Se sei una madre italiana e decidi di partorire regolarmente in ospedale e, poi, di utilizzare il servizio Culla per la vita per garantire assistenza e sicurezza a un figlio che non vuoi o non puoi crescere, la tua scelta potrebbe essere commentata da estranei che si arrogano il diritto di giudicare, sentenziare e minare la tua privacy. Potresti imbatterti in un primario che diffonde le tue parole o, addirittura, sentirti proporre una colletta da Ezio Greggio come se i soldi cancellassero tutte le motivazioni che ti hanno portato a tale scelta. Ovviamente, il problema di fondo non è il conduttore, ma il poco rispetto dato alla vicenda da parte, in primis, della struttura sanitaria che ha reso questo episodio di vita un caso mediatico. Chi si scaglia contro Ezio Greggio, superficialmente, coglie solo la punta dell’iceberg del problema.
Tu, madre, potresti essere giudicata venale ed egoista dopo aver compiuto il gesto più doloroso e altruistico del mondo, quello di garantire un futuro a un altro essere umano. Non sono mamma, ma le persone che non capiscono, probabilmente, sono quelle che pensano che sia un figlio a dare senso alla loro vita. Ma pensare che un figlio si debba portare addosso il fardello di dare un senso all’esistenza di un genitore è, a mio parere, molto egoista.
Il Dpr 396 del 2000 sancisce il diritto di tutte le donne italiane e straniere di partorire in ospedale in maniera autonoma e gratuita. La richiesta di anonimato può essere fatta durante la dichiarazione di nascita e scatta la segnalazione del neonato al tribunale dei minori. In Italia i bambini non riconosciuti alla nascita, secondo le stime della società italiana di neonatologia, sono 300 ogni anno.
Reputo si debba parlare e pubblicizzare il servizio Culla per la vita e non il caso clinico ovvero l’ipotetica storia di una madre ignota con annessa una lettera straziante. Scegliendo la prima strada si fa un servizio informativo di prevenzione. Scegliendo la seconda, come è avvenuto, quella dello tsunami mediatico che va a ledere il servizio stesso: ho scritto queste parole qualche ora dopo il fatto mentre campeggiavano da tutte le parti appelli alla madre a ripensarci. Il focus della notizia è uno solo: la Culla per la vita è preziosa e permette di salvare esseri umani.
Ma come funziona questo servizio? Esso è strutturato in modo tale che, una volta accolto il bambino, un allarme avvisa subito il personale sanitario che entro pochi minuti si prende cura del neonato. La culla consente di affidare il piccolo a cure immediate nel rispetto della privacy. Di solito è posizionata in un luogo defilato dell’ospedale ed è dotata di una serie di dispositivi: chiusura in sicurezza, riscaldamento, controllo h24.
Interessante è focalizzaci su quello che succederà da adesso in poi perché non si può parlare di affidamento senza, al contempo, pensare alla parola adozione. In Italia gli iter di adozione hanno tempi lunghissimi. Tante coppie sono scoraggiate nel percorso per diventare genitori e i bambini restano senza famiglia. Molte domande restano, addirittura, senza risposta da parte degli enti preposti. Da una recente inchiesta di Milena Gabanelli emerge un pessimo livello di comunicazione tra assistenti sociali, onlus e tribunali dei minori. Nonostante i bambini in Italia siano in attesa di affido, molti genitori perseguono la strada internazionale perché di più facile accesso anche se, comunque, complicata.
Per diventare dei genitori adottivi servono molti requisiti. Requisiti, economici e psicofisici che, paradossalmente, per diventare genitori biologici non vengono richiesti. Auspicabile sarebbe, dunque, snellire la burocrazia delle procedure di adozione mantenendo alti gli standard di affidabilità e sicurezza di chi adotta. Secondo la statistica si impiegano dai due ai quattro anni per diventare genitori adottivi. Inoltre, nei requisiti di base, non è prevista l’adozione per i single e per le coppie dichiaratamente omosessuali.