Il 26 maggio scorso tre associazioni si sono confrontate online a partire dalla lettura del romanzo di Pina Mandolfo, Lo scandalo della felicità, che narra la storia drammatica della Principessa Valdina di Palermo costretta forzatamente dal padre alla monacazione. Un confronto tra le socie dell’Osservatorio interreligioso contro la violenza sulle donne, alcune socie della Società Italiana delle Letterate e quelle afferenti all’Associazione Il governo di lei, per un incontro fortemente voluto da Clelia Degli Esposti, Paola Cavallari e Marzia Benazzi. Presenti l’autrice Pina Mandolfo, l’editrice di Vanda Angela Di Luciano e Margherita Cogo.
Sono evidenti a chi frequenta le organizzazioni sopracitate i punti di contatto tra queste speciali aggregazioni di donne: la natura associativa libera da istituzioni e che privilegia il confronto dal basso di donne provenienti da etnie, fedi e culture diverse; l’attenzione per la condizione storica, moderna e contemporanea delle donne, con particolare interesse e vigilanza verso gli obiettivi raggiunti e quelli da raggiungere in campo politico, sociale, culturale e relazionale; la denuncia degli aspetti violenti, aggressivi e manipolatori del patriarcato, sia nelle sue declinazioni passate che in quelle più sottili dei nostri giorni; la pratica femminista del partire da sé, utilizzando forme di confronto laboratoriale, dove ognuna può esprimere il suo punto di vista a prescindere da qualsiasi titolo accademico e/o professionale; la consapevolezza della necessità di liberarsi dagli stereotipi tradizionali del femminile e del maschile a livello psicologico e in ogni campo sociale; la necessità di promuovere in ogni dimensione l’autodeterminazione delle donne, che vuol dire libertà di scelta, libertà di realizzare il proprio talento, libertà e diritto di avere valore e di parola in ogni relazione pubblica e privata.
La Società Italiana delle Letterate si caratterizza infatti per la pratica femminista della scrittura pubblica, relazionale e generativa, per la ricerca delle storie sommerse, cancellate e dimenticate delle donne artiste, scrittrici e poetesse, filosofe e giornaliste, e l’organizzazione di convegni tematici, di workshop e di passeggiate letterarie. Ricordiamo solo alcune delle passeggiate realizzate nelle varie città italiane: a Napoli dedicata a Anna Maria Ortese, a Catania a Goliarda Sapienza, a Palermo a Maria Messina, a Ferrara a Lucrezia Borgia e Isabella D’Este, a Genova a Mary Shelley.
Si tratta quindi di ricostruire la genealogia delle donne che ci hanno preceduto, la costellazione storica e culturale a cui apparteniamo, collocandole con il rispetto e la dignità che meritano all’interno della storia della letteratura italiana. Bisogna combattere soprattutto dentro se stesse la voce dell’Angelo del focolare, come disse Virginia Woolf, per permettersi di sentire la propria voce, oltre la programmazione di genere. Direbbe Eric Berne, bisogna superare il copione della crocerossina, della Salvatrice che spesso induce le donne a restare in una relazione tossica.
Darsi il permesso di ascoltare la propria voce vuol dire combattere il modello psico-esistenziale che induce ogni donna a preferire il silenzio e l’abnegazione totalizzante della cura. La lettura e lo studio della scrittura delle altre, di quelle che ci hanno preceduto in questo percorso di individuazione psicologica e culturale, diventano un cammino di crescita e di autoconsapevolezza, di profonda ricerca per “partorirsi” attraverso il circuito esperienziale di un’altra donna, che ha sofferto e pagato per esercitare il suo diritto a scegliere il suo progetto di vita.
Da sempre la letteratura e l’arte registrano ogni livello di impasse comunicativo tra le persone, tra le donne e la realtà contestuale, tra le donne e gli uomini e soprattutto leggono l’esclusione ancora prevalente delle donne. Se si apre una qualsiasi storia della letteratura, non solo italiana, la presenza di scrittrici è assolutamente inferiore rispetto a quella dei maschi. Da una recente statistica, emerge che se le scrittrici oggi sono circa il 30%, solo dal 6 al 12% figurano negli indici delle antologie. La donna è stata raccontata ma ha avuto grosse difficoltà a divenire lei stessa autrice delle sue narrazioni. La donna – angelicata, madre, moglie, fatale, demoniaca –, tema privilegiato della letteratura, è sempre stata raccontata dall’uomo.
Abbiamo avuto sicuramente anche degli esiti sublimi ed efficaci da parte di scrittori di grande sensibilità come la Leonor di Enzo Striano, dedicato alla storia di Eleonora Pimentel Fonseca, oppure la Chimera di Sebastiano Vassalli, ancora Anna Karenina di Lev Tolstoj, Madame Bovary di Gustave Flaubert, la Nora di Henrik Ibsen. Solo alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, le donne sono state capaci di prendersi il permesso di diventare “autrici”. Aristocratiche o alto borghesi, furono animatrici di salotti e parteciparono alle riviste letterarie. Un’intera generazione di scrittrici, giornaliste e poetesse che in Europa ha determinato finalmente l’affiorare dei talenti femminili e ha reso emergente il diritto alla libertà di esistere prima di tutto in quanto persona autonoma e soggetto politico.
In Italia ricordiamo Eleonora Pimentel, poetessa e giornalista che ha partecipato attivamente alla rivoluzione partenopea del 1799; Clara Maffei che riceveva artisti, letterati, musicisti e patrioti attivi nel Risorgimento; Carolina Invernizio (1858-1916), autrice dei cosiddetti romanzi rosa o romanzi d’appendice, con storie ancora legate ai modelli femminili tradizionali; Matilde Serao (1856-1928), scrittrice e giornalista, fondatrice nel 1892, con il marito Edoardo Scarfoglio, de Il Mattino di Napoli e poi de Il Giorno. Ancora poco citata nei manuali, Grazia Deledda, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura. Ricordiamo anche Cristina Trivulzio Belgiojoso (1808-1871), pubblicista e scrittrice e tante altre ancora.
Possiamo considerare Sibilla Aleramo (1876-1960) la prima scrittrice pienamente “femminista”. Nel suo romanzo autobiografico, Una donna, del 1906, esprime il suo interesse per la condizione femminile e per il percorso di indipendenza politica e personale, affettiva e sociale. Eppure non basta affrontare l’emancipazione nei campi lavorativi, professionali, nella dimensione dei diritti e delle pari opportunità ma si tratta di liberarsi profondamente dagli stereotipi di genere, che condizionano e assoggettano interiormente la donna alla società patriarcale, gestita e voluta dagli uomini con un grado di manipolazione relazionale ancora evidente.
Non si tratta di fare concessioni alle donne ma di promuovere una corresponsabilità familiare, affettiva e domestica che dia pari dignità al principio di autodeterminazione e di reciprocità tra donne e uomini nei loro progetti di vita. La letteratura di quest’ultimo secolo è stata determinante per registrare questo processo identitario di liberazione e di riappropriazione del linguaggio, dei corpi e delle menti.
Dacia Maraini, alla domanda se c’è differenza tra il modo di scrivere di un uomo e quello di una donna, risponde: «La differenza c’è e sta nel punto di vista, nell’ottica diversa. […] Questo capita perché gli uomini hanno avuto una storia differente. Ancora oggi le donne risentono del destino che hanno subito, del ruolo secondario in cui la storia e la Chiesa le hanno relegate […]. La maternità, la famiglia, il lavoro sono costruzioni culturali».
Le associazioni che ho citato, con tutte le contraddizioni, gli impacci e le naturali conflittualità che possono nascere al loro interno, sono la garanzia che solo attraverso autentiche aggregazioni democratiche di donne e di uomini capaci di confrontarsi apertamente sulle dinamiche del potere e del suo linguaggio si possono scardinare i baluardi di un’educazione di genere ancora basata sulla sopraffazione e sulla violenza, sull’idea perversa del possesso e del controllo dell’altro, educazione che purtroppo permea in modo significativo e tossico sia le agenzie di socializzazione come la scuola e la famiglia, sia l’intero universo massmediatico in cui siamo immersi.
Contributo a cura di Floriana Coppola