E gli occhi come incanti d’onde scivolanti ai bordi delle sere. – Roberto Vecchioni, Orfeo
È il 23 febbraio scorso, a Pisa, quando un gruppo di studenti decide di manifestare pacificamente e comporre un corteo di solidarietà per il popolo palestinese. Alcuni agenti di polizia rispondono a una marcia pacifica con la violenza, con i manganelli. Quindici ragazzi finiscono in ospedale, undici dei quali minorenni, con prognosi che vanno dai cinque ai trenta giorni. Interviene il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sostenendo che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento.
A tale vicenda segue un vociare spesso oscillante e confuso, delle grida atroci che sembrano giustificare chi chiude la bocca a qualcun altro con la forza, inconsapevole che un pensiero forte e centrato non ha catene né possibilità di cancellarsi perché vola. E poi c’è una reazione rivoluzionaria, potente e tacita, come solo la pacatezza sa essere, lontana dal grido. Una reazione pregna di umanità e dolore, foriera di un pensiero nitido e onesto, frutto di uno sguardo incantato, esempio di quanto la forza sia distante dalla prepotenza. È quella del professor Roberto Vecchioni durante il programma In altre parole su La7.
Dopo aver visto il video delle manganellate degli agenti di polizia, lo sguardo di Vecchioni si vela di lacrime e malinconia, ferito da un affronto inammissibile: la punizione, la censura di un pensiero, aggravato dall’utilizzo della violenza. È il dolore di uomo che ha creduto per tutta la vita al pensiero come strumento di libertà e alla parola come risorsa di verità, nutrimento dell’animo, ago pesante e pensante, filo leggero e determinante nel tessuto della vita. Quelle immagini, dice, non sono cose che si possono vedere, o meglio, si devono guardare, ma non devono succedere perché noi non siamo così.
Se nelle parole noi non siamo così ci fosse un invito a riportare alla memoria e al cuore l’etimologia, l’origine, di certi vocaboli e quindi di certe cose? La parola repubblica deriva dal latino res publica, Stato di tutti. Così come la parola democrazia, dal greco demos e kràtos, indica il potere al popolo. Dov’è lo Stato di tutti, se manifestare il proprio pensiero equivale a essere risposti con la prepotenza della violenza? Dov’è il potere al popolo se il popolo diventa una diramazione da addestrare, frustrare, ferire, zittire, deviare a suon di botte e ossa rotte? La parola violenza deriva dal latino vis che significa forza e prima ancora dal protoindoeuropeo weyh che significa sopprimere, perseguitare.
Nell’agosto 2022 Giorgia Meloni, non ancora Presidente del Consiglio, condivide su Twitter il filmato di uno stupro subito da una donna ucraina per strada a Piacenza da parte di un uomo richiedente asilo. Nella didascalia del post manda “un abbraccio” alla vittima. Quell’abbraccio è di quanto più becero possa concepire la mente umana. È l’espressione precisa del pensiero subdolo e violento che la sua politica porta avanti. Si gode perché lo stupratore è un richiedente asilo. Si gode perché c’è del materiale a documentarlo per alzare un polverone. E non importa se quella polvere può essere la cenere di un dolore indicibile, un dolore che cancella, annienta, imprigiona chi lo subisce.
Che abbraccio può mai essere? È un acido, non un abbraccio. Questo acido chi sfigura? Quella donna che non avrebbe mai dovuto vedere diffuso in rete un video della sua atroce personalissima violenza subita. Ma non solo lei. Sfigura Tutti. Sfigura una politica e una società agonizzante e disinteressata in cui tutto è lecito, tranne essere umani. È lo stesso acido corrosivo e ingannevole cosparso dalla Lega Nord, che ha eliminato la connotazione Nord per accaparrarsi voti al Sud e poi appena ha potuto ha promosso e appoggiato l’autonomia differenziata.
È necessario bloccare il flusso di quest’acido. È necessario insinuarsi fra le pieghe di un governo che calpesta il popolo per succhiarne potere e limitare libertà e pensiero. Lo si può fare solo e unicamente creando una comunità, rivalutando e riscoprendo il senso comune, che non vuol dire correre per sorpassare qualcuno, ma rallentare per stare al passo di tutti e procedere uniti, non per arrivare prima degli altri. Chi corre arriva per primo. Ma chi sa come, dove vuole andare, perché e con chi, giunge più lontano.
In un’intervista Vecchioni ha detto che se alcuni ragazzi fanno cose orribili è perché hanno perduto le parole. Il professore ha fatto del pensiero, della lingua e della musica le guide della sua vita di uomo, insegnante, cantautore.
Pensiero deriva dal latino pensum, participio del verbo pendere, indicava inoltre un quantitativo di lana che andava pesato, poi trattato dalle donne schiave dell’antica Roma per creare nuove forme. Il pensiero quindi è un peso, non un peso che affossa, ma un ricamo artigianale, una possibilità di creazione dell’uomo e per l’uomo.
Parola deriva dal verbo greco paraballo che significa confrontare. Solo dal confronto possono essere generati scambio e crescita. Non esiste confronto e scambio senza civiltà. Non esiste crescita senza umanità. Musica deriva dal greco mousikè, insieme delle Arti presiedute dalle Muse. È probabile che la reazione di Vecchioni volesse dirci proprio questo?
Nel suo libro La vita che si ama. Storie di felicità, Vecchioni ha scritto: Il boato, il picco d’intensità, non è uno sgraffio e pare che bruci di sole, ma la felicità non è lì, sta nel silenzio che segue, nella lunga nota di quiete dove danzano punti di luce da afferrare e mettere insieme, a farne figure. E allora non basta che accada, dobbiamo anche farla accadere.
Dunque, nel rumore indistinto e opprimente, nel buio pesto in cui la democrazia sta subendo pressioni inaccettabili e vergognose, la reazione di Vecchioni è un paesaggio da osservare con coscienza e attenzione, un taglio dentro il quale posizionarsi dolorosamente, per pensare e ripensare quali punti luce afferrare e mettere insieme, lontani dal boato. È la musica da ascoltare per sanare la prepotenza di ogni forma di dittatura. Che è lo sguardo incantato d’onde scivolanti ai bordi delle sere. L’unico sguardo capace di difendere l’umanità, anche restasse un solo uomo.