Il virus è nuovo ma la politica è vecchia. Lo scontro tra Stati Uniti e Cina sul COVID-19 ne è l’ennesima prova e potrebbe inaugurare una nuova edizione della guerra fredda dagli esiti futuri imprevedibili. La pandemia ci ha portato a una crisi socio-sanitaria globale che ha fatto emergere talvolta il meglio nelle relazioni umane e societarie e, spesso, il peggio nelle relazioni economico-sociali e politiche tra gli Stati nazionali e le associazioni transnazionali che governano il pianeta.
Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dichiarato che ci sarebbero prove schiaccianti a sostegno della tesi secondo cui il virus arriverebbe dai laboratori di virologia cinesi di Wuhan, nella provincia di Hubei, e che la Cina ha fatto tutto quello che ha potuto per tenere il mondo all’oscuro sul coronavirus, operando in maniera tale che il mondo non ne sapesse nulla. Eppure, il Presidente Donald Trump, a gennaio, aveva minimizzato il pericolo dell’influenza da COVID-19, perfino elogiando l’operato di Xi Jinping e dell’amministrazione cinese.
Secondo un rapporto redatto dalle agenzie d’intelligence Five Eyes (Cinque Occhi) di USA, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e Australia, la Cina avrebbe intenzionalmente nascosto – anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità – la gravità dell’epidemia in corso, perfino aumentando le importazioni e diminuendo le esportazioni dei materiali socio-sanitari. Un ritardo voluto e colpevole che avrebbe causato, secondo gli accusatori, la morte di decine di migliaia di persone. Un vero e proprio assalto alla trasparenza internazionale, con la distruzione di prove sulla nascita in laboratorio del SARS-CoV-2, un nuovo tipo di coronavirus, agente patogeno responsabile della sindrome respiratoria denominata COVID-19 – e quindi il suo passaggio dall’uomo all’uomo – in seguito agli esiti imprevisti di una ricerca internazionale su un possibile vaccino.
L’amministrazione cinese nega la ricostruzione anglosassone di ciò che è accaduto a Wuhan. L’origine dell’epidemia e la natura del contagio non sono state tenute nascoste, affermano sdegnati, ma il rapporto rappresenterebbe l’ennesimo e maldestro tentativo di Donald Trump di recuperare credibilità politica, dopo il colposo ritardo nell’affrontare l’emergenza e il fallimento del sistema sanitario americano. Trump, insomma, secondo l’opinione della Cina e anche di alcuni esponenti imbarazzati dei governi “amici” degli Usa, starebbe preparando il terreno per la prossima rielezione alla Casa Bianca, in autunno.
A gettare acqua sul fuoco è intervenuto persino l’ex Presidente George W. Bush, che ha invitato a smorzare le differenze di fronte a questa minaccia condivisa, affermando, inoltre, che le sofferenze nel Paese americano non sono distribuite in modo uniforme e che nel prossimo futuro sarà necessario prendersi cura degli anziani, dei malati e dei disoccupati. Trump ha immediatamente replicato a Bush, ricordandogli il mancato sostegno sulla questione dell’impeachment.
Intanto, in molte aree degli States, l’organizzazione American Revolution 2.0 (AR2) si oppone con forza al lockdown. Il leader del movimento Josh Ellis, che si definisce un uomo qualunque ma fortemente impegnato nella difesa dei valori americani, sta tessendo una rete di rapporti con l’estrema destra populista che organizza milizie per rendere più visibile e forte l’insofferenza alle misure anti-pandemia, perché ritenute lesive delle libertà individuali. Quasi a rispondere e, forse, a fare propria questa insofferenza che viene dalle forze più tradizionali e reazionarie del Paese, Trump ha affermato che il virus se ne andrà, anche se non sappiamo quando, e che la domanda è se abbiamo bisogno di un vaccino, perché a un certo punto se ne andrà da solo. In tutto il mondo, comunque, ci sono più di 4 milioni di casi e oltre 290mila vittime. Il numero più alto di contagi, invece, è proprio quello registrato negli Stati Uniti: 1 milione 300mila, con quasi 80mila morti.
Il New York Times racconta, inoltre, dell’allarme che l’FBI e il Dipartimento alla sicurezza nazionale statunitense hanno lanciato per mettere in guardia dall’offensiva degli hacker e delle spie cinesi che starebbero tentando di sottrarre agli scienziati americani le loro scoperte nella ricerca sul vaccino e sui trattamenti per contrastare il COVID-19. La risposta di Pechino è stata espressa dal portavoce e vicedirettore del dipartimento dell’informazione del Ministero degli Esteri Zhao Lijian, che ha definito come immorale il comportamento che colpisce il suo Paese in base a calunnie e in assenza di prove.
Lo scontro USA-Cina segna l’inizio di una nuova guerra fredda, rappresentazione di quella logica delle relazioni internazionali che pensavamo appartenesse ormai alla storia del XX secolo e del Secondo Millennio? Non lo sappiamo. Di certo, la crisi economica colpirà davvero in maniera globale e, forse, i personalismi dei leader e degli Stati nazionali dovranno cedere il passo a una forzata collaborazione per limitare i danni di un passaggio epocale, dove l’emergenza sanitaria si aggiungerà a quella climatica, mettendo a rischio la sopravvivenza degli esseri viventi in tutte le aree del pianeta Terra.
D’altronde, il comportamento irresponsabile dei leader delle superpotenze che dominano il sistema-mondo va di pari passo con il sacrificio del sogno europeista sull’altare dell’egoismo sovranista e, nel Bel Paese, con l’eterna disunità nazionale che si rappresenta quotidianamente anche nel corso di una pandemia, a fronte di tanti esempi di sacrificio, di solidarietà e di responsabilità civile che vengono dal basso, per via sociale. A dimostrazione – ammesso che ce ne fosse bisogno – che l’affermazione la salute dei cittadini è la cosa più importante è ogni giorno tradita dal virus del sistema neoliberista – che produce benessere materiale e malessere esistenziale – perché la qualità della vita degli esseri umani è considerata sempre come mezzo e mai come fine per il governo della vita societaria.