La vicenda di Doña Clara e Don Luis ci ha mostrato un Don Chisciotte impossibilitato all’azione, nonostante le numerose vicissitudini verificatesi all’interno della locanda intorno a un numero altissimo di personaggi. A partire dal secondo volume dell’opera, l’ormai celebre hidalgo torna a essere il solo protagonista degli eventi narrati, pur presentandosi come un personaggio decisamente meno dinamico, forse stanco, sulla via della disillusione. Ne è un esempio l’incontro con il giovane Don Lorenzo (capitolo XVIII) nella casa dello stesso e del padre, Don Diego, detto el caballero del Verde Gabán. I due cavalieri si sono conosciuti in precedenza (capitolo XVI) mentre erano in cammino, e hanno intavolato una conversazione in cui Don Diego, raccontando di sé, ha confessato che si riterrebbe più fortunato se non avesse un figlio, a causa del dispiacere che quest’ultimo gli dà prediligendo la poesia allo studio del diritto e alla teologia. A questo punto, Don Chisciotte tiene un discorso piuttosto assennato sull’importanza della poesia e, soprattutto, di essere ciò che nel nostro cuore sentiamo di essere. Così, Don Diego decide di ospitare il nostro protagonista e Sancho Pancha in casa sua per permettere loro di riposare per alcuni giorni, rendendo possibile l’incontro tra il poeta in erba Lorenzo e l’anziano cavaliere.
Dal cammino si passa a un momento di ristoro per l’hidalgo e il suo scudiero, e all’azione tipica del primo libro si sostituisce il puro dialogo, che con Cervantes viene rivoluzionato divenendo una commistione di sottodialogo e silenzio. La parola è la sola cosa che accade nella casa di Don Diego e Don Lorenzo, ed è il veicolo attraverso il quale i personaggi si conoscono tra loro. Non a caso, lo scambio di battute tra Don Chisciotte e Don Lorenzo è considerato uno dei più raffinati che si possano trovare all’interno dell’opera e consente all’interlocutore del cavaliere di giungere alla definizione più accurata che si sia avuta sul protagonista fino a questo momento. Non è più semplicemente pazzo, com’era stato considerato in precedenza dagli altri personaggi, ma è qualcosa di molto più complesso. Dopo averlo ascoltato, a lungo e in silenzio, unire a discorsi assennati sulle lettere interventi privi di lucidità in merito alla cavalleria errante, Lorenzo giunge alla conclusione che in Don Chisciotte coesistono saggezza e follia. In seguito a tale constatazione, i ruoli si invertono: è il turno del giovane di farsi conoscere e giudicare dal suo interlocutore che, stavolta, dovrà tacere e ascoltarlo.
Don Lorenzo recita, allora, una propria glossa a Don Chisciotte, che lo elogia come il più grande poeta della terra e del suo tempo. Le sue parole incoraggiano il poeta a recitare un sonetto di sua mano, la cui artificiosità, osservata e lodata dallo stesso cavaliere, fa pensare a una parodia stilistica della poesia contemporanea a Cervantes, parodia che studiosi come Clemencín sembrano non aver colto, ritenendo invece che l’elogio ai versi da parte di Don Chisciotte sia in realtà un autoelogio di Cervantes, in quanto reale autore delle suddette. Cervantes, infatti, era anche un poeta, nonostante non eccellesse al pari dei grandi autori del Siglo de Oro.
Un’avvisaglia della teoria di Clemencín si troverebbe nel fatto che Don Lorenzo legga a Don Chisciotte una glossa, che è il tipo di componimento con il quale Cervantes vinse a Saragozza un primo premio durante una gara letteraria, in onore della canonizzazione di San Jacinto il 2 maggio 1595. Secondo altri studiosi, però, è azzardato parlare di autoelogio, se questo avviene attraverso un personaggio ritenuto folle e non certamente attendibile.
Come si può notare, la vicenda non ha luogo nella caotica locanda di Palomeque, al centro dell’avventura in precedenza analizzata, ma in una serena dimora in cui domina il silenzio, non più quello suggestivo che fa da sfondo al canto di Don Luis, ma pacifico e immobile. Non ci sono sfide per Don Chisciotte né situazioni difficoltose che richiederebbero il suo intervento, ma solo un giovane aspirante poeta con cui il nostro cavaliere discorre di poesia, gare letterarie e cavalleria errante. Don Chisciotte si riposa, apprezza la calma della casa e non è in cerca di avventure. È, dunque, una tranquillità che si contrappone allo stile di vita che egli ha scelto per sé.
Questi, dal suo breve elogio al maravilloso silencio e alla quiete dell’ambiente domestico, lascia trasparire il desiderio di una pace ormai persa. Sopravvive, forse, nel valoroso cavaliere quel pacifico Alonso Quijano che sembrava sparito per sempre?
La risposta ci viene data nell’ultimo capitolo dell’opera, quando Alonso Quijano ritorna in sé e rinnega il tempo in cui è stato Don Chisciotte perdendo la dignità e la buona reputazione di cui godeva in precedenza: Io sono stato pazzo e ora son savio; sono stato Don Chisciotte della Mancha e ora sono, come ho detto, Alonso Quijano il Buono. Possa la verità del mio pentimento far tornare nelle signorie vostre la stima che si aveva di me.