I sogni sono sempre traditi dalla realtà e quando gli esseri umani cercano di realizzarli, nelle comunità nelle quali vivono, si rendono conto che il progetto di vita reale a cui si riferiscono spesso è un’illusione. Il film Detroit di Kathryn Bigelow costituisce una potente illustrazione delle basi strutturali instabili che ha sempre avuto l’American Dream, soprattutto quando la determinazione individuale e il disegno societario immaginato hanno portato benessere materiale per alcuni a scapito del malessere fisico e morale di tanti altri.
Nell’estate del 1967, negli Stati Uniti si verificarono gravi disordini popolari. Partendo anche dall’insofferenza per l’impegno americano in Vietnam ma soprattutto dalle disparità razziali nei confronti della popolazione afroamericana, la rivolta esplose in varie città e fu particolarmente drammatica a Detroit, nel Michigan, centro nevralgico della produzione industriale delle automobili.
La parte centrale della pellicola – sceneggiata da Mark Boal e realizzata da una Bigelow al meglio delle sue capacità di raccontare per immagini – si svolge attorno all’episodio sanguinoso accaduto, in piena rivolta cittadina, all’Algiers Motel, dove la polizia di Detroit e quella dello stato del Michigan, unitamente alla Guardia Nazionale, fecero irruzione alla ricerca di armi che poi non trovarono.
Durante una notte di terrore, furono fermati una dozzina di giovani neri e due giovani donne bianche. Alcuni agenti della polizia locale sottoposero a pressioni psicologiche e continue violenze fisiche gli indagati e alla fine tre ragazzi furono uccisi. In seguito, le indagini sulle responsabilità non portarono alla giustizia invocata dai familiari delle vittime e dall’intera comunità nera americana.
Come era già successo per i suoi film precedenti The Hurt Locker e Zero Dark Thirty, la regista statunitense descrive come il sogno della democrazia e del benessere americano – e quindi globale, dal momento che il modello, accettato o contrastato, è diventato planetario – non si realizza e viene tradito dalla realtà del mondo economico, sociale e politico.
Molti critici hanno colto in queste opere un fondo ideologico pur sempre nazionalista, se non reazionario, perché troppo “di parte” è la descrizione di quello stile di vita e di governo del mondo che, tra mille imperfezioni e difficoltà, fallisce nei suoi intenti, aggredito dal fenomeno crescente del terrorismo internazionale, che destabilizza gli scenari della geopolitica mondiale.
In Detroit, invece, il paradigma democratico e formalmente egualitario riguardante i diritti civili sembra non funzionare proprio dall’interno della società americana e in larga parte a causa della sua struttura economica e sociale, con la sua ricerca della felicità concentrata soprattutto sulla quantità più che sulla qualità della vita come misura del benessere individuale e collettivo.
Tornando alle vicende umane raccontate nel film, risulta emblematica la storia personale di Larry Reed – un episodio reale emerso durante le ricerche fatte per la scrittura cinematografica –, un giovane e bravo cantante del gruppo vocale The Dramatics. Coinvolto per caso negli avvenimenti accaduti all’Algiers Motel, la notte della repressione segnerà per sempre la sua esistenza e determinerà la fine del suo sogno artistico. Le didascalie alla fine del racconto cinematografico ci dicono che attualmente vive in disparte dal mondo dello spettacolo e che canta ogni domenica nel coro della sua parrocchia.
A cinquant’anni dai fatti raccontati nel lungometraggio, pensiamo ai recenti episodi di cronaca avvenuti in diverse aree metropolitane degli USA, dove giovani afroamericani disarmati sono stati uccisi da alcuni poliziotti, che hanno agito con violenza e al di là del loro compito di ristabilimento dell’ordine pubblico.
Grazie alle riprese fatte con i mezzi tecnologici che abbiamo a disposizione e alla loro diffusione massmediologica, che avviene quasi in tempo reale e in maniera virale, oggi abbiamo la possibilità di essere più informati su ciò che accade realmente per le strade delle città del mondo. Resta da chiedersi, comunque, con quali modalità e fino a che punto la potenza tecnologica a nostra disposizione possa renderci più consapevoli e attivi contro le discriminazioni razziali e sociali o invece, come effetto inatteso, produca una paralizzante assuefazione allo spettacolo quotidiano del male morale.