Avremmo potuto farne a meno
gli alberi fanno troppo rumore,
ma cosa ci stanno a fare
i cavalli, ciascuno per suo conto
avremmo finito per perderci,
fare ritorno, fare
tutto quello che vuoi, certe
volte gli alberi riescono
a crescere in direzione del cielo
aspirando l’esplosione dell’istante
inatteso, aspettando che finisca
di piovere, ispirati dall’istinto
correndo da una parte all’altra
ispidi, istigati dall’isteria,
il cuore pieno di bottoni,
le dita immerse, anguiformi,
com’erano belle dalla barca,
soffiamoci sopra, fine.
È con questa poesia, tratta da Frammenti del sasso appeso, che vogliamo ricordare Nanni Balestrini, un grande poeta, scrittore e saggista italiano che è venuto a mancare ieri, 20 maggio 2019, in seguito a una breve malattia. La sua morte ci induce a riflettere e a sfogliare quanto da lui è stato scritto, trasportandoci indietro nel tempo, in quelli che furono gli anni Sessanta e Settanta, per osservare l’eccezionalità dei suoi versi e dei suoi romanzi, racconti che hanno lasciato il segno all’interno di un’epoca.
La notizia della sua scomparsa è stata diffusa rapidamente sui vari social attraverso un post su Facebook del suo editore DeriveApprodi, che negli ultimi anni si era prodigato a leggere e pubblicare i pensieri che l’autore, ormai ottantatreenne, amava riportare nero su bianco. Come si evidenzia dalle parole che ci ha lasciato, la sua poesia rispecchia non soltanto la passione che il poeta nutriva per la vita ma, soprattutto, il voler cogliere l’istante ultimo di ogni cosa, come quello del movimento degli alberi che sembrano crescere in direzione del vento, quell’istante che sicuramente avrà colto anche ieri, prima di chiudere gli occhi, magari elaborando qualche verso definitivo, lasciando dietro di sé un’ampia tradizione e volumi di cui vale la pena leggere e discutere.
Nanni Balestrini nacque a Milano nel 1935. Sin da giovanissimo, mostrò la sua personalità estroversa e ambiziosa tanto da iniziare una collaborazione con la rivista letteraria il Verri, in seguito lavorò presso la casa editrice Bompiani dove conobbe un altro autore di spicco dell’epoca, Umberto Eco, considerato scrittore per eccellenza di quel periodo dopo l’uscita del suo romanzo – definito best seller all’italiana – Il nome della rosa. Balestrini fece parte della Neoavanguardia, o gruppo 63, una cerchia di scrittori che nel lontano 1963 si riunì a Palermo trovandosi a discutere da un punto di vista prettamente letterario riguardo le concezioni del tempo, come il marxismo e lo strutturalismo, richiamandone le idee.
Trent’anni dopo, invece, nel 1993, si occupò di Ricercare, laboratorio di nuove scritture, un nuovo manifesto aperto a scoprire nuove personalità e giovani esordienti proiettandoli nell’ambito della scrittura e della letteratura poiché, come affermava lo scrittore e giornalista Pier Vittorio Tondelli, i giovani devono poter parlare di chi amano e di chi odiano, riportare i loro sentimenti ed emozioni su carta e non pensare che qualcun altro – che sia il miglior scrittore o giornalista – possa farlo meglio di loro, poiché essi scrivono con una leggerezza che non è spaesamento e in questa terra bruciata c’è sempre una possibilità scaturita dai giovani. Questa leggerezza, modulata con lo stesso calibro, era presente a sua volta nel poeta milanese, una limpidità tale nello scrivere che cercò di trasmettere anche, e soprattutto, alle generazioni future.
È Vogliamo tutto, però, il romanzo di maggior successo per cui Nanni Balestrini è ricordato e a cui associamo immediatamente il titolo quando lo sentiamo pronunciare, pubblicato per la prima volta a Milano nel 1971 a cura della casa editrice Feltrinelli. Per l’attualità dell’argomento trattato – in cui potremmo ritrovarci ancora oggi –, il libro divenne un best seller, suscitando dibattiti e polemiche e per questo, in breve tempo, tradotto in francese e tedesco. La storia è quella singolare di Alfonso, un giovane campano che decide di aprire la sua fabbrica a Salerno, costretto, per imparare il mestiere, a vari sballottamenti qua e là in diverse città d’Italia, prima di tutto a Brescia, dove verrà in contatto con dei sindacalisti. Tuttavia, quella di Alfonso non è una personalità stabile, la voglia di lavorare è sempre poca, tant’è che presto sarà costretto a cambiare lavoro e città, dirigendosi in un primo momento a Milano e in seguito a Torino dove sarà assunto a lavorare per la FIAT, grazie anche al grande sviluppo dell’epoca nelle città che appartenevano al cosiddetto triangolo industriale. Ma, nonostante l’opportunità, Alfonso rifiuterà il lavoro, considerato eccessivamente alienante e disumano.
Il punto cardine da cui inizia quello che potrebbe essere considerato il fulcro del romanzo è proprio questo. Da qui, infatti, si evince la sua modernità, permettendo al lettore di immedesimarsi nella sua concezione: Balestrini fa esistere, e resistere, il suo protagonista nel caldo autunno del 1969 – periodo del tutto centrale nella vita dell’autore in quanto caratterizzato da forti cambiamenti della società –, il quale rivendica un’azione diretta degli operai allo scopo di conquistare il potere nella politica e nell’economia: Compagni rifiutiamo il lavoro. Vogliamo tutto il potere vogliamo tutta la ricchezza. Sarà una lunga lotta di anni con successi e insuccessi con sconfitte e avanzate. Ma questa è la lotta che noi dobbiamo adesso cominciare, una lotta a fondo dura e violenta. Dobbiamo lottare perché non ci sia più il lavoro. Dobbiamo lottare per la distruzione violenta del capitale. Dobbiamo lottare contro uno Stato fondato sul lavoro. Diciamo sì alla violenza operaia.
Nello stesso periodo, le assemblee tenute all’Università di Torino sanciscono la saldatura tra le azioni di lotta operaia e studentesche e il 3 luglio 1969 si svolge una grande manifestazione. Qui, il nostro autore deciderà di evitare la prigione ad Alfonso che si salverà rifugiandosi sui tetti, così come egli stesso, dieci anni dopo, a seguito di un’ondata di arresti che ci furono a partire dal 7 aprile del ’79, riuscì a evitare il carcere rifugiandosi in Francia.
Anche da questo romanzo si evince come la figura di Balestrini non volle fermarsi soltanto a ricercare il nuovo e il bello, sia per quanto riguarda la natura sia per le generazioni che lo avrebbero seguito, piuttosto volle distinguersi in quella che potremmo definire come letteratura politicamente impegnata, scrivendo in merito a quelli che furono gli anni di piombo. Riprendendo i primi versi della poesia che abbiamo sfruttato per introdurre lo scrittore, quindi, possiamo riflettere sul fatto che, di un autore della portata di Nanni Balestrini non avremmo mai dovuto privarci. Con i suoi scritti e il suo essere seppe far rumore, sconvolgendo alcuni aspetti della letteratura italiana del tempo e di quella ancora a venire.
Avremmo potuto farne a meno
Gli alberi fanno troppo rumore
Di Nanni Balestrini, dunque, non avremmo potuto farne a meno. Magari, di un albero sì.