Era attesa ed è arrivata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla violazione della direttiva sulla qualità dell’aria in Italia, dove è avvenuto un sistematico e continuo superamento dei valori-limite sulle concentrazioni di PM10, tra il 2008 e il 2017. Il nostro paese è il più inquinato d’Europa e, poco più di un anno fa, avevamo scritto sull’inquinamento nel mondo – dal report Ambient air pollution dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, 2016) – e, in particolare, sulla mal’aria delle città italiane, rimandando al rapporto di Legambiente degli inizi del 2019.
La Corte di Giustizia UE, che risiede in Lussemburgo, ha il compito di garantire il rispetto del diritto comunitario sia nell’interpretazione che nell’applicazione dei trattati dell’Unione. E, in effetti, la sentenza attuale conclude il primo ciclo della procedura di infrazione iniziata, nel 2014, dalla Commissione Europea che ritenne insufficienti le informazioni ricevute dall’Italia intorno alla qualità dell’aria in più parti del territorio del Bel Paese e si rivolse alla Corte il 13 ottobre del 2018. I giudici hanno accolto il ricorso, dichiarando il mancato rispetto dei limiti giornalieri e fissati annualmente per le particelle PMm10. Il nostro Stato non ha adottato, in tempo utile, misure adeguate al rispetto dei limiti regolati dalle norme comunitarie sull’inquinamento atmosferico.
Nelle città italiane, da troppo tempo, vi è un’emergenza continua per la qualità dell’aria. Questa criticità delle aree urbane dipende, come è già noto, soprattutto dai trasporti e dalla mobilità, perché gli italiani non riescono a fare a meno dei quasi quaranta milioni di auto private, che provocano disagi come gli ingorghi del traffico stradale e, di conseguenza, pessimi effetti sulla salute dei cittadini. Le città di Torino, Milano e Napoli, per esempio, sono tra le aree urbane europee più inquinate dallo smog a causa delle polveri sottili (Pm10) che si registrano in una concentrazione media annuale di 39 microgrammi per metro cubo nel capoluogo piemontese, 37 in quello lombardo e 35 nella metropoli partenopea.
Il primato negativo sull’aria inquinata, comunque – legato alle emissioni delle automobili e anche agli impianti di riscaldamento e a quelli industriali, spesso tecnicamente obsoleti – vede superati i limiti normativi nelle città di Brescia per complessivi 150 giorni, Lodi (149), Monza (140), Venezia (139), Alessandria (136), Milano (135) e Torino (134). Per le gravi ripercussioni sanitarie, basta ricordare, infine, che l’Italia è prima tra i paesi nell’Unione Europea per le morti premature (14600) da NO2 (biossido di azoto) e per ozono (3mila decessi), mentre è seconda dopo la Germania per i decessi causati dalle polveri sottili Pm2.5 (58600 vittime), il cosiddetto particolato fine.
Per evitare l’infrazione per il superamento dei livelli consentiti dalle norme UE sull’inquinamento dell’aria non è risultata convincente, per i giudici della corte lussemburghese, la circostanza dell’estensione limitata delle aree di superamento soprattutto nella Pianura Padana e, non nelle stesse quantità, nelle aree urbane di Roma e Napoli, e meno sul resto del territorio nazionale. Nelle zone critiche, in effetti, negli ultimi anni è stato superato di 100 giorni il limite massimo giornaliero di 50 microgrammi per metro cubo, vale a dire di tre volte la cosiddetta soglia di tolleranza per la salute umana, fissata convenzionalmente in 35 giornate annuali.
Nel mondo contemporaneo, l’inquinamento naturale e, sempre di più e diffusamente, quello antropico alterano le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua, del suolo e dell’aria, compromettendo la salute e la generale qualità della vita delle popolazioni umane. Inoltre, concorrono all’aumento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera che hanno generato il surriscaldamento del pianeta e gli sconvolgimenti dei cambiamenti climatici. Gli scienziati, infine, stanno raccogliendo dati che indicano un probabile collegamento tra le zone più caratterizzate dalla mal’aria e i casi di COVID-19, perché le particelle atmosferiche inquinanti potrebbero costituire un veicolo che facilita il diffondersi del contagio.
Almeno 9 esseri umani su 10 sul pianeta Terra respirano male, ci dicono le stime dell’OMS. E se lo stato delle cose è quello appena descritto per l’Italia, e anche per l’Europa e l’intero Occidente tecnologicamente avanzato e materialmente sviluppato, si possono immaginare in quale pericolo vivano le popolazioni nelle aree meno sviluppate e tecnicamente assistite del mondo, soprattutto per i soggetti delle fasce socio-sanitarie più deboli: gli anziani, le donne in gravidanza e i bambini.
In questi giorni, accanto al clamore e alle giuste preoccupazioni delle informazioni che riguardano la crisi pandemica, sui social è diventato virale un tweet di Licypriya Kangujam, un’attivista dell’ambientalismo di soli 9 anni, che ha indirizzato un appello drammatico al governatore di Nuova Delhi, dove l’aria da giorni è diventata irrespirabile, invitando il politico a dichiarare l’emergenza sanitaria perché stiamo soffocando! I bambini muoiono!
Il grido di sofferenza della piccola fondatrice di The Child Movement, costituito da tanti infanti che lottano contro l’inquinamento, è un atto d’accusa – che ci riguarda tutti, nessuno escluso, governanti e cittadini del mondo – contro l’egoismo degli adulti delle generazioni precedenti che hanno sacrificato la qualità dell’aria, dell’acqua e dei suoli, vale a dire gli elementi basici della loro esistenza, sull’altare di un benessere economico e materiale insensato e criminale, di cui godere e vantarsi, qui e ora, rubando il futuro alle prossime generazioni.