Stavolta l’ha fatta grossa il Ministro Sangiuliano. Più grossa della finale dello Strega, quando ammetteva di non aver letto i libri per i quali aveva votato. Più grossa di quando l’anno successivo, sempre a Villa Giulia, preferiva non presentarsi per il dispiacere nostro e di Geppi Cucciari. Più grossa di quando confondeva New York con Londra, i tempi di Colombo con quelli di Galilei, Dante con il fondatore del pensiero di destra.
Per carità, niente da scusare a un ministro, figuriamoci al titolare del dicastero della Cultura nel Paese che tanta ne custodisce e altrettanta ne ha donata al mondo. Eppure, nulla di così grosso – non sul piano politico e internazionale, almeno – quanto l’accenno di tempesta che lo sta travolgendo in queste ore, mentre in un Paese normale sarebbe già valigie alla porta e l’uragano a scombussolare tutto intorno.
Ma l’Italia, si sa, non è un Paese normale e, così, succede che il Ministro della Cultura stravolga il palinsesto del principale canale della tv pubblica e in prima serata, complice il direttore del telegiornale Gian Marco Chiocci, monti ad arte un’intervista – in realtà, poco più di un monologo di 17 minuti – per rispondere a domande che in Parlamento, il luogo deputato, o in conferenza stampa sarebbero state meno compiacenti. Domande che poco, o nulla, avrebbero avuto a che fare con il sentimento, o presunto tale, e molto con l’adeguatezza del ruolo ricoperto. Almeno si spera.
Ma l’Italia, dicevamo, non è un Paese normale e, così, succede che, mentre dal 26 agosto, sui social, una donna di nome Maria Rosaria Boccia racconti di una nomina a consigliere del Ministro Sangiuliano per i Grandi eventi, del suo ruolo piuttosto consolidato in via del Collegio Romano, di telefonate, mail, foto, viaggi spesati dai contribuenti a testimoniare la sua versione dei fatti – fatti che potrebbero avere una valenza politica e istituzionale rilevante –, lui, l’accusato, venga convinto dalla Premier Meloni a presentarsi in televisione a rendere pubblica un’altra verità. Una verità che trasforma il caso politico in mero inciucio, una storia di corna e poca vergogna, con i vicini che sbirciano dallo spioncino. Anche se quei vicini sono milioni di italiani.
Lei dice che si sono conosciuti lo scorso anno (il 5 agosto sosterrà nell’intervista rilasciata a La Stampa), lui di averla incontrata a maggio 2024 in occasione delle Europee. Lei dice di aver ricevuto la nomina dal Ministro, lui di averci pensato e poi ripensato perché consigliato dai suoi in vista di un potenziale – e adulterino – conflitto di interessi. Lei dice che ogni trasferta, attività, ogni invito ricevuto è stato pagato dal MiC, lui di essersi occupato in prima persona delle spese quando non coperte dagli enti ospitanti.
Lei pubblica riprese e foto da Palazzo – vietate –, lui ribatte che al Collegio Romano si è vista quattro o cinque volte, non di più. Lei risponde con documenti e posta elettronica a insinuare di essere in possesso di materiale delicato (il percorso che i ministri dovranno fare in occasione del G7 della Cultura a Pompei, ad esempio, girato via mail a Boccia e a tutti i membri dello staff di Sangiuliano dal direttore del parco archeologico). Lui ribatte che no, non sono informazioni classificate, nulla che non fosse già noto. In vista della nomina ha iniziato a interloquire su questioni marginali. Quali non è dato saperlo. La nomina, ripete lei, c’è stata. La nomina, ripete lui, è stata ritirata: la moglie, Federica Corsini, gli avrebbe chiesto di interrompere ogni tipo di rapporto con questa donna. E sua, dice lui, potrebbe essere la voce femminile di una telefonata diffusa da lei.
Il direttore Chiocci insiste sulla natura della relazione tra i due. Affettiva, sentimentale, personale. Sarebbe durata da maggio a fine luglio, inizi d’agosto. Una relazione “breve” conclusasi perché lui non avrebbe mai messo fine al suo matrimonio. E la voce vacilla, l’occhio si fa lucido, la telecamera fissa. Chiedo scusa a mia moglie, a Giorgia Meloni, ai miei collaboratori. Ancora una volta, il servizio televisivo pubblico si fa servizio privato, di uso politico. Tutto pur di non lasciare la poltrona. Tutto pur di perdere la dignità, ma non il posto, con la Presidente del Consiglio che rifiuta le dimissioni anziché pretenderle, la moglie e l’amante sotto i riflettori, l’eventuale peculato – lei sostiene di aver viaggiato con il Ministro anche per questioni personali (oggi si scoprono i concerti, alcuni eventi privati) –, i favoritismi, i leciti dubbi al buio di un palcoscenico che ha già voluto Ruby nipote di Mubarak, le olgettine ministre della Repubblica italiana.
Non è il modo di questo governo, d’altronde, né di questa classe dirigente capire quando fare un passo indietro, cospargersi il capo di vergogna e raccontare verità. E Sangiuliano che non chiede scusa agli italiani – ma soltanto a due delle tre donne in gioco: la moglie, umiliata, e il capo, che per ora (ma forse per poco) gli tiene la poltrona – ne è la più plastica rappresentazione. Sangiuliano che non si presenta in Parlamento ma si appropria di uno spazio pubblico, mentre la stampa estera si chiede di questa misteriosa bionda – umiliata anche lei: competente o forse no, adescatrice o forse no, bugiarda o forse no – e dell’imbarazzo del Ministro. Se solo ne provasse. Eppure, in teoria, sarà lui a fare da padrone di casa in occasione del G7 della Cultura in Campania, l’evento per la cui sicurezza si teme se davvero una persona priva di incarichi ufficiali ha avuto accesso ai documenti di cui dice.
Ed eccoli i punti da chiarire, altro che corna, altro che vergogna: in quale veste Maria Rosaria Boccia è stata al Ministero, al fianco di Sangiuliano in numerose uscite pubbliche e sopralluoghi, tra i destinatari di comunicazioni interne, nelle chat private dello staff del Ministro? A quali documenti ha avuto accesso? Nei suoi confronti ci sono stati – o avrebbero potuto esserci – favoritismi? Se sì, perché? Sono stati spesi soldi pubblici? Nel caso, chi si accerta della verità? Non possono mica bastare i fogli sventolati al TG1 o, peggio, la parola del Ministro che avrebbe consentito al direttore Chiocci di visualizzare i suoi rendiconti a telecamere spente. Chi ha mentito, dunque? Chi sta mentendo? E, soprattutto, perché?
Sangiuliano sostiene di non essere ricattabile. Boccia risponde che sì, il Ministro è sotto ricatto, non suo, ma del potere che lo ha spinto alle dimissioni per poi respingerle, all’interno di una strategia cinica volta a tenere in ostaggio la cultura italiana in un momento di visibilità internazionale. Una visibilità messa sempre più a dura prova da scelte e personaggi incompetenti, inopportuni, imbarazzanti ai quali addirittura si affidano ruoli chiave, di guida verso il baratro.
Come Sangiuliano, appunto: direttore del TG2 prima di diventare ministro, già vicedirettore del TG1 e di Libero, autore di biografie dedicate a Putin e Trump e di un libro con Vittorio Feltri, collaboratore de Il Foglio e Il Giornale e, da ragazzo, militante del Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano) che lo ha eletto anche come consigliere circoscrizionale nel quartiere Soccavo di Napoli. Galoppino di Mario Landolfi, Italo Bocchino, Nicola Cosentino, Amedeo Laboccetta, lo definì Roberto Saviano in occasione della sua promozione al TG2. Di certo non il miglior rappresentante della cultura italiana.
A meno che non si pensi a Boldi e De Sica, ai cinepanettoni, alle storie di corna senza vergogna. Di vergogna senza verità. Di verità senza prove. Di prove senza processi. Di processi così intestini che, forse, è meglio restare allo spioncino. Fare i vicini che sbirciano. L’amante sotto l letto. La moglie distratta. La tv a un volume più alto per non sentire, per non capire che viva l’Italia il Paese più bello del mondo finché non si è smesso di investire proprio sulla cultura, appannaggio ormai di pochi, carne da macello di privati, terra di conquista della dolce vita social, il turismo senza consapevolezza.
Allora sì, forse Sangiuliano, il suo mancato ritiro, la tresca e i profili social da cui proprio non riusciamo a distrarci – in pochi giorni quello di Boccia ha raggiunto i 100mila followers –, sono degni rappresentanti di un popolo dimissionario e un Ministero senza Cultura. Ma, si sa, l’Italia non è un Paese normale e, così, succede che mentre guardiamo le corna ci perdiamo la vergona. E pure gli abusi.