Umiliata, ancora una volta. Non ce la fa l’Italia a farsi portatrice sana di diritti. Lei che ogni giorno, da quando il governo giallonero ha messo piede in quel di Roma, si mortifica da sola, arrancando controvento, lasciandosi spingere verso il baratro da una corrente che puzza di morte, fiera della sua imminente caduta, si conferma retrograda e bigotta, sessista, omofoba e misogina. Non cambia mai. Stavolta, come qualche mese fa, a sottolinearne la pochezza ci ha pensato la Scozia, il Paese britannico che ha deciso di impartire lezioni di civiltà al mondo intero introducendo in tutti gli istituti scolastici lo studio dei diritti LGBTI.
Mentre nello Stivale le donne si vestono da ancelle perché è così che la politica le vorrebbe, a tutela del maschio dominante e della famiglia tradizionale che niente può sciogliere, e chi invoca i forni crematori viene eletto Presidente della Commissione dei Diritti Umani, la nazione angolofona sorprende tutti annunciando una rivoluzione epocale in termini di uguaglianza. Dopo aver abolito la tassazione sui period products, quei prodotti necessari alle donzelle circa una settimana al mese – da noi considerati beni di lusso ivati al 22% –, la patria del kilt, infatti, ha deciso di trasformare tutte le scuole in luoghi di educazione LGBTI-inclusive, luoghi in cui il bullismo di genere possa trovare, finalmente, le porte sbarrate. Lo farà, la Scozia, imponendo lo studio della storia dei movimenti a tutela delle lesbiche, dei gay, dei bisessuali, dei transgender e degli intersessuali, nonché delle persecuzioni, dalla maternità alla maturità, senza alcuna possibilità di esenzione o rinuncia.
L’importante decisione è stata presa in seguito a numerose richieste di ascolto da parte del TIE, il Time for Inclusive Education, l’associazione che ha a lungo lanciato l’allarme, denunciando dati preoccupanti riguardo la condizione emotiva dei giovani omosessuali nella terra di Harry Potter. «Il nostro sistema ha il dovere di consentire a ciascuno di raggiungere il massimo del proprio potenziale. È per questo che il programma deve presentare lo stesso livello di diversità che è presente nei giovani che studiano nelle nostre scuole», ha annunciato il Ministro scozzese per l’Istruzione John Swinney. «La Scozia è già considerata come una delle nazioni più progressiste in materia di diritti LGBTI. È dunque un piacere per noi annunciare che il nostro sarà il primo Paese al mondo a introdurre nelle scuole un programma specifico di educazione all’inclusione», ha aggiunto.
La sfida all’omofobia e alla transofobia, però, non si limiterà unicamente alle ore di lezione. Il personale dovrà anche adoperarsi al fine di lottare attivamente contro le discriminazioni, coadiuvato da una campagna di sensibilizzazione indirizzata al corpo docente e promossa dalle istituzioni. Tutti gli episodi di intolleranza, infine, saranno recensiti e catalogati allo scopo di procedere a studi statistici.
Non soltanto Oltremanica, quindi: la Scozia si dimostra ben oltre questo improvviso Medioevo che sta contagiando troppe aree del mondo, e conferma l’importanza della scuola, ormai ampiamente sottovalutata in Italia, quale incubatrice della società, formatrice per eccellenza, insieme alla famiglia, degli uomini e delle donne, oggi bambini, che domani porteranno avanti le loro battaglie. Istruire, dunque, è la parola chiave di questo processo che intende condurre a un concreto cambiamento culturale. Nessuna rivoluzione, d’altro canto, ha mai avuto luogo senza educazione. Per questo, forse, nel nostro Paese, anno dopo anno, governo dopo governo, è all’istruzione che vengono tagliati fondi e gambe.
Stando all’ultima Rainbow Europe Map resa nota lo scorso maggio, la classifica stilata da ILGA-Europe, l’International Lesbian and Gay Association, l’Italia è tra le nazioni con il più alto tasso di discriminazione nel Vecchio Continente, con il 73% delle persone omosessuali e transgender che ha dichiarato di essere o di essere stato vittima di intolleranze varie. Il primato virtuoso spetta, invece, a Malta (6%), Norvegia (22%), Regno Unito e Finlandia (27%). La graduatoria stilata aggrega sei diversi campi di interesse: uguaglianza e non-discriminazione, famiglia, leggi contro l’omofobia, riconoscimento legale delle persone transgender, libertà di associazione ed espressione e asilo politico concesso per orientamento e identità sessuale, con risultati ancora più avvilenti se si guarda al dato singolo. Ad esempio, su 100 episodi presi in esame, da noi appena 4 non sono stati discriminatori e l’accettazione da parte del nucleo familiare è avvenuta soltanto 37 volte. Numeri, purtroppo, facilmente comprensibili e per nulla sorprendenti per chiunque viva la quotidianità di questo Stivale ormai vecchio e consunto, da buttare, dove il riconoscimento civile, ancor prima che legale, di chi non risponde ai requisiti richiesti per essere un italiano doc è soltanto una chimera e, di certo, non per motivi religiosi come spesso vogliono farci credere. Basti pensare che ogni classifica, ogni dato statistico, ogni ambito scandagliato in tema di diritti vede la cristianissima Italia dietro la cattolica Irlanda, la Spagna, persino molti territori dell’Est Europa spesso criticati o apostrofati con sufficienza.
Quel che risulta palese, dunque, tralasciando i numeri, è che il nostro è un Paese che prima non sapeva e che ora non vuole evolversi. Fermo nel suo stantio pensiero, ignorante e razzista, il riflesso dell’Italia consegnata ai penta-fascisti non solo non somiglia nemmeno lontanamente a quello britannico, ma richiama spaventosamente il suo profilo di ieri, quando una camicia nera bastava a farsi rispettare. Eppure, la Scozia, oggi capofila di un continente drammaticamente nostalgico, ha depenalizzato l’omosessualità soltanto nel 1980 e fino al 2000 ha punito chi la propagandava volontariamente a scuola. Quando potremo dire lo stesso anche da noi?