Il fetore di quel laghetto d’acqua sporca si fece più intenso, mi pizzicò le naricette e mi svegliò da un bel sonnellino (sono sempre stato un dormiglione). Cominciai ad agitarmi irrequieto e bussai alle pareti della pancia di mia madre, perché ero proprio stufetto di stare in quell’acquitrino maleolente. Mia madre si lamentò.
“Ahia… Ahia… Che dolore… Non ce la faccio più…”
“Spingete, signora. Spingete forte” disse la levatrice.
“Spingi, Maria. Spingi forte e respira forte” la esortò mia nonna Caterina che da qualche giorno s’era trasferita in casa nostra.
“Sto spingendo… Ahia… Sto… Ahia!”
“Più forte, signora, più forte… Eh, non vuole proprio uscire questa creaturella… Si vede che sta bene dove sta e si mette paura di quello che troverà qua fuori”.
Uscii.
Dopo un po’ si sentì il fischio di famiglia. La nonna corse al balcone del nostro quarto piano e gridò: “È maschio!”. Venni fuori sporco e puzzolente. La levatrice tagliò il cordone ombelicale. Nonna Caterina l’aiutò con una tale precisione e competenza che la levatrice, ammirata, le chiese: “Ma voi siete ostetrica?” Con la massima naturalezza rispose: “No, sono la nonna!” Poi prese un grosso bacile, lo riempì d’acqua e con una spugnona comprata per l’occasione mi lavò gli occhiettini. Mi guardai attorno. Vidi la nonna, vidi la levatrice, poi, come per soddisfare un’antica curiosità, guardai dalla parte donde ero uscito, e finalmente vidi mia madre! La nonna mi asciugò, mi ricoprì di borotalco, mi infarinò il buchino del culino e i genitalini. Poi mi fasciò stretto stretto e mi pose delicatamente accanto a mia madre per la poppata.
E quella fu la prima volta che andai a letto con una donna.
Così raccontava Aldo Giuffré, alla sua maniera, coerente al sottile umorismo che lo aveva sempre contraddistinto anche nella vita privata, la sua venuta al mondo il 10 aprile del 1924 in via del Sole al civico 4, nel cuore del centro storico di Napoli, la città dove mosse i primi passi di attore con la compagnia di Eduardo De Filippo. Con essa, lavorò per cinque anni, la prima scrittura nel 1947, una piccola parte nel film Assunta Spina con Anna Magnani, a novembre dello stesso anno al Piccinni di Bari in Napoli Milionaria, per poi recitare con altri grandi del cinema e del teatro.
Novanta film di cui dieci con Totò, poi con De Sica in Ieri, oggi e domani, con Nanni Loy ne Le quattro giornate di Napoli – dove rinunciò alla paga in omaggio alla sua città –, con Sergio Leone in Il buono, il brutto, il cattivo e, ancora, con Giorgio Strehler, Luchino Visconti, Cesco Baseggio e tanti altri. E a proposito di Baseggio e di Totò, Giuffré amava sempre ricordare i tre grandi maestri della sua vita artistica: «Io ho avuto tre maestri, tre stelle comete che mi hanno formato artisticamente. Eduardo De Filippo, che mi ha insegnato il mestiere, quello autentico fatto di tempi, di pause, di espressioni; Giorgio Strehler, che mi ha insegnato il rigore, e Cesco Baseggio, che mi ha insegnato la semplicità con cui dominare lo strumento teatrale. Tutti e tre questi grandi insegnamenti sfociano nell’arte somma di Totò con il quale ho lavorato in dieci film. Totò è la luce delle luci».
Firmò trenta regie teatrali e altrettanti doppiaggi, tra i quali Il laureato di Mike Nichols, Fellini Satyricon e Le mani sulla città di Francesco Rosi. Poi sceneggiati, varietà e film per la televisione dove condusse, tra gli altri, Gran varietà nel 1969. Recitò in commedie per la radio dove fu anche annunciatore, memorabile il suo annuncio della fine della guerra il 25 aprile del 1945. Fu, poi, autore di quattro libri tra i quali In viaggio con amore con la presentazione di Dacia Maraini e la prefazione di Domenico Rea. Premio David di Donatello per Mi manda Picone e nomination agli Oscar per Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone e Ieri, oggi e domani di Vittorio De Sica.
Aldo Giuffré non si fermò mai, tantomeno si arrese, neanche davanti a eventi che avrebbero potuto cambiargli la vita come l’intervento di carcinoma spinocellulare della corda vocale sinistra: «Ci ho lavorato sopra prima del tempo. Mi operai a giugno e debuttai a ottobre. Troppo presto. Ormai convivo benissimo con questa voce da quasi vent’anni. Non mi affatico, so respirare, so adoperare i tre registri vocali. Quello che la gente può credere, che cioè soffro durante il lavoro, non è vero. Sto molto bene così». Insomma, sessant’anni di carriera tra teatro, cinema, televisione, radio, drammaturgia, regia, scrittura e doppiaggio, come ricorda la Signora Elena, sua moglie, nel messaggio inviato al nostro giornale, e che ringraziamo per la disponibilità:
Oggi 26 giugno sono 10 anni senza Aldo! Mi son sempre sentita dire «manca a tutti» da attori, persone comuni, dal suo pubblico, figurarsi a me che ho sempre definito Aldo un dono. Se io non avessi coinvolto amici giornalisti, nessuno si sarebbe ricordato di lui. Non si possono sintetizzare 60 anni di carriera spaziando dal teatro al cinema, televisione, radio, drammaturgia, regia, scrittura, doppiaggio ecc… Critici e gente comune mi dicono: «Tutto quello che faceva, lo faceva bene, sapeva fare tutto». Non lo dico da moglie, ma è la verità!
Fu lui, nel ‘45, ventunenne, alla radio, ad annunciare la fine della guerra, aveva ancora un lievissimo accento napoletano. Ha lavorato con i più grandi, era stimato da loro; dei suoi tre maestri diceva: «Eduardo mi ha insegnato il mestiere, Strehler il rigore, Cesco Baseggio la semplicità con cui adoperare lo strumento: la voce».
Era un uomo generoso e, come marito, eccezionale, protettivo, diceva: «Insieme, per mano, la vita sarà più leggera!».
Mi sono resa conto di quanto Aldo fosse e sia amato da tutti, non frequentava i salotti, non ha vissuto di gossip, non era iscritto a partiti politici, non ha mai fatto il divo, a 29 anni era già Aldo Giuffré solo perché era bravo! Forse questo non è sufficiente in un paese dalla memoria corta, forse i grandi non interessano alle istituzioni, è stato definito Il signore del Teatro dal suo vasto pubblico.
Amava la sua città, senza però perdere di lucidità, diceva: «Per parlare di Napoli, bisogna sapere dove mettere le mani, è troppo facile parlare dei soliti luoghi comuni!». Con fierezza diceva di essere nato in via del Sole 4 nel cuore di Napoli. Ci sarebbe tanto da dire su di lui ma credo che molti conoscano il suo percorso di Artista e di Uomo. Ho segnato frasi d’amore che tantissimi su Facebook scrivono su di lui, le trascriverò in un libro che farò per lui.
Spero solo che non venga dimenticato soprattutto dalla sua città, ha portato nel mondo la Napoli colta, la sua parte più “nobile”.
In attesa di notizie concrete, ringrazio di cuore chi si è reso disponibile per ricordare questo grande Artista anche se, finora, la sua città non lo ha mai ricordato!
Elena Giuffré
E la sua città non lo ha dimenticato: la Commissione toponomastica del Comune di Napoli, su proposta dell’Assessore Alessandra Clemente, da noi contattata nei giorni scorsi per conoscere quali iniziative l’Amministrazione intendesse adottare, ha approvato mercoledì 24 l’intitolazione, in occasione del decennale della sua scomparsa, di una strada o un luogo pubblico, nei pressi del luogo di nascita vicino al Museo Nazionale. E noi ci auguriamo possa essere proprio la strada dove Aldo è nato, attualmente denominata via del Sole.
Pur riconoscendo all’Amministrazione de Magistris la particolare attenzione in questi nove anni al recupero e alla valorizzazione della memoria storica dei suoi figli migliori nel campo della cultura e dell’arte, speriamo che i tempi di attuazione possano essere brevi come successo per altri casi analoghi.