A prescindere dalla data in cui finirà questa legislatura, chi ha un minimo provato a seguirla – certamente con fatica – nella migliore delle ipotesi ci avrà capito poco, nella peggiore non ha mai immaginato che le cose sarebbero andate così. Chi non doveva governare con nessuno ha governato con tutti, chi sembrava – ahinoi – destinato a Palazzo Chigi pretendendo pieni poteri si è sgonfiato come tutti coloro che non riescono a costruire; chi rottamava è finito per diventare imprenditore di se stesso e chi sembrava ancora una volta escluso dalla vita politica è candidato alla presidenza del Quirinale con una condanna definitiva per frode fiscale sul groppone.
Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao e, in effetti, grande è la confusione in Parlamento, con la destra che si spacca sempre di più, Salvini che tocca sempre meno palla – basti pensare alla posizione sul green pass, che lo ha visto sopperire rispetto ai governatori verdi, consci dei rischi e delle esigenze delle attività produttive – e la sinistra che continua nella sua ricerca di un’ampia coalizione, proclamata da parole e appelli che non si contano più ma che spesso e volentieri non riescono a trasformarsi in fatti, senza capire da dove parta questa coalizione e dove finisca.
Una coalizione che dovrebbe coinvolgere, anzi, trova il suo perno nel MoVimento 5 Stelle, diviso tra oppositori interni e governisti o, meglio, iper governisti, che si muovono solo in ragione della stabilità dell’esecutivo, mentre il loro leader con difficoltà prova a svestire i panni istituzionali e non di rado si perde in discorsi che, seppur ragionati, non fanno facilmente breccia nell’elettorato. Tutto questo avviene mentre le loro leggi-bandiera vengono giorno dopo giorno smantellate o minate alle fondamenta, al punto tale che il partito maggiormente rappresentativo non ha trovato voce in capitolo nel dibattito sulle nomine dei vertici della RAI.
La confusione, dicevamo. Come se già non fosse sufficiente questo miscuglio di elementi, infatti, ci troviamo a fare i conti con le diatribe sul “centro”, cioè una forza riformista che guardi all’esperienza di Macron dotata di pragmatismo, ma che soprattutto si ponga come obiettivo quello di essere guidata eternamente da Mario Draghi. Insomma, tra le tante persone che animano quei partiti che si definiscono competenti e migliori, non riescono a individuarne una capace, ma hanno bisogno dell’ispirazione dell’unico che può salvarci dopo il 2022, dopo il 2023 e, per dirla alla Giorgetti, che sappia guidare il conclave dall’alto, dal Colle: insomma, l’arbitro che diventa giocatore.
Parliamoci chiaro: nell’Italia repubblicana, il centro è sempre esistito e ha avuto una notevole importanza, riuscendo a spostare gli equilibri e ponendosi come interlocutore bipartisan, ma ora da chi è composto? Da soli partiti personalistici, creati a immagine e somiglianza di una sola persona proclamatasi leader e non frutto di un percorso di formazione nella comunità. E infatti ci troviamo Italia Viva, il cui fondatore è tanto lontano dalla realtà quanto dalla politica, intento a perseguire solamente i suoi interessi di bottega e non avendo più alcuna intenzione di piacere – ma questo già da anni – agli elettori.
Non che l’atteggiamento del senatore di Rignano ci sorprenda: la sua tendenza, più che restare al centro, sembra essere quella di spostarsi sempre di più verso destra: l’affossamento della Legge Zan e l’accordo con Miccichè sono solo gli ultimi dei tentativi di avvicinamento tra IV e la destra. Se poi si pensa anche al Jobs Act, alla Buona Scuola e alla proposta di riforma costituzionale dello stesso Renzi quando era Presidente del Consiglio, allora la tendenza non fa altro che confermarsi.
Restando sempre al centro ma spostandoci un altro po’ verso destra, troviamo poi Calenda, leader di Azione, campione di penultimatum sin da quando era convinto che sarebbe stato l’unico candidato possibile del PD a Roma e diceva un giorno sì e l’altro pure che lui sarebbe andato per la sua strada, conseguendo i risultati che tutti sappiamo. Anche a livello nazionale sta seguendo lo stesso metodo: conta di andare da solo dappertutto e confonde le elezioni con dei colloqui lavorativi, i programmi elettorali con dei curricula e la capacità di amministrare con la capacità di gestire un’azienda.
Se poi oltre a queste formazioni politiche vogliamo pensare alle sigle che vanno da Emma Bonino fino a Toti per passare da Lupi e Cesa, ci rendiamo conto che nulla hanno in comune tali personaggi, se non il tentativo di provare a influenzare le dinamiche parlamentari – il che è totalmente legittimo –, seppur con l’arroganza di ergersi a migliori e competenti. Investitisi, pure, del diritto di dare lezioni agli altri.