La scorsa settimana chi ha dato un’occhiata più attenta alla rassegna stampa si è trovato di fronte a fatti apparentemente indipendenti tra loro ma motivo di confronto tra personaggi pubblici, non proprio di secondo piano, rappresentativi del mondo ecclesiale e della politica italiana ed europea. In particolare, tra due uomini della stessa veneranda età (86 anni): uno, il massimo esponente della Chiesa Cattolica; l’altro, un imprenditore prestato alle istituzioni, da circa trent’anni incisivo negli ingranaggi del potere, seppur in minor misura, capace ancora di condizionare e orientare scelte sui temi più sensibili del Paese.
Il primo, Papa Francesco, in un’intervista rilasciata al quotidiano spagnolo ABC, ha lanciato messaggi chiari e inequivocabili ai molti che millantano amicizia per motivi di esclusivo tornaconto personale, rivelando di aver sottoscritto le sue dimissioni in caso di grave malattia già al momento della nomina. Un atto di responsabilità coerente con altre scelte fatte finora e l’impegno in operazioni diplomatiche per giungere alla costituzione di un tavolo per la ricerca di una pace possibile.
L’altro, l’ex cavaliere Silvio Berlusconi, massimo esponente della peggiore politica populista della cosiddetta Seconda Repubblica, incontrando la squadra del Monza di sua proprietà, ha elegantemente promesso ai giocatori che, se avessero battuto la Juventus o il Milan, avrebbe mandato un pullman di troie e, come se non bastasse, due giorni dopo, in occasione dell’apertura della campagna elettorale a sostegno del leghista Attilio Fontana – quello del disastro della sanità lombarda, rinviato a giudizio per frode nelle pubbliche forniture – alquanto rammaricato ha confessato ai presenti: «Non ho preso nessun ruolo istituzionale in questo governo anche se lo meritavo». Il tutto come in tanti casi analoghi e sempre con lo spirito di modestia che lo portò a definirsi grande statista dopo Alcide de Gasperi.
Senza alcun dubbio imparagonabili, i due personaggi, se non per l’età che li accomuna, appartengono a due mondi diversi, lontani anni luce. Due mondi e due modi di porsi nei confronti del prossimo e del bene comune, agli antipodi rispetto al mondo femminile sempre più vilipeso e mortificato da chi avrebbe messo in ginocchio anche il ruolo della massima carica dello Stato laddove malauguratamente avesse fatto il suo ingresso al Quirinale.
Il berlusconismo che ha infestato il mondo politico uscito a pezzi dall’operazione di mani tutt’altro che pulite continuerà a durare ancora, così come dimostra quanto accaduto negli stessi giorni nella massima istituzione europea, quel Parlamento apparentemente dalle pareti di cristallo crollate in un attimo per i gravi fatti di corruzione con valigie e sacchi di denaro contante trovato nelle abitazioni di alcuni parlamentari e della stessa Vicepresidente dell’assemblea. Indagini che finora sembrano aver interessato una sessantina di esponenti e collaboratori comunitari, tra i quali anche italiani di area della cosiddetta sinistra.
«Credo che la rete sia molto più diffusa, non ci troviamo di fronte a poche mele marce ma a un frutteto» ha commentato il leader di Unione Popolare Luigi de Magistris ai microfoni del collega Alessandro Campaiola nel consueto incontro del sabato sulla pagine social di questo giornale. Altro che limiti al contante e al POS, siamo di fronte a una corruzione a macchia d’olio e a legami anche con ambienti criminali. Fatti certamente non nuovi a chi come de Magistris ha pagato personalmente per aver osato toccare i fili dell’alta tensione colpendo in maniera trasversale alte cariche dello Stato con indagini che portavano anche al Parlamento Europeo. Ma pure questa è acqua passata, riemersa come in un pantano, e nutriamo seri dubbi che gli accertamenti in corso possano andare troppo avanti. Allo stato le persone coinvolte non risultano ufficialmente indagate.
Brutta storia questa che non poteva che interessare anche una parte politica, quel Partito Democratico già nella tempesta, che preferisce prendere tempo tra comitati di saggi e contatti anche con quanti hanno fatto a gara a demolire la forza uscita con le ossa rotte dalla recente consultazione elettorale. Prevedibile e corretto il provvedimento di sospensione dell’europarlamentare napoletano Cozzolino coinvolto nel Qatargate, come anche prevedibile il silenzio del PD locale, consuetudine consolidata anche per altre gravi anomalie sul piano regionale e comunale.
Queste le novità della settimana scorsa tralasciando almeno per ora, ma con l’impegno di tornarci con forza, la guerra in atto non alla povertà ma ai poveri e il conflitto ucraino, continuando ad alimentarlo con risorse immense che evidentemente assieme ai pensionati dovranno pagare anche i più bisognosi. Una guerra dichiaratamente da non fare neppure minimamente agli evasori, a quella parte consistente di Paese che vive alle spalle dei contribuenti con la protezione dello Stato che finge di non vedere e di non sapere.
È la settimana che terminerà con la celebrazione del Natale, i senzatetto di Napoli avvolti nei cartoni nella Galleria Umberto hanno addobbato con alcuni fili argentati e dorati i loro freddi giacigli. Con qualche probabilità sarà nuovamente vietata la distribuzione dei pasti caldi da parte dei volontari delle tante organizzazioni presenti in città. Una città che pare abbia perso di colpo lo smalto ritrovato e il sorriso, non perché declassata e mortificata ulteriormente dalla solita classifica del Sole24Ore, ma perché la cultura, orfana anche dell’Assessore di riferimento, non riesce a esprimere quanto meriterebbe, piombando in un silenzio mortificante per un centro ricco di storia, arte e cultura. Un silenzio assordante che ha tutta l’aria di voler riavvolgere il nastro riportando ai tempi bui di oltre dieci anni fa, complici i social telecomandati.