Raccontando delle città della Campania, nel suo Geographia Strabone scrive: dopo queste città c’è Cuma, colonia antichissima dei Caldicesi e dei Cumani, la più antica fra quelle di Sicilia e d’Italia. Ippocle cumano e Megastene calcidese, i quali guidavano la spedizione, convennero tra loro che agli uni sarebbe stata attribuita la colonizzazione, degli altri la colonia avrebbe assunto il nome; ecco perché la città si chiama Cuma, mentre si parla di fondazione calcidese.
Nel 524 a.C., i Dauni, gli Aurunci e gli Etruschi si allearono contro Cuma, ma furono sconfitti. In questa battaglia, si distinse il giovane Aristodemo che instaurò la tirannide. All’inizio del secolo successivo, però, una congiura portò alla sua caduta e l’ordine aristocratico fu ripristinato. Per rispondere a un nuovo attacco degli Etruschi, la città di Cuma si alleò con Gerone di Siracusa la cui flotta, nel 474 a.C., sconfisse quella etrusca in una celebre battaglia cantata da Pindaro. Nel 421 a.C., fu poi occupata dai Sanniti, nel 180 a.C. ai cittadini fu concesso l’utilizzo del latino come lingua ufficiale.
Come testimonia la storia dei templi, ben presto trasformati in basiliche, Cuma fu uno dei primi centri cristiani della Campania e, nel VI secolo, divenne teatro di aspre lotte fra Goti e Bizantini. Devastata dai Saraceni nel X secolo, decadde a tal punto da ridursi a semplice castello dove cercavano riparo predoni e corsari.
Come racconta Napoli e dintorni di Guide d’Italia, Cuma si dispone, all’estremità ovest dei Campi Flegrei e a nord ovest di Baia, ai piedi e sopra una collina di lava trachitica, isolata in prossimità del mare e culminante nell’angolo nord ovest con l’altura del monte di Cuma (l’acropoli, sede dei principali santuari); le mura, in blocchi di tufo squadrati, la raccordavano a un’area di forma quadrilatera, la cosiddetta città bassa. La linea di costa, per l’insabbiamento iniziato già in epoca romana, è notevolmente avanzata e ha portato alla scomparsa degli apprestamenti portuali.
A destra dell’ingresso dell’Antro della Sibilla, la Cripta romana si apre come una voragine: da questo punto è possibile osservare, per il crollo della volta avvenuto probabilmente già nel periodo della guerra greco-gotica, il grande vestibolo ornato da quattro nicchioni. Il primo tratto di essa è stato per lungo tempo identificato da una tradizione antiquaria con il famoso antro oracolare celebrato da Virgilio e menzionato nelle fonti antiche; già a inizi sec. XX si promuovevano campagne di scavo, che trovarono esito solo negli anni ’20 con Amedeo Maiuri.
Dal lato dell’Antro della Sibilla è possibile poi salire la gradinata di accesso all’acropoli, calpestando il basolato dell’antica “via Sacra”, che dall’ingresso della cittadella portava alle spianate naturali del cuore di Cuma. Dopo l’ingresso, sulla destra, si trovano i resti delle costruzioni greche, romane e medievali. A sinistra c’è una terrazza, che conserva frammenti architettonici e scultorei, offrendo un panorama mozzafiato. Proseguendo per la via Sacra verso destra, si incontra una lapide con alcuni versi dell’Eneide di Virgilio (VI, 14-20) che si riferiscono al tempio di Apollo. Da lì, è possibile raggiungere la terrazza inferiore dove si trovano appunto i resti di questo luogo di culto, scavato nel 1912.
Della costruzione di età greca e sannitica rimane solo la grande PLATEA DI FONDAZIONE a blocchi squadrati in tufo, mentre la maggior parte delle strutture conservate è pertinente alla ristrutturazione di età augustea, allorché la si dotò di una terrazza colonnata aperta verso la città bassa. la CELLA era divisa in tre navate da pilastri; della peristasi si conservano parti di alcune delle colonne costruite in laterizi e successivamente stuccate. Nel sec. VI o VII il tempio fu trasformato in basilica cristiana: nel pavimento si scavarono una novantina di tombe, e di quell’epoca è anche il basamento di una vasca ottagonale, nel lato sud fuori della costruzione, forse appartenente a un battistero.
Riprendendo la via Sacra, passando per un ripido sentiero a scalinata, si raggiunge la terrazza superiore: si tratta del punto più alto del colle dove sono presenti i resti del cosiddetto Tempio di Giove. Eretto in età greca, ricostruito al tempo d’Augusto e trasformato nel V-VI secolo in basilica cristiana a cinque navate. Purtroppo, la fronte occidentale del tempio, a causa di cedimenti e frane, è perduta e le pavimentazioni dell’epoca romana e cristiana hanno nascosto la platea originaria. Quando l’edificio fu adattato a basilica cristiana, la cella diventò presbiterio che venne a trovarsi a metà della navata mediana, preludendo alla disposizione della schola cantorum tipica delle primitive basiliche romane. Chiude il giro il superbo panorama circolare che va da capo Miseno alla gran curva del golfo di Gaeta.