Ci troviamo proiettati in un’epoca in cui tutto è distorto dai filtri della rete, di conseguenza ciò che ha valore il più delle volte viene sminuito tendendo al superfluo e al necessario o, semplicemente, a ciò che piace. Ed è proprio tale concezione contemporanea che porta la nostra società a sbriciolarsi, non andando più incontro al progresso ma correndo dietro alle mode e al conformismo, restando arretrati da un punto di vista culturale. In questo modo, anche la scrittura, i libri e la poesia sono diventati di massa, così come è diventato di massa il pensiero delle grandi case editrici che, invece di guardare alla qualità, puntano alla quantità, cioè alle vendite.
Di giorno in giorno, dunque, diviene sempre più facile per uno scrittore esordiente scrivere e pubblicare il proprio libro, sia per il gusto superficiale delle cose semplici sia per la moltitudine delle case editrici – che si alternano tra piccole, medie e quelle che potremmo poi definire più commerciali – che pubblicano al solo scopo economico. Un tempo, invece, il testo restava nel cassetto dell’autore per anni rifiutato dall’editore a causa del gusto prettamente contemporaneo o troppo tendente al classico, o per temi che non si rifacevano al periodo storico con una struttura diversa da quella tipica. Come afferma Mario Baudino, ci sono rifiuti per inaccuratezza, per insabbiamento o per incapacità. Ci sono i rifiuti per viltà, e quelli per prudenza. I rifiuti ideologici, i rifiuti sacrosanti, le ribellioni all’insipienza o all’arroganza. I rifiuti tecnici, quelli per cause di forza maggiore, quelli elegiaci che vorrebbero proprio ma non possono e già rimpiangono, quelli dovuti. I rifiuti basati su una poetica o su una linea di una casa editrice. I rifiuti spiritosi, imbarazzanti, balbettanti, insinceri, i rifiuti sdegnati, e quelli che semplicemente dicono: non mi piace. Opere pubblicate magari postume dai figli dello scrittore o dagli stessi editori che in passato le avevano rigettate, ottenendo persino un ineguagliabile successo. Oggi, in cambio, nonostante la pubblicazione non sia comunque da intendersi come un atto che avviene all’ordine del giorno, c’è più possibilità di mettersi in mostra, anche attraverso i social e il self-publishing che permette all’autore di sfogliare il proprio manoscritto seppur non apprezzato o rimandato al mittente dalle case editrici, una tendenza fortemente in contrasto con quel mondo editoriale un tempo appartenente solo a una classe ristretta.
Da considerare vi è anche che, mentre i classici del passato presentano quella che viene definita immortalità dell’opera poiché l’uomo moderno riesce a rispecchiarsi nei valori e nelle concezioni dell’epoca antica immedesimandosi nell’eroe allo scopo di abbandonare le inquietudini e il peso della quotidianità, non è detto che un libro che tratta una tradizionale storia d’amore con uno stile prettamente semplice e asciutto, accessibile a tutti, verrà letto e apprezzato o addirittura studiato dai posteri. L’opera, che sia un semplice romanzo o una poesia, perde dunque la sua funzione pedagogica, sminuisce il valore del mondo che ci circonda mediante semplici frasi e proietta, spesso, la letteratura verso una decadenza senza fine.
Come ci viene insegnato a scuola, nel Settecento predominava la figura del poeta vate, un uomo di nobile astrazione capace di parlare con gli dei, definito da Baudelaire il degustatore di quintessenze e il divoratore di ambrosia, assetato di conoscenze superiori. Dal Decadentismo, invece, sottratto al proprio antico ruolo di guida morale, egli verrà degradato al rango di uomo qualunque. Il declassamento del poeta, tuttavia, non è solo una condizione imposta ma il fondamento della moderna poetica. Il verseggiatore, così come il romanziere e lo scrittore in generale, deve assecondare il lettore, iniziando a scrivere non più per liberare le proprie sensazioni e sentimenti ma per piacere al pubblico, quindi per entrare nel mercato della grande editoria e per vendere, il tutto si gioca su un processo di rimandi. La scrittura passa quindi da lusus letterario (un passatempo, tipico degli scrittori del Medioevo che si dedicavano alla poesia per liberarsi dalle angosce della vita) a mero scopo economico. C’è, allora, una sovrapproduzione di contenuti che finiscono in un buco nero poiché conta sempre più piantare che far sedimentare, un aspetto esasperato fortemente dalla tecnologia.
Il mondo odierno del mercato editoriale, inoltre, sfiora anche la poesia (genere poco preso in considerazione, al contrario del romanzo, considerato di spicco), che mentre in passato era un fatto d’élite, soltanto per chi riusciva a scovare il significato profondo che si aggirava all’interno dell’opera o per gli appassionati appartenenti alla classe dell’alta e media borghesia, adesso per il suo significato semplice, se non addirittura banale, è posta alla mercé di tutti, al punto da poter parlare di poesia in voga o di moda, frasi preconfezionate che chiunque può condividere senza andare a rintracciarne il senso che viene mostrato così come si vede, nella sua superficialità e schiettezza.
Anche i social e il mondo dello spettacolo, del cinema, della musica e specie della politica si intersecano oggi all’interno del mercato editoriale: è più semplice per un personaggio pubblico, che sia un ministro o un semplice cantante che ha vinto Sanremo nella sua ultima edizione, pubblicare un libro con una grande casa editrice, poiché quasi il 90% delle volte questi ne assicura le vendite. Chi non spicca all’interno della società e vuole essere inattuale perché originale, in un’epoca in cui si specchiano tutti allo stesso specchio, tende quindi a pagarne il prezzo e a fare i conti con la dura realtà del mercato della contemporaneità.
Quello appena descritto è un paradigma che si sta affermando sempre più spesso e che suggerisce un cambiamento profondo nel modo in cui pensiamo e continuiamo a pensare all’universo editoriale. Come sostiene Bauman, viviamo in un tipo di società che dichiara la soddisfazione del cliente come sua unica motivazione e suo scopo fondamentale, un consumatore soddisfatto che non è né la motivazione né il fine ma la più terribile delle minacce.