Una nuova sfida si prospetta all’orizzonte di Luigi de Magistris. Il Sindaco della città di Napoli ha recentemente annunciato la propria candidatura alle elezioni regionali in Calabria, scatenando, così, un dibattito che ha coinvolto non solo le componenti politiche napoletana e – appunto – calabrese, ma ha attirato anche l’attenzione del mondo dell’informazione, oltre che di qualche suo vecchio antagonista.
In una lunga intervista concessa al nostro giornale, l’ex magistrato ha raccontato della corsa alla Cittadella come di un cerchio che si chiude, soprattutto in relazione alle recenti dichiarazioni del PM Luca Palamara, e ha approfittato per rispondere a Roberto Saviano che, qualche settimana fa, era tornato a parlare di lui sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno.
Nel frattempo, gli ultimi mesi del suo mandato alla guida del capoluogo campano stanno per giungere al capolinea. I lavori da portare a termine sono ancora tanti – dice – ma spero che dopo di me toccherà a un giovane.
Vorrei cominciare dalla prossima sfida che La attende: in un recente articolo per Mar dei Sargassi ho scritto che torna in Calabria per chiudere il cerchio. Sta tentando la corsa alla Cittadella per riprendere il filo di ciò che aveva lasciato, ovviamente in altra veste?
«Quell’esperienza è stata fondamentale, e torna ora utile per affrontare una sfida che ha come comune denominatore il senso di giustizia, lo spirito profondo che ha caratterizzato il mio impegno da magistrato e oggi la missione politica amministrativa. Sono stati nove anni di un lavoro assai impegnativo, serio e anche determinante per tante cose. È la sfida di un cambiamento attraverso la politica e la cultura, governare in maniera assolutamente alternativa al consociativismo trasversale del partito unico della spesa unica, che è quello che caratterizza da decenni la Regione Calabria. Il destino mi riporta in quella terra e lo faccio con grande passione, grande entusiasmo, perché il mio legame con la Calabria è antico, profondo, ed ecco perché ho deciso di intraprendere questa avventura difficile. Saranno necessari dedizione e coraggio».
Una cosa è certa: Le piacciono le sfide difficili. C’è un buco finanziario gigantesco, soprattutto per ciò che riguarda la sanità, una forte commistione tra politica e affari mafiosi, infine lo scetticismo e l’arrendismo della gente. Da dove si parte?
«Proprio per questo è una sfida affascinante. Indubbiamente, dopo anni di impegno in prima linea, ci sarebbero diversi motivi per dedicarmi ad altro. Invece, proprio questa serie di caratteristiche mi fa pensare che sia un momento fondamentale per la politica in Calabria. Da una parte, c’è un sistema affaristico-criminale, a tratti mafioso, molto opprimente che riguarda certamente una minoranza della popolazione ma è molto potente e crea vincoli, appartenenze. La sanità ne è soltanto l’apice. Dall’altra, c’è un’energia e una filiera di storie davvero straordinaria, la Calabria è ricca di tante esperienze, tanti laboratori, un’infinita umanità che non è mai riuscita a trovare un’adeguata corrispondenza nella politica e nelle istituzioni, salvo rare eccezioni. Considero la mia candidatura un’opportunità per dare speranza, forza e potere a chi non lo ha mai avuto per poter cambiare lo stato di cose vigente. Poi – è chiaro – c’è sempre quella dose molto meridionale di sfiducia e rassegnazione, e lì va fatto un lavoro per far comprendere che si può realizzare un’alternativa che non è data dalle buone parole che io o altri possiamo spendere, ma da proposte e storie credibili. I calabresi sanno perfettamente la pasta di cui sono fatto. Già avevano ben capito com’erano andate le cose dieci anni fa, e oggi, anche con le recenti confessioni di Palamara, si chiude un cerchio. La mia è una carta di identità importante per il calabrese che non ha più fiducia. Ne incontro tanti che hanno seguito le vicende di Napoli di questi anni e hanno avuto modo di constatare come la nostra città sia diventata un punto di riferimento per il Mezzogiorno grazie a un nuovo modo di fare politica».
A proposito del caso Palamara. Pochi giorni fa, l’ex PM ha dichiarato: scaricammo de Magistris con l’ok del Quirinale. La vive come una rivincita?
«Ho provato soddisfazione, non più l’inquietudine di dieci anni fa. Di fatto, Palamara ha confermato quello che io avevo affermato all’autorità giudiziaria sin dal primo momento, quando ricostruivo il golpe istituzionale giudiziario di cui ero stato vittima insieme ai miei collaboratori. Poi, ho cominciato a parlarne pubblicamente quando quella verità non veniva più perseguita dalla giustizia e per via istituzionale. Palamara confessa da intraneo all’organizzazione di quel tempo. Negli anni in cui fermarono prima me, poi i magistrati di Salerno che avevano dimostrato la correttezza del mio operato svelando le interferenze criminali connesse al lavoro che stavo svolgendo, Palamara era Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. All’epoca utilizzò una frase che mi provocò i brividi. Disse: il Sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi. A distanza di dieci anni, pubblica questo libro-intervista in cui confessa: de Magistris venne fermato perché era un cigno nero, ossia una persona fuori dal Sistema. Era un uomo libero, stava svolgendo inchieste che riguardavano un governo di centro-sinistra quando tutte le parti furono d’accordo nel farlo fuori con l’avallo finale del Presidente Giorgio Napolitano. Sono cose che io dico da tempo. In un Paese normale tutto questo provocherebbe ben altro che un dibattito, per quanto giusto. Per fortuna ci sono ancora giornalisti che raccontano e hanno voglia di far domande. Per il resto c’è un silenzio assordante».
In una recente intervista al Corriere del Mezzogiorno, Roberto Saviano è tornato a parlare di Lei. Ha dichiarato che corre in Calabria esclusivamente nella speranza di lucrare qualcosa su Napoli per lui e il suo cerchio ristrettissimo e che Napoli non conta più nulla sullo scenario nazionale. Vuole rispondere?
«Saviano è scollegato ormai da tempo, ha perso la lucidità che aveva all’inizio e per la quale tutti lo sostenemmo. Dice cose che a volte si condividono, altre no. Napoli – può pensarla come vuole – ha acquisito una credibilità nazionale e internazionale che prima non aveva, è sotto gli occhi di tutti. Anche per la pandemia, Napoli si è difesa dal punto di vista sociale, della solidarietà e della fratellanza alla grande. Ricordo a Saviano che, forse, tra un libro, una produzione televisiva e un film, si è un po’ distratto: la nostra città a febbraio scorso era la prima città per cultura e turismo, e lui che è un uomo di cultura è strano che non se ne sia accorto. Non è un caso se viene scelta da anni come set cinematografico all’aperto d’Italia, se era terza per start-up giovanili, se era la meta turistica più visitata… Se non lo riconosce, vuol dire che è politicamente schierato, si allinea ai tanti politicanti che siamo abituati a vedere ogni giorno».
Lui l’ha definita una città profondamente classista…
«Saviano non è napoletano, si sbaglia a ritenerlo tale. Ci sono tanti non napoletani che conoscono benissimo la città, lui Napoli non la conosce ma non perde mai occasione per giudicarla e attraverso le sue narrazioni si è fatto una fortuna di conoscenza e non solo, anche economica. Sarei curioso se un giorno pubblicasse quanto ci ha guadagnato da questa sua narrazione unilaterale, sarebbe un atto di trasparenza. Così come i politici pubblicano le loro risorse di vita sarebbe interessante che le rendesse pubbliche anche lui».
Provo a fare una riflessione: Saviano dice che al tempo di Bassolino con le alleanze in Campania si facevano i governi a Roma e quindi si aveva qualche beneficio, però Gomorra si ambienta proprio in quegli anni. C’erano problemi diversi, è cambiato tanto…
«È quello che dico. Se lui è un uomo di cultura, allora è in malafede. Oppure non lo è fino in fondo, non si rende conto delle cose che sono accadute, non vuole riconoscerle. Quando c’era Bassolino, voglio ricordarlo, i rifiuti arrivavano al primo piano, la città era mortificata. Io lavoravo a Bruxelles e quando mi incrociavano i colleghi parlamentari dicevano Napoli: camorra – monnezza. È inutile che dica di essere stato assolto, i processi lasciamoli da parte, purtroppo si fanno molto poco e i risultati arrivano anche in ritardo. Diamo un giudizio storico: così come riconosciamo a Bassolino la pedonalizzazione di Piazza Plebiscito – perché io sono una persona intellettualmente onesta –, va detto che è ricordato dai napoletani, sicuramente da me, come quello che ha sommerso di rifiuti Napoli. Non voglio fare il processo al processo, guardo al dato storico, alla Napoli di quegli anni che è ciò che mi ha spinto a candidarmi, cosa che non avrei mai immaginato. Saviano non lo riconosce, e non riesco a capire per quale motivo. Dei problemi posso fare un elenco anche più lungo di quello che potrebbe fare Saviano, ma se non riconosce il cambiamento nel rapporto tra camorra e politica, nei giovani, i beni comuni, l’acqua pubblica, la cultura, l’immagine internazionale, allora cosa devo pensare? O è schierato politicamente o non è dotato di grande sensibilità».
Eppure, quello di Antonio Bassolino è uno dei nomi che gira per le prossime elezioni comunali.
«Viviamo un momento storico in cui tutto scorre, tutto è fluido e si dimentica molto facilmente. Non credo che Bassolino abbia grandi possibilità di tornare Sindaco di Napoli. Provo sempre rispetto per chi ci mette la faccia, però, sarebbe politicamente apprezzabile se una persona che per vent’anni è stata del giro – dieci circa come Sindaco e circa altri dieci come Presidente della Regione – lasciasse spazio ai giovani, a un cambiamento. Invece no, vince questa voglia di ritornare, lui che è stato il responsabile della peggiore immagine dal dopoguerra, quella dei rifiuti per la quale non ha ancora mai chiesto scusa».
Tra questi giovani c’è Alessandra Clemente?
«Alessandra è la nostra candidata, ma sarebbe bello se anche altre parti politiche schierassero dei giovani. Lo apprezzerei. Ho pensato ad Alessandra perché in questi anni ho dato molto spazio ai ragazzi, basti pensare che la nostra giunta è composta a metà da giovani, e adesso ci sono solo esponenti tra i trenta e i trentacinque anni. Alessandra Clemente è entrata a Palazzo San Giacomo quando ve aveva ventisei. Bisogna abbandonare la retorica e dare ai giovani la possibilità di incidere nella città in cui hanno deciso di vivere. Credo sia un bel segnale, soprattutto rispetto a chi si ripropone dopo aver fallito».
Non crede, invece, che i vari cambi di giunta – voluti o a cui è stato costretto – abbiano rallentato la macchina amministrativa negli ultimi anni?
«È chiaro che, in dieci anni, non tutto è andato come avrei voluto. Non tutti gli assessori si sono dimostrati all’altezza, tornando indietro alcuni cambi non li rifarei, alcuni non li avrei nominati. Complessivamente, però, non mi rimprovero i cambi di squadra, stare al governo logora e non sempre si ha lo smalto, la prontezza. Però, ho dato opportunità a tanti di emergere e questo non lo vedo come un fatto negativo».
Un anno fa mi disse: voglio migliorare i servizi. Al netto del COVID, resta il rammarico per non essere riuscito a incidere in questo settore? E se c’è, qual è l’ultimo regalo che vorrebbe lasciare alla città?
«La pandemia, purtroppo, ha cambiato tutti i programmi. A Napoli come a Roma, a Milano come a Torino, dobbiamo un po’ resettare tutto. I conti, però, si fanno alla fine, il rendiconto finale lo farò a giugno. Abbiamo organizzato la macchina amministrativa e politica in modo da portare a casa, in questi ultimi mesi, dei risultati importanti. Penso che se si creeranno le condizioni sanitarie, se la primavera lascerà intravedere una luce in fondo al tunnel, potremmo nelle ultime settimane essere i protagonisti dell’inizio della grande rinascita di Napoli. La città ha capito da dove ripartire, abbiamo dato una visione chiara di come Napoli è stata e può essere in futuro. Lavoriamo! Anche al netto di alcune sfortune capitate in questo periodo, e imprevedibili, come la Galleria Vittoria e la mareggiata».
Ultima: ipotesi di governo Draghi. L’ex governatore della BCE è la soluzione giusta o dietro la nomina vede un disegno dei partiti per dividersi i soldi del Recovery Fund?
«Questo Parlamento – se ci riflettiamo – era nato sullo tsunami del cambiamento, sulla rottura del Sistema, sui 5 Stelle. E, invece, siamo passati dal Conte I con il MoVimento e la Lega, al Conte II con Grillo, PD e Renzi, ora Draghi: tutti dentro! Il Presidente della Repubblica, nella sua figura di garante, non credo potesse fare altro. Mattarella è stato bravo, equilibrato e ha dimostrato la sua preoccupazione per la tenuta del Paese. Politicamente, uno come me, che ha una storia di politica dal basso, di lotta alle diseguaglianze, per la costruzione di soluzioni alternative politiche, sociali ed economiche, non si riconosce in un esecutivo che andrà, probabilmente, da Forza Italia al PD, dai 5 Stelle che torneranno con la Lega, da Renzi a LeU. Mi auguro resterà una parentesi per la gestione della pandemia. Draghi è una persona capace e di grande competenza, non è corretta la visione del banchiere come si intende per Monti che fece macelleria sociale e interruzione della spesa pubblica che è, invece, necessaria, come gli investimenti, in un Paese che deve affrontare delle così grandi difficoltà. Draghi ha ben presente che, in questi momenti, gli investimenti, la spesa pubblica e la lotta alle disuguaglianze sono fattori determinanti, come una corretta ed efficace gestione del Recovery Fund. Credo valuteremo la squadra dei Ministri. Arriva una somma di denaro che l’Italia non gestiva dal dopoguerra e penso che tra i motivi che hanno determinato la crisi ci sia anche questo».