Si chiama Dedicata a te social card ed è – come dichiarato dalla Premier Giorgia Meloni – una «tra le diverse misure che il governo sta mettendo in campo per dare un concreto e incisivo sostegno alle famiglie maggiormente colpite dalla crisi, e in generale dal caro prezzi». In attesa di scoprire le altre, una buona iniziativa, direte voi. E invece…
Nello specifico, si tratta di una carta elettronica distribuita da Poste Italiane con un contributo unico di 382,50 euro per l’acquisto di generi alimentari di prima necessità. Presentata con grande soddisfazione lo scorso 11 luglio, la misura è destinata a persone con ISEE fino a 15mila euro, eccetto i nuclei familiari già percettori di reddito di cittadinanza, di reddito di inclusione o qualsivoglia sussidio di disoccupazione. Insomma, è ad appannaggio di pochi e a esclusione di coloro che, forse, ne hanno più bisogno.
I beneficiari, stando alle stime, sono circa 1,3 milioni di italiani, i quali dal prossimo 18 luglio saranno contattati dai propri Comuni di residenza per ricevere le indicazioni per il ritiro della card presso gli uffici postali. Non è necessario, infatti, presentare domanda: bastano l’iscrizione all’anagrafe, la certificazione ISEE in corso di validità e un nucleo familiare di tre componenti. In graduatoria, inoltre, hanno priorità i nuclei con figli nati tra il 2023 e il 2009. Qualora dovessero “avanzare” delle carte – spiega il MASAF, il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, senza indicarne il motivo – queste verranno assegnate a nuclei anche unipersonali, in effettivo stato di bisogno, sulla base di informazioni rinvenienti da locali servizi sociali, presenti in un altro elenco redatto dall’INPS.
Il contributo, dicevamo, può essere utilizzato soltanto per beni di prima necessità. Le carte, infatti, saranno operative da metà luglio e andranno attivate entro e non oltre il 15 settembre per rispondere alle difficoltà che in questi mesi stanno attanagliando le famiglie italiane. Almeno, per come vogliono venderla da Palazzo Chigi. Ma è davvero così?
Facciamo un rapido calcolo. Dividete 382 euro per cinque mesi e mezzo – perché il contributo è valido fino al 31 dicembre. Certo, lo si può spendere in una sola volta, ma anche a poco a poco. Il risultato, però, non cambia. Sono sempre 382 euro che, al giorno, si riducono ad appena un paio. Già, perché è a questo che ammonta «il concreto e incisivo sostegno alle famiglie maggiormente colpite dalla crisi, e in generale dal caro prezzi», a 2 euro al giorno. Ora, ditemi: cosa riuscite a comprare con questa cifra? A Napoli, forse, un tozzo di pane. Altrove, nemmeno quello. Probabilmente una ciofeca chiamata caffè. È questa la social card per gli acquisti alimentari della destra al governo, la stessa che ha incriminato – e abolito – il reddito di cittadinanza e che si è ripresa i vitalizi per i parlamentari. Perché si sa, ormai lo abbiamo capito, in Italia il problema non sono i soldi. Sono quelli che ne hanno bisogno.
E, così, il rdc – che, in teoria, nasceva come risposta alla povertà (e molto ha fatto per permettere a tanti di sopravvivere) nonché come misura di politica attiva del lavoro – è stato prontamente oggetto di revisione (non quella che serviva) da parte del governo Meloni che, a poche settimane dal suo insediamento, ne ha previsto una limitazione (riducendolo a 375 euro al mese, a proposito dei due euro al giorno) e poi l’eliminazione dal 2024 per tutte le persone considerate occupabili, ossia coloro che hanno tra i 18 e i 59 anni e non sono invalidi, né hanno nel proprio nucleo familiare minori o disabili. Si tratta ovviamente di un’occupabilità esclusivamente in astratto se si considerano le reali possibilità di impiego offerte dal mercato italiano e in particolare le condizioni a cui questo viene offerto.
In effetti, sin dalla sua approvazione, il reddito di cittadinanza è stato oggetto di attacchi violenti da parte di una certa politica che ha promesso quel che poi sta facendo: la guerra ai poveri. E se pensiamo che sono proprio i poveri il maggior serbatoio elettorale delle destre, possiamo ben comprendere come nel nostro Paese la questione ruoti tutta intorno a una vana ricerca di rappresentanza, anziché a veri e più o meno nobili ideali.
La scusa, per chi ha caldeggiato l’abolizione dell’unica misura di welfare che questo Paese abbia prodotto negli anni, sono sempre stati i furbi, quelli che con il rdc e per il rdc hanno reiteratamente fatto brogli. Eppure, in merito alla possibilità di frodi nell’utilizzo della social card appena emessa, il Ministro Lollobrigida, fautore di questo fondamentale incentivo, ha risposto che il governo «confida sul controllo degli esercenti e sul fatto che i cittadini spendano i soldi che ricevono con questa modalità» dal momento che «non è possibile mettere su un Grande Fratello» per le verifiche. Se non si stesse discutendo di fame – quella vera – verrebbe quasi da ridere.
In Italia sono circa 5,6 milioni le persone che l’ISTAT dichiara in povertà assoluta, che non riescono, dunque, ad avere accesso a beni e servizi essenziali. Altri 15 milioni sono a rischio esclusione sociale. Vien da sé che una misura una tantum già irrisoria e destinata ad appena 1,3 milioni di famiglie per un totale di circa mezzo miliardo di euro non solo non ha senso, ma è al pari di uno schiaffo in faccia a chi di quegli spiccioli ha concreto bisogno e, invece, spesso – per sottrarsi alla vergogna o alla gogna sociale – è costretto a eliminare almeno un pasto dalla propria alimentazione quotidiana, mentre altri commettono delle imprudenze a cui non hanno mai pensato prima o altri ancora – talvolta contestualmente – sprofondano nella depressione.
Come può, dunque, la Dedicata a te social card offrire loro delle risposte? Al netto dei suoi limiti – che più volte su queste pagine abbiamo analizzato – la misura introdotta dal MoVimento 5 Stelle è la sola che in questi anni, in particolare con l’avvento della crisi legata alla pandemia, ha risposto alle difficoltà di molte famiglie italiane al punto da salvare – fonte ISTAT – un milione di persone dalla povertà assoluta.
Solo in riferimento al biennio pandemico, ad esempio, il rapporto annuale del noto istituto di statistica ha raccontato che l’intensità della povertà, senza sussidi, nel 2020 sarebbe stata di 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28.8% (a fronte del 18.7% osservato). Si leggeva, inoltre, che il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato dal 2005 al 2021, passando da 1.9 a 5.6 milioni (il 9.4% del totale), mentre le famiglie sono raddoppiate da 800mila a 1.96 milioni (il 7.5%). «Un concreto e incisivo sostegno alle famiglie maggiormente colpite dalla crisi, e in generale dal caro prezzi» è stato, dunque, il reddito di cittadinanza. Tra l’altro, permettendo anche la possibilità di acquisto di farmaci, cosa che, in cambio, la Dedicata a te vieta espressamente, acuendo ancora una volta quell’enorme dramma sociale che è la rinuncia alle cure in un Paese il cui sistema sanitario è in affanno e i privati inaccessibili per i costi delle prestazioni.
A chi è dedicata, dunque, la tanto declamata misura meloniana? Cos’è dei poveri che fa così tanto ribrezzo a chi ci governa? All’indomani dalle elezioni del 25 settembre scorso, quelle che hanno registrato l’affluenza alle urne più bassa di sempre (63.91%) – in particolare nel Mezzogiorno d’Italia – l’unica analisi sul voto era stata la solita condanna al Sud vendutosi al miglior offerente. E, ovviamente, l’offerente – come spesso in questi anni – era il reddito di cittadinanza. Quello che i più fini commentatori chiamano ancora voto di scambio e non un segnale, allarmante, di disagio socio-economico.
Riparlarne oggi, a governo ormai più che operativo, sembra anacronistico. E, invece, deve far riflettere su quanto non sia cambiato nulla nelle intenzioni di chi si è candidato alla guida del Paese e nel Paese stesso, dove se qualcosa si è mosso è soltanto l’ascensore sociale che spinge verso il basso. Non è cambiata l’assenza di una voce da una parte e la finta voce grossa dall’altra, dove a trarre benefici sono i soliti che ne hanno già per natura, per appartenenza di ceto, per fortuna. Quelli a cui è dedicata un’intera classe politica dirigenziale e non una farlocca social card. Perché due euro al giorno per cinque mesi non tolgono la fame. E non la acuiscono nemmeno.
Due euro al giorno uccidono. Chissà, forse da morti la puzza di povero non si sente a palazzo.