È un’attitudine umana sempre troppo scontata quella di comportarsi come dei Ponzio Pilato che portano avanti una crociata, inutile, contro il mondo dei social. Lavandosi le mani dalle responsabilità. Mi riferisco alla tragica vicenda di Casal Palocco. Un dramma indescrivibile, una vita di soli cinque anni spezzata e un vuoto che non potrà mai essere colmato in alcun modo terreno possibile.
L’attitudine principale dell’opinione pubblica è, perlopiù, quella di puntare il dito contro i social. Ma il gesto, mi azzardo a dire criminale, dei cinque ragazzi alle prese con una challenge dentro un Suv Lamborghini è solo la punta dell’iceberg di problematiche ben più profonde.
Il disagio non lo hanno creato i social, ma lo hanno solo mostrato, a più livelli. Molte persone, come tutti gli strumenti, utilizzano le piattaforme online in maniera responsabile. Attribuire, quindi, le uniche colpe al “mondo dei social” è soltanto l’ennesima argomentazione da chiacchierata al bar.
Non entro nel merito della vicenda giudiziaria perché le ricostruzioni delle forze dell’ordine attribuiranno le responsabilità a chi di dovere. Dico, però, che proprio gli stessi adulti che, spesso, demonizzano i social non si fanno remore nel trasmettere esempi sbagliati. Da bambini ci viene insegnato il teorico rispetto delle regole ma, crescendo, si impara ben presto a capire che la società dominante non premia il più rispettoso. Premia il più furbo. Ci viene insegnato a seguire un percorso accademico e/o lavorativo onesto, fondato su basi, cigolanti, di ingiustizie sociali. Se non impari a riconoscere il linguaggio dei disonesti che poi è quello quotidiano, perisci facilmente. I “giudicanti” hanno creato questo modello per i loro figli che oggi fanno a gara per diventare i più virali.
Le scorciatoie, in realtà, sono continuamente propinate dal cosiddetto mondo degli adulti e la forza di volontà per non cedere deve essere ferrea. Alcuni ragazzi diventano prodotto di monetizzazione fin da minorenni, spesso, spinti dai genitori stessi a farlo. Pensate a tutte le scappatoie in ambito lavorativo, e non solo, per il raggiungimento dei propri obiettivi. Pensate a quante volte una scorciatoia intrapresa possa aver danneggiato, anche in maniera indiretta, gli altri. O quando siete stati voi le vittime finali dell’ingiustizia.
Le responsabilità penali restano individuali. Penso sia giusto, però, parlare del fatto che siamo vittime di decenni di modelli sbagliati. Modelli propinatici molto prima dell’avvento dei social di oggi. Ricordo YouTube iniziare a prender campo quando ero poco più che adolescente. Allora, l’impatto della piattaforma, sulle nostre esistenze, era molto marginale. La vita, quella vera, aveva ancora modo di scorrere scandita dal tempo al di fuori dei nostri computer.
Gli smartphone non erano diffusi ma altri schermi ci hanno “cresciuti”. E i contenuti offerti da quegli schermi si sono semplicemente spostati. È sempre esistita, infatti, la vita all’interno delle televisioni. Lo youtouber si è solo posto come alternativa all’intrattenimento che ci veniva proposto. Allora è da chiedersi: che cosa ci è stato offerto? Quali sono stati i nostri modelli? Quelli televisivi, ovviamente.
Il modello del maschio alfa, dominante, con la macchina costosa, proviene da lì. Che poi, secondo psicologi e sociologi, dovrebbe sopperire a una parte anatomica piccola per la legge della compensazione. L’uomo appare circondato da belle donne, non esseri umani, ma soprammobili. Stereotipi con i quali ci troviamo quotidianamente a lottare. Il modello del tronista dai guadagni facili grazie alle ospitate in discoteca. E lo sfigato della storia, alla fine, sarà forse il metalmeccanico che lavora un mese per guadagnare gli stessi soldi di una serata del tronista? Ovvio.
Modelli di vita intima messa a nudo, in maniera indegna, spogliata di dignità e ritegno. Anche le selezioni a sfondo sessuale di alcuni provini si sono semplicemente mutate in contenuto OnlyFans. È cambiato, quindi, veramente poco. Al centro, sempre la mercificazione di sé. Ed è difficile cercare modelli diversi se cresci a latte, cerali e televisione spazzatura. Diventa difficile se i tuoi genitori non ti educano moralmente perché troppo impegnati a fatturare per offrirti, in quanto figlio, tutti quei beni materiali che la società del consumo impone loro di metterti a disposizione. Sono anche essi delle vittime.
Così come tutti i personaggi televisivi non sono dei Corrado Augias o degli Alberto Angela, la stessa cosa vale per chi intraprende la carriera di youtouber. La mia generazione, più di quelle precedenti e meno di quelle successive, è stata letteralmente bombardata da un certo tipo di televisione, quella dei reality e della tv spazzatura. Pensiamo alle molte pagine sui social che hanno fatto la loro fortuna, monetizzando, con il solo commentare o riproporre spezzoni del trash televisivo che circola quotidianamente e assiduamente. La spettacolarizzazione del disagio è avvenuta molto prima dei giorni nostri. Molto prima dell’avvento dei social. Il trash televisivo è visibile. La visibilità è un parametro di successo. Diventa, automaticamente, transitivo per il soggetto in cerca di successo e visibilità fare trash.
Nel bombardamento continuo di contenuti senza qualità e senza freni, proprio come quel Suv in corsa, qualcuno ha saputo difendersi. Altri, purtroppo, no. Smettiamo di mettere in luce i fenomeni da baraccone dalle dubbie qualità morali e intellettive. Diamo strumenti etici, morali e contenutistici ai nostri figli perché quelli no, non se li potranno comprare.