Matteo Salvini, Simone Pillon, Lorenzo Fontana, Massimiliano Galli, Kevin Masocco: sono solo alcuni dei nomi che una donna non può dimenticare. Nomi di uomini che rappresentano, tutti, lo stesso partito, quello che da vent’anni siede in Parlamento e ne determina le scelte, oggi più che mai, e da cui si rivela a dir poco necessario guardarsi bene se il sesso indicato sulla propria carta di identità è riassumibile con una F. Uomini, sessisti e leghisti, chiamati a rappresentare il Paese, senza distinzione di genere, e tuttavia attenti a tutelare soltanto i propri simili e i propri interessi.
Dal decreto che vuole ridiscutere i termini del divorzio, senza dimenticare l’aborto, quella della Lega capitanata dall’attuale Vicepresidente del Consiglio si rivela una vera e propria crociata contro le donne, nemiche numero uno della maggioranza verde attualmente al governo. Siano esse minacciate dai compagni o dalla politica, non c’è giorno in cui non abbiano bisogno di tutelarsi affinché il loro non si riveli per davvero il sesso debole a cui vogliono relegarle. Dalla violenza degli uomini e dalla brutalità del Carroccio, senza dimenticare una società che le sfrutta e non ne riconosce parità di diritti e di salario, quindi, ciò di cui necessitano con sempre più urgenza è una strenua difesa, al punto da farsi doppia, per affermare la propria esistenza.
Non è un caso, forse, che una delle ONLUS più note del panorama italiano porti proprio questo nome. Nata per sensibilizzare l’opinione pubblica e aiutare le vittime di discriminazioni, abusi e violenze, la fondazione Doppia Difesa, recentemente al centro di numerose polemiche, prende vita nel 2007 per volere di Michelle Hunziker e di Giulia Bongiorno – oggi Ministro per la Pubblica Amministrazione –, anch’ella, ironia della sorte, parte della scuderia a trazione padana. Di certo, non una rassicurazione. Come può, infatti, una donna, perlopiù fondatrice di un’associazione a tutela di altre donne, rappresentare e farsi rappresentare dalla stessa bandiera che avvolge personaggi come quelli sopra annoverati? Come può una donna sedersi al loro tavolo e, al contempo, proteggere l’ennesima vittima della mentalità maschia che il Carroccio non ha alcuna remora a promuovere? Chi garantisce chi?
Quella tra i leghisti e le donne, in effetti, è una guerra iniziata ormai molti anni or sono, con Matteo Salvini, su tutti, che non ha mai perso occasione per dare il buon esempio ai suoi adepti. Basti pensare alla bambola gonfiabile portata con sé nel corso di un comizio e paragonata all’ex Presidente della Camera, Laura Boldrini, o all’hashtag lanciato in risposta alle polemiche – sterili – dei suoi antagonisti, #sgonfialaboldrini, l’elegantissima reazione alle critiche di chi ne condannava il gesto, di chi non apprezzava la resa a oggetto di una rappresentante delle istituzioni, insultata in quel modo specifico unicamente perché donna. E così, oggi, ormai al governo in via quasi del tutto indipendente, chi affianca il Capitano si sente in diritto di ribadire quel concetto mai rinnegato di superiorità macha, la stessa con la quale si stanno pensando leggi e provvedimenti volti a regolamentare e stravolgere le vite di ognuno di noi.
Ecco che, allora, Pillon rincorre le streghe e forza il matrimonio, Fontana decide dell’utero altrui e promuove la famiglia tradizionale, Galli intima a una giovane cantante di aprire le gambe perché lei vuole un Paese accogliente e lui i porti chiusi. Masocco chiama gli amici a raccolta e li invita a stuprare una dj rea di essere sessualmente appetibile. Uomini, sessisti e leghisti, scelti per rappresentare l’Italia intera e, tuttavia, impegnati a ritrarne solo il volto più becero e malato, lo stesso che ha insultato per anni Maria Elena Boschi o Rosi Bindi, entrambe troppo intelligenti per non vedersi giudicare in base all’aspetto fisico. Lo stesso che ha giustificato la condotta perversa dell’immor(t)ale Silvio Berlusconi, ancora oggi idolo di chi normalizza la prostituzione – anche minorile – quando la signorina in questione è una sexy soubrette.
Come può, quindi, Giulia Bongiorno parlare di difesa, anzi, di doppia difesa? Come può lei che con quelle persone manda indietro la nazione – tra l’altro, facendosi portatrice di una battaglia discutibile tanto quanto la sua iscrizione alla Lega – garantire sicurezza a vittime di una discriminazione di genere avallata dal partito del quale sposa le campagne? Quando le donne diventeranno soggetto e non oggetto di politica? A chi, oltre a se stesse, potranno affidarsi? In cosa credere? E quando quegli uomini, sessisti e leghisti, smetteranno di parlare per bocca di ciascuno, di chi li ha votati e, anche, di chi non ha apposto una x sul loro nome ma non li contrasta in alcun modo?
Finché gli altri, gli uomini non sessisti e non leghisti, non affiancheranno le loro compagne, sorelle, madri, figlie in questa lotta al potere fallocentrico, di certo, pensare a un’Italia diversa si confermerà un progetto di difficile realizzazione, una sfida persa in partenza. Un confronto che, comunque, non potrebbe mai essere vinto se a supportare la controparte ci saranno sempre le Bongiorno di turno, donne aggrappate alle quote rosa inconsapevoli di esserne la causa e la conseguenza, un inutile e ridicolo contentino che finisce per sembrare la soluzione a ogni disparità che, invece, acuisce.
Una doppia difesa, allora, è senza dubbio necessaria, una difesa dalla violenza di chi possiede ma non ama e dalla società che si specchia nella Lega. Un movimento che è protesta e voce alta, affinché nessuno si senta più in diritto di chiamare goliardata un’adunanza volta ad abusare, di ridurre a gambe divaricate un cervello che non ha timore nel dire la sua, di decidere se e quando avere figli, di suggellare quel per sempre che non è più. Perché Matteo Salvini, Simone Pillon, Lorenzo Fontana, Massimiliano Galli, Kevin Masocco siano solo nomi e null’altro. Non ancora.