Ha ancora senso parlare di Europa, in particolar modo di Unione Europea, sulla base dei principi su cui fu fondata? Libertà, democrazia, uguaglianza e Stato di diritto – comprese le istanze delle persone appartenenti a minoranze – promozione della pace e della stabilità: a Maastricht, nel 1993, si dava vita a un’istituzione che, oggi, sembra svanire sotto i colpi della destra.
Quello scorso è stato un weekend di elezioni, in Italia – la Regione Molise era chiamata a rinnovare il proprio consiglio – e in Europa, con le luci puntate in particolar modo alle politiche della Grecia e la svariate tornate locali in Germania. Manco a dirlo, l’en plein della destra sovranista si è consumato senza nessuna sorpresa, semmai qualche triste e preoccupante affermazione.
Come ovvio, i giornali di casa nostra hanno acceso i propri riflettori su quanto accadeva in Molise, dove Francesco Roberti, il candidato della coalizione di centrodestra, ha avuto la meglio su Roberto Gravina, sostenuto dalle forze di un centrosinistra unito per l’occasione, con l’accordo PD-MoVimento 5 Stelle che si è dimostrato, ancora una volta, fallimentare.
E se la segretaria nazionale, Elly Schlein, rivendica la scelta di puntare sull’alleanza con i pentastellati, la regione di cui spesso ci si interroga persino sulla reale esistenza affida il proprio futuro alle politiche che dominano in Italia da ormai un paio d’anni. Un caso? Assolutamente no ed è bene che qualcuno, dal Nazareno, anziché cogliere ogni occasione per mettere in crisi la leadership della neo eletta Schlein, provi ad ascoltare le necessità di un elettorato che ha abbandonato persino l’idea di recarsi alle urne.
Situazione diversa, ma con identici risultati, nel resto d’Europa. Come detto, lo scorso weekend ha registrato la riaffermazione del partito conservatore guidato da Kyriakos Mitsotakis offrendogli la maggioranza assoluta dei seggi. E se la notizia era ampiamente attesa dalla quasi totalità delle testate mondiali, a sorprendere è stata la netta crescita dei partiti dell’ultradestra, saliti fino al 10% delle preferenze degli elettori ellenici.
I gruppi neofascisti e ambiziosamente dittatoriali che hanno sostituito Alba Dorata – sciolta nel 2020 perché riconosciuta organizzazione criminale da parte del tribunale di Atene – mirano a estremizzare il dibattito su diritti civili e immigrazione. Si tratta di Soluzione Greca (Ellinikí Lýsi), Vittoria (Nikh) e Spartani (Spartiátes), e tra loro non mancano posizioni ultracattoliche e una certa affinità con le politiche del Cremlino. Ricorda qualcosa?
Come detto, la riaffermazione di Kyriakos Mitsotakis non era in discussione, così come attesa era la debacle di Syriza, fermo alla metà delle preferenze dei colleghi di nero vestiti. In Grecia – proprio come in Italia – il risultato del partito reso celebre da Tsipras dimostra, ancora una volta, che quando quella che dovrebbe figurarsi come la principale forza di sinistra del Paese si rende capace soltanto di politiche di austerità, a vantaggio di banche e grandi aziende, il suo elettorato a passa a votare per l’originale o abbandona la corsa alle urne. È un destino comune, eppure sembra non interessare o, peggio, non essere competitivo rispetto ai vantaggi che devono offrire gli amici della finanza internazionale.
Se Atene piange, Berlino non ride. Già, perché domenica scorsa, per la prima volta nella storia della Germania riunita, il partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland (AfD) ha strappato la vittoria nel seggio provinciale del circondario di Sonneberg nella parte centro-orientale del Paese. Con il 52% dei voti, Robert Sesselmann ha battuto Jürgen Köpper, presidente uscente e candidato dei cristiano-democratici (CDU).
AfD è da tempo il secondo partito in quell’area e il suo leader locale risponde al nome di Björn Höcke, uno dei più estremisti dell’intero movimento che, secondo i sondaggi, sarebbe cresciuto nelle intenzioni di voto dei tedeschi fino al 20%, un dramma sociale e politico che ben si spiega con le proposte avanzate di cancellare la legge che punisce i negazionisti dell’Olocausto e le critiche mosse a Berlino per l’installazione del memoriale dello sterminio degli ebrei nella capitale.
Come già si raccontava in un articolo dell’ottobre 2017, l’AfD e le nuove destre prendono sempre più piede nelle zone che, ai tempi del Muro, erano sotto il controllo della DDR. Come allora, anche oggi le analisi degli addetti ai lavori puntano il dito contro la gestione della Repubblica Democratica Tedesca. L’idea è sempre la stessa, ossia rimarcare quanto nella vecchia Berlino Est le condizioni di vita fossero al limite della disperazione, quanto i trent’anni sotto il dominio della DDR avessero lasciato buchi finanziari e sociali ancora oggi non riparati.
Come in Italia, così in Grecia, anche in Germania la sinistra non trova altra strada che dichiararsi nemica di se stessa, del proprio passato, della propria storia, dimenticando – incredibilmente – come, dopo la riunificazione, l’Ovest non fu in grado di offrire lavoro a oltre un milione di persone che persero la propria occupazione tra il 1991 e il 1992 solo a Berlino Est.
La polvere che i socialdemocratici insistono a spingere sotto al tappeto racconta, di fatto, del fallimento di ogni forma di sinistra europea, di un progetto incapace di farsi garante delle istanze degli ultimi e che ha spinto una fetta degli abitanti della ex DDR a cercare in altri alleati i portavoce delle proprie rimostranze. Conta il risultato, a ogni costo, e oggi quel risultato è promesso loro dalla AfD.
Quindi, tornando a monte, ha ancora senso parlare di Europa, in particolar modo di Unione Europea, stando alle scelte elettorali della popolazione continentale? La risposta sembrerebbe scontata, eppure è proprio ora il momento di dire che sì, ha senso. Anzi, è tempo che quei diritti di cui sopra tornino ad affermarsi. Ma finché non ci sarà alcun partito politico che agli interessi del liberismo sostituirà quelli della libertà e l’uguaglianza dei popoli, le speranze si affievoliscono sempre più.