La tensione nelle carceri sta crescendo sempre di più. In particolare, nelle ultime ore sono scoppiate numerose proteste e rivolte in seguito alla notizia dell’interruzione totale dei colloqui con i familiari per i detenuti, in attuazione delle misure di contenimento del coronavirus disposte dal decreto governativo dell’8 marzo. In seguito ai disordini verificatisi domenica dentro e fuori le mura dell’istituto penitenziario napoletano di Poggioreale, abbiamo avuto l’occasione di intervistare Samuele Ciambriello, Garante dei detenuti della Regione Campania, il quale ci ha offerto il suo punto di vista su quanto sta accadendo e sui provvedimenti urgenti da adottare.
Inizierei dalla situazione drammatica delle carceri in queste ore e dai provvedimenti che sono stati presi. Cosa ne pensa?
«L’emergenza coronavirus ci ha colpiti tutti di sorpresa però è stata fatta in una maniera un po’ improvvisata, incauta, la dichiarazione che dall’oggi al domani non ci sarebbero più stati i colloqui. C’è stata molta approssimazione da parte del governo e poca preventiva informazione dal Ministro della Giustizia. I rischi erano proprio quelli che prevedevo qualche giorno fa, di arrivare a proteste anche non pacifiche: sabato è successo in forme pacate in alcune realtà campane, a Salerno è scoppiata la rivolta, mentre domenica hanno reagito circa 700 detenuti di quattro padiglioni di Poggioreale. Certo, questa è una situazione nuova e il diritto alla salute è importante, ma molti detenuti con cui ho parlato in queste ore mi hanno detto che sono in cella in otto, in dieci, in dodici e ora si sentono dire che i familiari non devono venire per ragioni igienico-sanitarie. Dunque, hanno protestato per vari aspetti, dall’igiene alla vivibilità, all’umanità degli spazi al limite della sporcizia. Tuttavia, se la protesta avviene con metodi violenti, mettendo a ferro e fuoco diversi padiglioni e in pericolo l’incolumità di altri detenuti, perde di valore. Si tratta di sicurezza. Una parte dei padiglioni ha fatto solo la battitura – che è una protesta pacifica per attirare l’attenzione –, in altri, invece, un’alta percentuale di reclusi ha manifestato in maniera violenta».
Lei come pensa che sia necessario agire in questo momento in cui i detenuti chiedono sicurezze, tutele e il rispetto dei loro diritti?
«In questa fase così convulsa bisognava mettere in campo proposte diverse, magari permettendo i colloqui con un solo familiare anziché tre. Anche gli agenti entrano tutti i giorni così come gli educatori, dunque poteva essere fatto un ragionamento diverso, magari sotto la responsabilità dei direttori in quelle carceri che sono più a misura d’uomo e in cui gli spazi lo consentono. Se le persone fuori non riescono a rispettare il divieto di non abbandonare la Lombardia, o di non frequentare ristoranti e pub, allora a maggior ragione un detenuto privo di informazioni corrette e adeguate rischia di vivere molto l’emotività del momento. Chiaramente, io non giustifico nessun tipo di violenza, ma non sarebbe opportuno mettere agli arresti domiciliari chi deve scontare due anni di pena? Non sarebbe opportuno rimandare a casa i semiliberi? Sono detenuti che di giorno stanno fuori e di sera devono rientrare in carcere. Ecco, forse sarebbe anche più opportuno aumentare gli affidamenti in prova ai servizi sociali. Si svolgerebbero dei lavori socialmente utili e si tornerebbe a casa, ognuno secondo la propria responsabilità. Se Mattarella pensasse all’indulto, poi, ancora meglio».
Rispetto a Poggioreale, immagino che Lei domenica fosse presente. Cosa è accaduto e che idea si è fatto rispetto ai provvedimenti futuri?
«Sì, sono stato lì per tutto il pomeriggio. Il nuovo decreto contiene l’apertura a provvedimenti quali l’aumento della durata delle telefonate, l’incentivo ad adottare misure alternative agli arresti e alla detenzione domiciliare. Io mi appello ai direttori delle carceri e ai magistrati di sorveglianza, che ho avuto occasione di sentire anche in queste ore. Segnali in tal senso vanno dati, compresi quelli di far svolgere eccezionalmente dei colloqui individuali. Ripeto, sono necessari realismo e buon senso, non si possono dare ordini perentori di questo genere all’improvviso. Così come sono stati potenziati medici e infermieri, bisogna potenziare e non ridurre il personale, incentivare l’area sanitaria in carcere e i trattamenti a tutela dei detenuti».
C’è chi in queste ore chiede che ai comandanti di reparto vengano dati poteri emergenziali per sedare le rivolte con la forza. Cosa crede che accadrà?
«Con la violenza non si ottiene nulla. A Napoli e Salerno si è rischiato molto, i danni sono ingenti, ma per fortuna la situazione – di per sé molto delicata, considerando la pericolosità della salita sul tetto da parte di alcuni reclusi – è stata gestita bene. Il contenimento a Poggioreale è stato equilibrato, in infermeria c’era solo qualche contuso, tra cui un detenuto del padiglione Napoli. Dunque, visto che gli istituti sono frequentati da moltissime persone, vanno potenziati i presidi sanitari, anche per gli agenti e gli educatori che vi entrano quotidianamente. È necessario che il carcere sia uno dei posti più sicuri. Mentre parliamo, in Italia, ci sono circa 4mila persone condannate ad appena un anno, così come ce ne sono altrettante che devono scontare due anni. Se si pensa a misure alternative, dov’è l’immoralità? A emergenza si risponde con emergenza. Questo momento deve far riflettere la politica».