Noi siamo convinti che il tempo sia qualcosa di lineare, qualcosa che procede in eterno, in maniera del tutto uniforme, qualcosa di infinito. In realtà la distinzione tra passato, presente e futuro non è niente altro che un’illusione. Ieri, oggi e domani non sono momenti che si susseguono e sono uniti in un circolo senza fine. Ogni cosa è collegata: con queste enigmatiche parole si apriva la prima stagione di Dark (2017), serie tedesca prodotta da Netflix, ideata da Baran bo Odar e Jantie Friese, diretta dallo stesso Odar, approdata da poco alla seconda stagione.
Quelle frasi, pronunciate dal professor Tannhaus, rendono bene il senso dell’intera operazione televisiva. Dark non è solo l’ennesima serie come tante, ma si dipana, episodio dopo episodio, come una vera e propria riflessione filosofica sul tempo e sulla questione del libero arbitrio, in contrapposizione alla predeterminazione. Detta così può sembrare piuttosto pesante e, infatti, la serie del duo tedesco non è certo un prodotto da fruire distrattamente, tra una telefonata e una cena con gli amici, ma va seguita con molta attenzione. Non vuol dire, però, che sia noiosa, tutt’altro: era dai tempi di Lost che un tale intrico narrativo non teneva con il fiato sospeso gli spettatori con la differenza che, mentre la serie prodotta da J.J. Abrams si è persa con il tempo, Dark è invece un prodotto compatto sin dalla trama che scorre precisa come un dispositivo a orologeria perché è stata concepita fin dall’inizio come un’unica storia che si sviluppa e conclude nell’arco di tre sole tranche stagionali. Guardando la seconda stagione, infatti, disponibile sulla piattaforma già dal 21 giugno del 2019, è evidente che non è un’espansione posticcia di sceneggiatori a corto di idee, bensì l’ulteriore tassello di un grande puzzle.
Tutta la serie, o almeno le prime due stagioni, si svolge nell’immaginaria cittadina tedesca di Winden, la cui economia si basa sulla centrale nucleare costruita negli anni Cinquanta poco fuori il paese. Tutto attorno c’è la Foresta Nera che dona al racconto una scenografia fiabesca: non a caso, alcuni ragazzi si perderanno nei boschi, proprio come Hansel e Gretel. Non mancano poi delle grotte che corrono sotto la foresta e sotto la centrale nucleare che diverranno il fulcro della vicenda. Due gli inneschi della trama nella prima stagione: il suicidio di Michael, che avrà gravi ripercussioni sulla vita di suo figlio Jonas, personaggio fulcro di tutta la serie, e la scomparsa di un bambino nei boschi, alla quale ne farà subito seguito un’altra, vicino le grotte. Da qui, parte un’indagine che darà un bel po’ da fare a Charlotte Doppler, il capo della polizia locale. La partenza sembrerebbe il classico avvio di un thriller di investigazione con un’ambientazione molto suggestiva, ma le apparenze ingannano. Fin dai primi episodi, infatti, entrano in gioco altri elementi, primo tra tutti il viaggio nel tempo. Nulla di originale, si potrebbe dire: quello della macchina del tempo e dei paradossi temporali che ne conseguono è ormai diventato un argomento della fantascienza talmente esplorato in romanzi, film e serie tv da diventare un sottogenere a sé stante con le proprie regole e i propri codici. Ciò che rende la declinazione dei viaggi del tempo di Dark diversa dai precedenti, però, è la maestria geometrica adoperata nel tenere insieme le numerose sottotrame, gli sviluppi narrativi imprevedibili, i paradossi temporali che si vengono a creare attorno ai personaggi, nonché la dimensione filosofica e metafisica che viene modellandosi man mano che si va avanti con la storia.
La vicenda segue quattro famiglie protagoniste: i Kahnwald, i Nielsen, i Doppler e i Tiedemann e si sviluppa nell’arco di ben cinque epoche diverse, delle quali soltanto tre vediamo nella prima stagione. Quando parliamo di sviluppo, non parliamo di sviluppo lineare ma dobbiamo intenderlo in parallelo, ovvero come se le varie epoche coinvolte nella narrazione – 2019, 1986 e 1953 (nella prima) – si sviluppassero contemporaneamente. Tramite l’attivazione di alcuni passaggi (i famosi worm-hole o Ponti di Einstein-Rosen) e con l’ausilio di un dispositivo fantascientifico ma non troppo (dal look decisamente steampunk), alcuni personaggi viaggiano da un’epoca all’altra in maniera tale che non esista più una consequenzialità di causa-effetto tra gli eventi, ma sarà il futuro a influenzare il passato in un loop eterno dal quale forse non c’è uscita. Senza scendere in dettagli, per non spoilerare, tale situazione genererà dei paradossi con i quali si verranno a creare parentele improbabili e, soprattutto, non sarà più possibile stabilire con chiarezza cosa è stato generato da cosa. Se un oggetto o un’informazione, per esempio un libro, viaggia dal futuro nel passato e qui crea degli eventi e delle nuove possibilità che porteranno poi a generare proprio quell’oggetto o quella informazione che infine viaggerà ancora nel passato a ricreare le condizioni che genereranno di nuovo se stesso, è chiaro che ci troviamo di fronte a un circolo infinito in cui non è più possibile individuare l’origine degli eventi, ovvero cos’è che li ha cagionati.
Per essere più chiari, se l’autore di un testo, che non ha ancora nemmeno immaginato di scriverlo, riceve dal futuro un libro già stampato e pubblicato che porta il suo nome e quindi lo scriverà basandosi non su una reale ispirazione, ma su quell’oggetto impossibile che gli è stato recapitato, allora chi ha scritto realmente la storia? Come si è arrivati alla sua concezione? Ecco che si crea un cortocircuito difficile da dipanare. Adesso provate a immaginare un paradosso del genere applicato però alla vita delle persone: persone che viaggiano avanti e indietro nel tempo, per un incidente, oppure intenzionalmente e, nelle varie linee temporali raggiunte, fanno delle azioni oppure restano in quelle epoche perché costrette, generando ovviamente delle conseguenze. Ora potrete avere una vaga idea del livello di complessità della trama.
Detta così, il tutto potrebbe sembrare un guazzabuglio senza testa né coda ma la precisione con cui vengono portate avanti le trame orizzontali della serie – ovvero gli sviluppi che proseguono di episodio in episodio –, garantiscono una coerenza narrativa stabile e dalla tenuta ineccepibile, capace di mantenere lo spettatore sempre sul filo. Gli archi narrativi dei singoli personaggi e la profondità con cui vengono tratteggiati rendono il tutto un enorme e suggestivo affresco narrativo che ha pochi pari nella storia del genere. Inoltre, i caratteri non sono monodimensionali, non ci sono buoni e cattivi ma persone con i loro pregi e i loro difetti, i piccoli egoismi, le ipocrisie. Alcune compiono gesti estremi, ma mai gratuiti, sempre contestualizzati da un percorso interiore che le ha portati a fare certe scelte. La storia è corale ma, se proprio vogliamo individuare colui che funge da connessione emotiva, da filo conduttore, quello è certamente Jonas che, se nei primi episodi sembra defilato a causa del trauma che lo ha colpito, man mano diverrà sempre più il personaggio fulcro le cui azioni avranno conseguenze sui destini di tutti.
I toni di Dark non sono quelli ironici e scanzonati di Stranger Things (al quale è stato più volte erroneamente paragonato per l’ambientazione anni Ottanta di una delle linee temporali), ma grevi e a volte dolenti. La suspense e l’emozione, invece, non vengono mai meno perché è difficile non affezionarsi alle sorti di alcuni protagonisti e trepidare ansiosamente al loro agire dentro una ragnatela dalla quale apparentemente non c’è via d’uscita. Le informazioni per gli spettatori vengono dosate in maniera matematica, in modo tale che chi guarda la serie ne saprà sempre un po’ di più – proprio come prescritto dalle regole hitchcockiane –, ma mai abbastanza per poter chiarire il mistero che si cela dietro tutto e che potrebbe forse essere sintetizzato dalla frase latina Sic mundus creatus est (Così il mondo è stato creato). Una frase scolpita su alcune porte di ferro – sulla cui ubicazione tacciamo –, che viene presa come motto da un gruppo di persone che ha dei piani ben precisi in relazione al tempo. Di più, sulla complicata trama, non si può dire sia per non rovinare la sorpresa, sia perché sarebbe impossibile renderne conto nello spazio di una recensione.
Possiamo però rivelare che nella seconda stagione di Dark alcuni enigmi saranno risolti, altri saranno rilanciati, gli equilibri tra qualche personaggio salteranno e se ne formeranno nuovi, ma soprattutto che se nella prima i protagonisti agivano come ciechi, in una situazione di cui ignoravano totalmente i retroscena, nei successivi episodi alcuni di loro acquisteranno consapevolezza sulla realtà dei viaggi nel tempo e sulle conseguenze che ne derivano. Questo porterà ovviamente a una gestione narrativa più serrata e i colpi di scena si moltiplicheranno, così come pure i paradossi temporali che si verranno a creare. Per fortuna, non a scapito della profondità del racconto. Anche le epoche toccate dal racconto aumenteranno e così, ai tre piani temporali della prima stagione, se ne aggiungeranno altri due: il 1921 e il 2053. Infine, un colpo di scena degno del Doctor Who o di Ai confini della realtà che ribalterà ulteriormente le prospettive su molte cose.
D’ora in poi lo spazio di per se stesso o il tempo di per se stesso sono condannati a svanire in pure ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una realtà indipendente. – Hermann Minkowski
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