Ancora poche ore e il 2019 si iscriverà ai libri di storia. Con esso, il decennio degli anni Dieci del terzo millennio sta per volgere al termine. Riassumere quanto è accaduto sulla scena nazionale e mondiale, quanto ha influito sul determinarsi delle condizioni di vita odierne è impresa al limite dell’impossibile per qualsiasi editorialista, tuttavia alcuni titoli che hanno occupato le prime pagine dei principali quotidiani italiani e internazionali, al momento del lancio, stavano già raccontando di un mondo che non sarebbe più stato lo stesso.
Il ’10-’20 si apre con l’annuncio dell’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, dell’atteso ritiro delle truppe militari dal territorio dell’Iraq, dove la fallimentare operazione di guerra iniziata dall’amministrazione Bush – atta a disarmare lo Stato di Saddam Hussein dagli ordigni di distruzione di massa – insiste dal 2003. Sempre da oltreoceano arriva, nella primavera del 2011, la notizia dell’uccisione di Osama Bin Laden, da tutti riconosciuto come l’artefice del tragico attentato al WTC dell’11 settembre 2001. A New York, migliaia di persone scendono in strada a festeggiare quello che somiglia a un risarcimento atteso troppo a lungo.
È, però, il decennio della depressione economica che colpisce l’intero pianeta e mette in ginocchio l’Italia nell’inverno 2011. Chi non ricorda la prima pagina de Il Sole 24 Ore che titola FATE PRESTO? La nostra penisola certifica la crisi e, con essa, la fine dell’ennesimo governo Berlusconi e il via libera alle politiche dell’austerity introdotte da Mario Monti e condotte – negli anni a venire – dal bipolarismo PD-Forza Italia. Sono gli anni del liberismo slegato da ogni regola, delle multinazionali come Amazon che fagocitano il mercato e sviliscono i piccoli imprenditori, delle grandi opere in nome della velocità su cui far viaggiare le merci, anziché delle manovre atte al progresso delle regioni del Mezzogiorno, lasciate sole con i loro giovani in volo verso nuove opportunità.
Sono tanti, tantissimi, i ragazzi, le donne e gli uomini che lasciano il proprio Paese in cerca del significato della parola futuro: l’hanno sentita dai nonni, gliel’hanno promessa le mamme tenendoli in braccio, eppure, suona come qualcosa che non dovrà appartenergli. Dal sud dell’Europa, dall’Italia, partono in centinaia di migliaia, oggi parlano inglese, tedesco e tornano a casa soltanto per il Natale. Dall’Africa, invece, in troppi salutano e non fanno ritorno, in troppi salutano e non arrivano mai. Il ’10-’20 racconta dell’ecatombe del Mediterraneo, di cui il giovane Aylan Curdi è diventato il tragico simbolo. La Libia e la Siria sono terre cancellate dalle bombe e dimenticate dall’indifferenza di quell’Occidente che esporta democrazia. Milioni di morti, case che non esistono più, vite senza una storia.
Finisce il decennio che tenta di azzerare la memoria storica, che si pone l’obiettivo di riscriverla. I reduci da quell’atroce ricordo che è la Seconda Guerra Mondiale, che sono i campi di sterminio nazisti, cedono uno alla volta all’età e lasciano il campo all’inconsistenza populista e alla bestia sovranista che provano, così, a intercettare il malcontento di popoli lasciati soli con le proprie paure. Sono gli anni – in particolar modo questi ultimi – dell’ascesa di Donald Trump che succede a Obama, di David Cameron, Theresa May e Boris Johnson, gli artefici della Brexit, di Recep Erdoğan e delle immagini che, dalla Turchia, fanno il giro dei cinque continenti con la repressione operata verso dissidenti, giornalisti e insegnanti, del massacro nei confronti del popolo curdo.
Non siamo stati mai più connessi, eppure, siamo distanti. Spopolano i social media, Facebook è la piazza virtuale più grande del mondo, su Twitter volano le notizie azzerando ogni tempo di reazione: un fatto accade e in pochi attimi è in rete, che sia un annuncio politico, il risultato di un evento sportivo o il video di un nuovo camion bianco che piomba sulla folla, un altro attentato. Abbiamo milioni di amici ma abbiamo paura, il vicino è il primo individuo da cui mettersi in guardia. Sono gli anni dell’economia dell’ansia e le fotografie che intasano ogni giorno le bacheche virtuali – oggi con Instagram in primo piano – certificano l’inadeguatezza di giovani senza altre certezze che non si contino con il numero di like che sono in grado di guadagnarsi.
Saluta il decennio che racconta del naufragio della Costa Concordia, dell’incendio alla cattedrale di Notre-Dame, dell’alternanza dei due papi, Benedetto XVI e Papa Francesco. Finisce in soffitta anche l’Oscar a Paolo Sorrentino con La grande bellezza, il triplete dell’Inter di Mourinho, il successo planetario del romanzo L’amica geniale di Elena Ferrante e la reunion dei Red Hot Chili Peppers, giunta in extremis. Cambia lo sport con l’introduzione della tecnologia in campo – dal rugby, al basket, al calcio – e anche il cinema non è più lo stesso, con le piattaforme di streaming come Netflix che giurano guerra al grande schermo e tante volte la vincono. Le serie TV sono la narrativa del presente e del futuro.
Non deve, però, appartenere allo ieri la verità. Non sarà un decennio in pensione a cancellare la vicinanza a Giulio Regeni e Silvia Romano, nostri ragazzi, nostri fratelli, i verbi delle cui vite la politica si è già tristemente rassegnata a coniugarli al passato. Non noi. Se – come in chi lo ha scritto – questo articolo ha generato tristezza, sfiducia, forse persino angoscia e malinconia, ecco il motivo per cui abbiamo lasciato per ultimi i ragazzi dei Fridays For Future, l’onda dei milioni di giovani che chiedono ai potenti del globo un futuro per loro e il pianeta che abitano. Da sempre, e non solo dal ’10-’20, il verde è il colore associato alla speranza, e il fiume di tante anime che ancora dimostrano di sapersi trovare per strada e abbracciarsi nel nome di un obiettivo comune è il modo perfetto per affacciarsi a un nuovo decennio, al ’20-’30, con il proposito di ritrovarci nel dicembre 2029 a raccontare di storie migliori. E perché no… di un nuovo triplete neroazzurro (nda).