impoverisce tutte le parti in causa, un aspetto che di certo lo Stato non può ignorare e su cui, senza ombra di dubbio, deve intervenire con cognizione di causa e assolutamente senza discriminanti di genere. Quello che viene fuori dai folli documenti firmati da Pillon, invece, suona più come un chiaro messaggio alle donne, un avvertimento a coloro che, sempre secondo statistica, guadagnano di meno o che, per scelta condivisa dalla coppia, smettono di lavorare per occuparsi dei figli. Che cosa succede, quindi, in caso di disparità di reddito? Può la legge acconsentire a una condizione di sudditanza dell’uno o dell’altro coniuge? Stando alle parole di Vincenzo Spadafora, sottosegretario del MoVimento 5 Stelle con delega alle Pari Opportunità e Giovani, no poiché il testo potrebbe non vedere la luce nelle modalità in cui è stato proposto. Il pentastellato dimentica, però, che a pagina 24 del contratto di governo alla voce Diritto di famiglia si legge che nell’ambito di una rivisitazione dell’istituto dell’affidamento condiviso dei figli, l’interesse materiale e morale del figlio minorenne non può essere perseguito se non si realizza un autentico equilibrio tra entrambe le figure genitoriali, nel rapporto con la prole. Pertanto sarà necessario assicurare la permanenza del figlio con tempi paritari tra i genitori, rivalutando anche il mantenimento in forma diretta senza alcun automatismo circa la corresponsione di un assegno di sostentamento e valutando l’introduzione di norme volte al contrasto del grave fenomeno dell’alienazione parentale. Insomma, una conferma di tutto quanto sopra riportato e – non a caso – dei grillini stessi, spesso smemorati.
A settantaquattro anni da quel celebre 1 febbraio, dunque, nonostante ancora – ma di questi tempi non è certo sarà per sempre – godano del diritto di voto, le donne tornano sotto attacco semplicemente perché tali. Basti pensare che a sostegno del ddl 735 vi sono gruppi di estrema destra, ultracattolici e associazioni – perlopiù a tutela dei padri separati – che mirano a inibire e annullare l’altro, ovviamente la moglie. Un esempio è la GESEF (Genitori Separati dai Figli), il cui presidente, Vincenzo Spavone, afferma: Il feticcio più evocato dall’estremismo femminista è la violenza in famiglia. Ma solo quella declinata al maschile. Eppure, nel contesto separativo quasi sempre la violenza ha le chiavi di casa e porta i tacchi a spillo. O, ancora, personaggi come Vittorio Vezzetti, fondatore dell’associazione Figli per sempre e pediatra – Non trovate strano che in Italia le donne siano soggette a una violenza che non esiste negli altri Paesi? – e Massimiliano Fiorin, avvocato, candidatosi con Il Popolo della Famiglia – L’interesse dei minori sarebbe che i genitori non si separassero. La famiglia non è un affare privatistico, ma un fatto sociale. Da quando le donne hanno acquisito il diritto di separarsi sono diventate più libere e più felici? No. Bisogna fornire delle questioni oggettive per separarsi. Il matrimonio non è basato sull’amore, anzi, è qualcosa di diverso da una semplice consacrazione dell’amore –, entrambi fautori di spaventose campagne di disinformazione che negano persino il femminicidio, l’omicidio di genere che vede morire una donna ogni tre giorni, anche e soprattutto per mano virile sedicente innamorata.
Ma ad affiancare Pillon in questa sua caccia alle streghe – lui che ci crede –, ci sono anche numerose realtà pro-life, quindi antiabortiste. Tra queste, il comitato referendario No194 che per voce di Pietro Guerini, fondatore, fa sapere ai microfoni di Giulia Bosetti, inviata di Presa Diretta, che l’aborto è più grave dello stupro perché è la soppressione del concepito e lo Stato non lo tutela semplicemente perché il concepito non può votare, o Cristus Rex che, con il suo Matteo Castagna, se la prende con le femministe perché vogliono sovvertire il diritto naturale, laddove la donna è prima di tutto moglie e madre, parole a cui fanno eco quelle di Alberto Zelgher, Consigliere Comunale di Verona (leghista), per il quale bisogna convincere la donna a non abortire, informandola e facendole capire che la vita è un grande valore. Perché non lo sa. Lui, invece, sì, lo sa e, magari, sa pure cosa significa portare in grembo il frutto di una violenza.
Insomma, anche la più approssimativa delle lenti di ingrandimento consente di comprendere l’elevata dose di misoginia e odio che si nasconde dietro a un provvedimento che ancora non si è visto defenestrare da Montecitorio ma che, forse, diverrà legge con qualche finta o inutile modifica, nonostante le critiche e i duri attacchi provenienti da più parti. Il quesito da porsi, dunque, è fin dove vogliamo spingerci? Vogliamo davvero lasciare a una manciata di medievali estremisti il potere di manovrarci come fossimo dei burattini, senza diritto e senza libertà alcuna? Ciò che è necessario adesso, per ostacolare una tale involuzione, è un fronte comune, è una lotta sociale che non sia lotta di genere, un’inutile perché già persa guerra al femminile. A Dio, patria e famiglia dicono di rispondere i fan di Pillon. Né allo Stato né a Dio, invece, rispondiamo noi, perché sul nostro corpo, sul mio corpo, decido io. Con o senza il loro permesso.