Chiunque bazzichi un minimo sulla piattaforma Netflix e nel mondo social si sarà certamente accorto, negli ultimi tempi, dell’incredibile polemica nata a causa della distribuzione di un film francese, Mignonnes, noto negli USA come Cuties e tradotto in Italia con l’atroce titolo di Donne ai primi passi.
Più che per la distribuzione, tutto è partito dall’uscita del poster ufficiale, a fine agosto, raffigurante alcune ragazzine in abiti succinti e pose sensuali. Come se non bastasse, la descrizione recitava più o meno così: L’undicenne Amy fa la conoscenza di un gruppo di coetanee appassionate di balli twerk e inizia a scoprire la propria femminilità. Inutile asserire quanto tutto risulti assolutamente sbagliato su più livelli, dalla locandina sexy all’accostamento undicenne-twerk-scoprire la propria femminilità, alla clip successiva con una scena delle suddette danze. Da qui il boom: una valanga di commenti negativi ha portato avanti una campagna di boicottaggio della piattaforma, denominata con l’hashtag #CancelNetflix. Più di 750mila utenti hanno così ritirato il proprio abbonamento, tacciando Netflix di acquistare prodotti che promuovevano la pedofilia e l’ipersessualizzazione infantile, causandogli un danno di circa 9 miliardi di dollari in borsa. Urge, dunque, far luce sulla questione e sui due problemi più grandi riscontrati.
Il primo, senza dubbio, è stata la pessima strategia di marketing adottata per la distribuzione. Una scelta assolutamente non in linea con quella originale francese, se si pensa che la pellicola si è persino aggiudicata il premio Miglior regia drammatica al Sundance Film Festival 2020. Locandina e clip sono risultate decisamente decontestualizzate, addirittura erronee nel caso della descrizione, causando nient’altro che un potente pugno nello stomaco e un forte senso di disagio. Il problema numero due, invece, è forse il più grave: tutte le controversie e la campagna di boicottaggio sono avvenuti prima dell’effettiva distribuzione della pellicola. Se questi stessi utenti avessero aspettato di vederlo, avrebbero di certo compreso che si tratta di un film di denuncia nei confronti dell’ipersessualizzazione delle bambine, sempre più frequente e amplificata dall’uso incondizionato e senza filtri di internet e dei social. L’intento, quindi, non è quello di glorificare, come pensato in tanti, bensì di condannare. Un messaggio un tantino difficile da comprendere inizialmente, se si parla di undicenni che fanno twerk per scoprirsi donne.
Cerchiamo quindi di capire di cosa parla davvero Mignonnes/Cuties: Amy ha undici anni, è originaria del Senegal e vive in un modesto quartiere parigino con i genitori, sua zia e suo fratello minore. In crisi tra un’accattivante cultura occidentale e una musulmana i cui rigidi valori non sente davvero suoi, viene scossa dalla notizia dell’imminente matrimonio di suo padre con una seconda donna che dovrà poi abitare con loro. Allo stesso tempo, fa la conoscenza di un gruppetto di coetanee disinibite, ribelli e appassionate di ballo, note a scuola come le Mignonnes, una conoscenza che spingerà Amy a fare di tutto per sentirsi accettata da loro.
La pellicola è un’opera prima della regista francese di origini senegalesi Maïmouna Doucouré, la quale ha dichiarato di essersi in parte ispirata alla sua infanzia. Ha inoltre detto di aver compiuto un meticoloso lavoro psicologico sulle giovani attrici e sulle loro famiglie e di aver studiato a lungo come bambini e preadolescenti vengano costantemente esposti a contenuti per adulti e immagini sessualizzate sui social media. Tutto molto più chiaro, adesso. Nonostante il nobile e audace intento, però, resta un dilemma morale atavico: è giusto, al fine di denunciare la sessualizzazione delle bambine, mostrare davvero delle bambine sessualizzate? D’altronde, come può un film ritenersi di denuncia se non mostra effettivamente ciò che sta condannando? Fin dove si può spingere il cinema? Sia chiaro, non stiamo dicendo che si debba sfociare nell’illegale o nel depravato – un regista con volontà di denunciare maltrattamenti sugli animali non maltratterebbe mai davvero degli animali al fine di mostrarlo. Sono domande, queste, a cui forse non è possibile rispondere.
Non dimentichiamo che la storia del cinema è pregna di opere del genere: basti pensare a Thirteen – 13 anni, o a Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, a Lolita o al celebre quanto estremo Salò di Pasolini, tutti film decisamente più provocatori di Cuties, complice anche una minore attenzione rispetto a oggi. Una considerazione comunque estremamente opinabile, la cui linea di demarcazione tra denuncia ed esposizione eccessiva è piuttosto sottile. È innegabile, invece, che Cuties tratti un problema che tendiamo a sottovalutare troppo spesso, eppure sotto gli occhi di chiunque, sempre.
Se, infatti, Mignonnes è finzione, le bambine sessualizzate, che imitano i video su TikTok e YouTube, o i concorsi di bellezza infantili, sono reali. E meritano attenzione, anche a costo di sconvolgere lo spettatore. Le scene delle ragazzine che scuotono il sedere sul palco non sono sensuali né ammiccanti: fanno star male. Tutto, all’interno del film, ci fa comprendere chiaramente quanto disagio ci sia in ognuna di loro, a cominciare dall’assoluta assenza di adulti responsabili. Vanno in giro in leggings di pelle e tacchi, compiono gesti e pronunciano frasi senza una reale consapevolezza ma chiaramente per emulazione. Ciononostante, ci viene sottolineata in continuazione la loro essenza di bambine, ad esempio nella scena in cui chiamano il preservativo guanto per fare sesso senza prendere l’AIDS – ennesima denuncia, stavolta alla mancanza di un’adeguata educazione sessuale in famiglia e in società.
Altrettanto marcata è l’estremizzazione opposta, cioè la cultura musulmana, bigotta e oppressiva verso il femminile. Amy è combattuta, si trova tra il bianco e il nero senza la possibilità di vedere un grigio nel mezzo. Le sue prime mestruazioni diventano un trauma quando le viene detto che finalmente è una donna e che può sposarsi. Non c’è nessuno che sia in grado di spiegarle davvero cosa significhi essere una donna. Perché per la donna, oggi, non esiste alcuna via di mezzo. Forse, qualche scena più diretta o qualche indugio di troppo su dettagli scomodi si sarebbero potuti evitare senza snaturare il senso del film, quello sì. E forse, tra quegli utenti adulti indignati, ci sono genitori ignari di cosa facciano e vedano le loro figlie su internet. Gli stessi che magari sono andati sui profili social della regista e delle attrici e le hanno ricoperte di insulti sessisti e minacce. Perché la coerenza non sempre è una priorità.