«Quell’anima là sù c’ha maggior pena»,
disse ‘l maestro, «è Giuda Scarïotto,
che ‘l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
De li altri due c’hanno il capo di sotto,
quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto!;
e l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem veduto.»
Quelli appena riportati sono solo alcuni dei versi del XXXIV Canto della Commedia. A parlare è il Maestro Virgilio, attraverso l’immensa penna del Sommo Poeta Dante Alighieri. Siamo nel IX cerchio dell’Inferno, più precisamente nella Giudecca, la quarta e ultima zona di Cocito, il lago nella cui ghiaccia sono imprigionati, come festuca in vetro, i traditori. I due viaggiatori, che si accingono al cospetto di Lucifero, scoprono le anime di coloro che si sono resi colpevoli del più turpe dei tradimenti, quello a scapito dei benefattori. Qui non vengono citati dannati, a eccezione di Cassio, Bruto e Giuda Iscariota – da cui prende il nome l’intera area – tormentati nella bocca del Diavolo.
Pochi giorni fa, Diego Fusaro, sedicente filosofo, ha riportato alla mente di molti di noi vecchi ricordi di scuola, tra cui Dante, la sua Commedia e, in particolar modo, la Giudecca, servendosene per giustificare l’ultima censurabile opinione espressa da Debora Serracchiani, attuale presidente PD del Friuli Venezia Giulia ed ex vicesegretaria dei democratici, secondo la quale la violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancora più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese.
Una frase che, ovviamente, non ha lasciato indifferenti. Molte, infatti, sono state le reazioni dal mondo della politica ma, anche dell’opinione pubblica, entrambi divisi in equa parte tra i sostenitori e gli accusatori della donna – definita razzista – che, come se non bastasse, ha rincarato la dose in diverse dichiarazioni contraddittorie affidate ai social network: Credo di aver detto una cosa evidente alla stragrande maggioranza dei nostri concittadini. Non rendersene conto significa fare il gioco di quelli che razzisti lo sono veramente. I razzisti vogliono respingere i richiedenti asilo, io voglio accogliere chi scappa dalla guerra. I razzisti pensano che una violenza fatta da uno straniero sia peggiore di quella fatta da un italiano, per me la violenza è sempre e comunque da condannare, senza colore e senza graduatorie. Se occorre lo ripeto. […] Un richiedente asilo chiede un atto di solidarietà e la comunità che lo accoglie instaura con lui un rapporto di fiducia. Solidarietà e fiducia tengono insieme le famiglie. Per questo una violenza su un minore è odiosa, ma se viene compiuta in famiglia è ancora più odiosa. A renderla tale è il fatto che a commetterla è stata una persona “di fiducia”. Oltre alla vittima, della quale ci si dimentica sempre quando scoppiano polemiche ideologiche e pretestuose, vengono infatti traditi gli altri richiedenti asilo e tutti quelli che si battono per l’accoglienza dei migranti.
E ancora, tentando di aggiustare il tiro: non esistono stupri di serie a o serie b. Dimenticando, però, di aver sostenuto – solo poche ore prima, commentando un caso di violenza subita da una diciassettenne forse per mano di un richiedente asilo – di riuscire a capire il senso di rigetto che si può provare verso individui che commettono crimini così sordidi e di essere convinta che l’obbligo dell’accoglienza umanitaria non possa essere disgiunto da un altrettanto obbligatorio senso di giustizia, da esercitare contro chi rompe un patto di accoglienza.
Parole, quelle della Serracchiani, che hanno ineluttabilmente scatenato un acceso dibattito tra le parti, forti soprattutto di quel vento xenofobo e razzista, proveniente da destra, che negli ultimi anni soffia insistente sul nostro Paese e sull’Europa tutta. Immancabili, infatti, i commenti del sempreverde Salvini – al cui elettorato la democratica sembrerebbe aver strizzato l’occhio – ma anche degli adepti di Forza Nuova che hanno invitato il presidente del Friuli a ritirare la tessera onoraria del loro movimento, lanciando l’hashtag #arrendeteviallarealtà. A opporsi, invece, sono stati, tra gli altri, lo scrittore Roberto Saviano, il segretario nazionale di Sinistra italiana Nicola Fratoianni e il sindaco di Milano Beppe Sala.
Come anticipato, però, a dover dire la sua non ha resistito nemmeno il collega Fusaro che, su Il Fatto Quotidiano, ci ha spiegato perché la Serracchiani ha ragione, scomodando – ahinoi – Alighieri e quei celebri versi ai quali, a suo modo di vedere, dovremmo affidarci per capire da che parte schierarci: ecco perché la frase – definita pacatissima – della signora Serracchiani, se contestualizzata, è vera. Per Fusaro l’armata Brancaleone del buonismo ha imbracciato le sue armi e i pittoreschi cultori del mito immigrazionista hanno perso un’altra buona occasione per tacere. Senza dimenticare le sue definizioni di boldrinismo – la più disgustosa delle varianti ideologiche della sinistra metamorfica amica di tutte le minoranze e nemica dei lavoratori e delle classi popolari – e commentando le esternazioni dell’autore di Gomorra – lirico servilismo – ci ha invitato, poi, ha scegliere se stare con il sommo Dante o con la signora Boldrini e il signor Saviano.
Ringraziandolo per averci rinfrescato i ricordi di scuola, però, viene da chiedere all’articolista il motivo per il quale affidare al Sommo Poeta la responsabilità di parole così dure, violente e – ribadiamolo – razziste ma, soprattutto, il nesso tra i binomi traditori-benefattori e immigrati-italiani, lì dove si fa fatica a capire chi siano coloro che fanno del bene.
Quando mi affaccio dalla finestra, infatti, vedo solo persone trasandate tentare di pulire i vetri delle auto ferme ai semafori per pochi spiccioli che nemmeno intascheranno, uomini e donne rovistare nei cassonetti alla ricerca di indumenti usati, consumare cibo che qualcuno ha gettato via o donato loro sentendosi novelli Robin Hood, li vedo dormire in letti improvvisati e stanze senza pareti, ma non come quella della canzone. Li vedo raccogliere i pomodori, forse sottopagati, forse nemmeno quello, l’importante è costringerli alle fatiche e stiparli in baracche luride e pericolanti. Li vedo stringersi ai loro bambini, che sorridono sempre, mentre gli raccontano un mondo che, scopriranno presto, non li vuole. Li sento ringraziarci, noi, gli italiani, i benefattori, quando compriamo una delle cianfrusaglie che qualche nostro mafioso concittadino gli avrà affidato promettendo di lasciarli in vita. Li sento chiamare mamma le donne, quelle più avanti con gli anni, e penso che di materno, in tutto questo, non ci sia proprio nulla. Li vedo raccolti in numeri, ogni giorno, in TV o sui quotidiani. So approssimativamente quanti giungono sulle nostre coste, quasi mai, invece, quanti non riescono a farcela. Sono immigrati, profughi, richiedenti asilo. Non hanno nome, non hanno volti. Sono i diversi, quelli che ci rubano il lavoro, quelli che stanno negli hotel a 35 euro al giorno. Ma non conosco nessuno che li abbia incontrati, lì negli alberghi, e non sono mai stati seduti accanto a me, nelle sale d’attesa, sperando nel prossimo colloquio.
Allora, sedicente filosofo, chi sarebbero i benefattori? Noi? A rispondere ci ha già pensato la storia.
Forse, prima di spararne un’altra così grossa, bisognerebbe ricordare a Lei e al presidente Serracchiani che a quella ragazzina non avete dato alcun aiuto. Non avete cancellato dai suoi ricordi le mani che la toccavano senza volerlo, l’odore di quell’uomo su di lei, le gocce di sudore sulla sua fronte, il viso che affondava nei capelli. I vestiti che non la coprivano più, la vergogna della confessione, il segreto del silenzio, il dolore negli occhi di chi la ama o la vita che cambia repentinamente. Vi siete mai chiesti cosa si prova? Una vittima di violenza non chiederà mai il permesso di soggiorno al suo abusatore.