Fin dagli inizi della crisi pandemica, e in diverse parti del mondo, il cittadino comune faceva domande ai politici e agli scienziati sul perché di decisioni prese in ritardo oppure di misure socio-sanitarie che apparivano inadeguate e a volte contraddittorie tra quelle poste in essere nei diversi Stati e all’interno delle stesse nazioni. Le opposizioni politiche, intanto, preoccupate soprattutto delle eventuali e future elezioni e della perdita dei consensi popolari, criticavano le scelte istituzionali e anche gli esperti della comunità scientifica polemizzavano tra di loro. In genere, la risposta pubblica dei governanti e degli operatori scientifici alle questioni sollevate era articolata, ma nella premessa o in conclusione finiva con la frase ci troviamo alle prese con qualcosa di nuovo, di imprevedibile.
Questa affermazione racconta, al tempo stesso, una verità e una menzogna. È una verità scientifica, infatti, che il virus della SARS-CoV-2 (sindrome respiratoria acuta grave coronavirus-2) appartiene a un nuovo ceppo di coronavirus, storicamente mai identificato prima negli esseri umani. L’acronimo COVID-19 (COronaVIrus Disease 19) è il nome dato alla malattia associata al virus responsabile dell’influenza che fu segnalata il 31 dicembre 2019 dalla Cina all’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). E il più importante organismo delle Nazioni Unite per la Salute descrisse, il 30 gennaio scorso, come emergenza di sanità pubblica nonché di interesse internazionale l’epidemia di coronavirus, iniziata con i casi di polmonite a eziologia ignota nella città di Wuhan, popoloso capoluogo della provincia di Hubei, che si trova in una regione centrale del gigante asiatico.
La menzogna a cui, invece, rimanda la tesi dell’imprevedibilità della diffusione della malattia può essere rintracciata, almeno nei tempi recenti e per i comuni lettori, a partire dal libro Spillover. L’evoluzione delle pandemie, pubblicato nel 2012 (edizione italiana: Adelphi, 2017), scritto da David Quammen, giornalista e divulgatore scientifico della rivista National Geographic. Dopo sei anni di ricerche, dalle foreste del Congo alle fattorie australiane fino ai mercati delle città cinesi, il 72enne scrittore statunitense arrivò alla conclusione che i virus responsabili delle possibili pandemie sono sempre tra di noi, colpiscono gli animali ma possono fare il “salto di specie” – lo spillover o tracimazione – e infettare gli esseri umani.
In termini più generali, insomma, e come ha ripetuto in recenti interviste, Quammen ha detto che l’epidemia potrebbe essere iniziata con il contatto tra uomini e pipistrelli in una grotta, ma è stata l’attività umana a scatenarla. Non è per caso che in esergo al prezioso report Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità – presentato nel marzo scorso dalla WWF Italia Onlus e curato da Isabella Pratesi, con testi della stessa curatrice, di Marco Galaverni e di Marco Antonelli – sia riportata una frase scritta da Quammen che recita: Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie.
Il rapporto ci informa, in maniera articolata e scientificamente documentata, che le malattie apparse in tempi recenti, come ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria, e ora quella provocata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, costituiscono la conseguenza indiretta del nostro impatto sugli ecosistemi naturali. Se il contagio da COVID, come molti scienziati sostengono, ha avuto origine nel grande mercato di animali di Wuhan, a fine dicembre 2019, il salto dalla fauna agli uomini potrebbe essere passato da un “ospite” intermedio, in un luogo dove non è inconsueta la convivenza con gli animali domestici. Al mercato della grande città cinese, infatti, è usuale il commercio di esemplari selvatici vivi, in seguito macellati sul posto. Potrebbe essere stata questa la causa del passaggio della specie, poi diffusosi per via respiratoria tra gli abitanti della regione e, attualmente, di vaste aree del pianeta Terra.
Non siamo ancora sicuri dell’origine della COVID-19, ci raccontano i redattori del report, ma il commercio legale o, a volte, illegale di animali selvatici sta di certo dietro la diffusione delle zoonosi, vale a dire delle malattie che si trasmettono da questi agli uomini e che ogni anno causano un miliardo di infezioni e milioni di decessi. Il mondo scientifico e gli organismi nazionali e internazionali che si occupano della salute umana, insomma, sono al corrente della diffusione di queste malattie causate dalla creazione di ambienti artificiali, dalla perdita di habitat naturali, dal commercio di specie selvatiche e, in termini più generali, dalla distruzione della biodiversità.
L’effetto antropico o la mano dell’uomo, come si ripete spesso nella comunicazione massmediatica, in effetti, sembra essere stata responsabile di importanti e spesso irreversibili modificazioni del 75% dell’ambiente terrestre e di oltre il 65% di quello marino, e anche del rischio di estinzione di un milione di specie animali e vegetali presenti sul globo terracqueo. Una perdita di natura che continua ai nostri giorni, rappresentata in maniera drammatica e più visibile, per esempio, dalla distruzione delle foreste, con spostamenti di popolazioni umane e delle loro attività di allevamento e di produzione industriale intensive, che invadono zone selvatiche, dove “abitano” virus patogeni sconosciuti. La distruzione degli ecosistemi, l’aumento demografico e il conseguente inquinamento e degrado delle acque e dei suoli, inoltre, si sommano alla crisi dei cambiamenti climatici provocati dal global warming, il riscaldamento globale che contiene e amplifica gli effetti deleteri delle emergenze socio-sanitarie e ambientali in atto.
Quando politici e scienziati ci dicono che siamo di fronte a qualcosa di nuovo, quindi, non possiamo che dare loro ragione e offrire il nostro contributo, assumendoci la responsabilità di cittadini del sistema-mondo, uniti finalmente in un’inedita ma necessaria fratellanza, nel prenderci cura degli altri esseri viventi e dell’ambiente nel quale noi tutti viviamo, al fine di contrastare un comune pericolo. La novità del virus patogeno, tuttavia, non deve diventare una scusa per occultare il più ampio deficit di fondo costituito dai vecchi e fallimentari modelli economico-finanziari e di governance mondiali del capitalismo avanzato che hanno permesso, in maniera sempre più vistosa e al servizio di interessi personali e di ristretti gruppi dominanti, il consolidamento del falso mito dello sviluppo infinito. Questa è la menzogna, invisibile come un virus ma drammaticamente presente e letale nei suoi effetti, che domina sul pianeta e mette in pericolo l’esistenza di tutti gli esseri viventi.