Futuro è la parte del tempo che ancora non ha avuto luogo. Viviamo in tempi incerti in ambito sanitario, economico e ambientale, tuttavia vi è sempre la speranza di un domani migliore, costruito con scelte personali e sociali. Costruiamo il Futuro, mi ha colpito molto il nome, è un progetto a lungo termine, una lista di colleghi che si candideranno alle elezioni per il rinnovo dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Milano, Lodi, Monza e Brianza. Territori balzati alle cronache nazionali e internazionali per il grande impatto della pandemia che ivi ha imperversato.
Il desiderio di questo gruppo è quello di creare, mattone dopo mattone, una casa dentro la quale ogni infermiere si possa sentire rappresentato perché, come affermano, il futuro si costruisce in ogni azione che inizia nel presente.
Gli Ordini Provinciali sono enti di diritto pubblico non economico, istituiti e regolamentati da apposite leggi come Collegi (Legge 29 ottobre 1954, n. 1049, Dlcps 233/46 e Dpr 221/50) e dalla legge 3/2018 come Ordini. Per i lettori non addetti ai lavori è utile specificare che un infermiere, dopo aver ottenuto il titolo di studio che abilita all’esercizio professionale, ha l’obbligo di iscriversi all’Ordine della propria provincia. La Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) è un ente pubblico non economico, che agisce quale organo sussidiario dello Stato. FNOPI il 12 febbraio 2022 ha proclamato, proprio per le responsabilità sempre maggiori e la complessità in aumento dello scenario globale, i primi Stati Generali della Professione Infermieristica.
Tutti gli infermieri iscritti agli ordini (460mila) hanno infatti avuto la possibilità di esprimere la loro opinione sul futuro della professione grazie a una piattaforma online. In sintesi le richieste degli infermieri italiani, emerse dagli Stati Generali, hanno riguardato gli ambiti di identità professionale, organizzazione, formazione e rapporto con gli operatori sociosanitari.
L’anno accademico 2022/2023 ci ha posto davanti a uno spaventoso e preoccupante calo generale del numero delle domande presentate nelle Università statali pari al -7%. A fronte di un aumento dei posti ai test d’ammissione per Infermieristica (del +3.5%) si vede un calo del numero degli aspiranti infermieri (-9.2%). Vi è dunque bisogno di una chiamata alla consapevolezza da parte di tutti i professionisti e a una necessità di azione per poter far sì che l’Italia divenga finalmente un Paese per infermieri.
Ho parlato di queste importanti tematiche con la Dott.ssa Paola Arcadi, direttrice del Corso di Laurea Infermieristica presso l’Università degli Studi di Milano. ASST Melegnano e Martesana. Infermiera, dunque, nell’ambito della formazione e della ricerca e candidata per il Consiglio Direttivo della lista Costruiamo il Futuro.
La prima domanda che ho rivolto alla Dott.ssa Arcadi, proprio in relazione al fenomeno della ridotta attrattività della professione infermieristica, è stata la seguente: consiglierebbe a un neodiplomato il percorso di laurea in Infermieristica? «Senza ombra di dubbio sì. La professione infermieristica è meravigliosa». Non ha esitazione alcuna nel rispondermi e continua affermando che «contribuire alla cura e alla salute delle persone va oltre al concetto di professione ed è un qualcosa che concretamente può dare molta soddisfazione a un giovane. I cittadini hanno bisogno di infermieri poiché l’ottica della presa in carico legata alla condizione di salute intesa come “assenza di malattia” ormai è superata. La maggior parte della popolazione, oggi, convive con malattie croniche e gli interventi devono essere finalizzati al mantenimento di uno stato di salute».
La Dott.ssa Arcadi solleva poi una questione che apre spazi infiniti di confronto e ragionamento: «Se tu poni questa domanda alla maggior parte degli infermieri, oggi, loro ti risponderanno di no! E questa realtà non può essere trascurata bensì dobbiamo preoccuparcene, viviamo in un momento difficile sia dell’intero sistema che all’interno della professione. I dati ci dicono che mancano infermieri, circa 70mila, e non è un problema di selezione universitaria o di numero chiuso. Ciò che manca è proprio l’attrattività della professione e il riuscire ad avvicinare i ragazzi alla scelta di intraprendere questa professione è un impegno che deve essere proprio di un Ordine». Costruiamo il Futuro si prende questo impegno. Dopotutto è inutile ed estremamente sbagliato voltarsi dall’altra parte nei confronti del malessere espresso dagli infermieri italiani.
«Ciò che siamo passa dagli occhi di chi ci vede» continua la dotteressa. «Gli interventi devono essere concreti e radicati su vari aspetti. Un giovane non può fare una scelta senza possibilità futura di crescita professionale: è noto che molti infermieri che entrano nel mondo del lavoro vi escono nelle stesse condizioni contrattuali, nulla di più sbagliato. Vi deve essere sviluppo di carriera anche in ambito clinico, in ambito di riconoscimento delle competenze infermieristiche. Oggi vediamo una situazione dove uno vale uno se lavori in un contesto o in un altro, spesso, è indifferente. Un altro aspetto fondamentale è quello remunerativo. È impensabile uno sviluppo di carriera senza riconoscimento, di pari passo, a livello economico».
Ma la vera domanda, ancora oggi è: perché si fatica a riconoscere socialmente ed economicamente un infermiere?
«I cittadini ci riconoscono. È il sistema che non ci riconosce e gli infermieri stessi fanno fatica a emergere. Oltretutto, per le errate logiche di potere, che ci sono sempre state, dare la possibilità a una professione di svilupparsi porta in maniera illusoria e sbagliata la convinzione che questo sviluppo limiti altre professioni. Il punto è che gli infermieri non vogliono occupare lo spazio di altri ma, semplicemente, che gli sia riconosciuto ciò che già fanno».
La Dott.ssa Arcadi fa l’esempio della prescrizione: «Agli infermieri non interessa entrare nel merito di una prescrizione medica. Ma l’infermiere si occupa di fenomeni di cura che richiedono, spesso, l’utilizzo di ausili e presidi che rientrano propriamente negli ambiti di competenza dell’infermiere. Esiste già un ragionamento diagnostico sui fenomeni assistenziali da parte dell’infermiere ma il non legittimizzarlo va a “ingessare” il sistema. Questo avviene specialmente in ambito territoriale». Parole che condivido pienamente specialmente nell’ottica di dover ridurre i tempi di attesa. Con le risorse del PNRR sembra, infatti, che le cose cambieranno per le strutture ma nulla è volto a cambiare per chi vi lavora all’interno.
Ho voluto poi porre una domanda riguardo a uno degli ambiti che maggiormente mi sta a cuore, quello della ricerca, in quanto essa non è un qualcosa di lontano dalla realtà ma ne è alla base. L’infermiere di ricerca è una figura altamente specializzata, ancora misconosciuta nel panorama italiano. La Dott.ssa Arcadi conferma che sono stati fatti molti passi in avanti nel corso degli anni, tuttavia non ancora abbastanza: «Abbiamo bisogno di più infermieri ricercatori e professori strutturati nelle università». Inoltre, evidenzia una delle maggiori criticità, ovvero la scarsa fruibilità della ricerca nella pratica clinica infermieristica.
Riguardo l’abbandono della professione, perché molti infermieri decidono di compiere questa scelta?
«È un fenomeno che va ancora ben studiato. La pandemia sicuramente ha contribuito a incrementarlo. Non abbiamo mai avuto numeri così importanti di intention to leave, intenzioni di abbandono, di sicuro alcuni fattori che contribuiscono sono sia i mancati riconoscimenti che le mancate tutele. La motivazione del singolo professionista, spesso, non basta senza un adeguato supporto organizzativo. Oltre al problema della scarsità di risorse abbiamo anche il carico di lavoro che spinge il professionista alla demotivazione. Gli studi, dopotutto, ci vengono in aiuto dicendoci chiaramente che dove aumenta il benessere organizzativo aumenta la qualità stessa del lavoro».
Una qualità nel lavoro che, immancabilmente, si riflette sulla qualità di vita stessa del professionista che in primis, non va scordato, è un essere umano. Un personale sanitario motivato va infatti valorizzato. Per farlo bisogna partire dal cercare di dare massima importanza ai risultati raggiunti, correlati al lavoro collettivo e singolo.
L’importanza dell’infermiere nel sistema salute è fondamentale. La Dott.ssa Arcadi cita, in merito, lo studio RN4CAST riguardante la qualità delle cure strettamente correlata alla presenza di infermieri. Non solo parole ma dati dimostrano che: «Ogni volta che si aumenta il carico di un paziente per ciascun infermiere aumenta la mortalità dei pazienti stessi». Le unità operative hanno compreso le aree mediche e chirurgiche in quanto a elevata complessità assistenziale, popolate da pazienti cronici pruripatologici che mandano in crisi il sistema attuale.
Altro dato importante, esposto anche dalla Professoressa Linda Aiken (pioniera dello studio), è la presenza di personale laureato all’interno dello staff infermieristico che porta a una diminuzione della mortalità pari al 7% (Lancet 2014). Un invito, quindi, all’intera popolazione è quello di stare dalla parte degli infermieri. Prendendovi cura di chi vi cura, indirettamente, curate voi stessi e salvaguardate il vostro futuro.