Alla Cop25 di Madrid, i lavori supplementari per gli accordi tra gli Stati sono andati avanti fino a domenica e il fallimento globale della 25esima Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change), di conseguenza, è apparso subito evidente, inevitabile. La conferenza intergovernativa organizzata dal Cile e svoltasi nella capitale spagnola doveva finire il 13 dicembre per segnare il punto di svolta decisivo nel contrasto all’emergenza climatica da rendere operativo entro la prossima Conferenza di Glasgow del 2020.
Quando a Madrid è intervenuta Greta Thunberg, creatrice del movimento dei Fridays For Future e a cui la rivista americana Time ha deciso di assegnare il riconoscimento di persona dell’anno, la giovane ha dichiarato di non voler più spaventare nessuno, ma che ci troviamo ancora in un’emergenza planetaria perché da tempo manca una leadership politica. Mentre le delegazioni dei quasi 200 Paesi discutevano del mercato del carbonio e dei risarcimenti per le catastrofi naturali, infatti, l’attivista ha denunciato che i politici fingono di agire perché non hanno capito che siamo di fronte a un’emergenza.
Per evitare la calamità climatica, come la scienza da tempo ci avverte – anche attraverso il lavoro di più di 2mila studiosi dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’osservatorio sui cambiamenti climatici istituito dalle Nazioni Unite nel 1988 –, bisogna trasformare radicalmente l’economia e ridurre le emissioni di gas serra. Non lo dico io, lo dice scienza, ha ribadito la giovane Thunberg e le affermazioni del professore di ecologia Johan Rockström, dell’Università di Stoccolma, le hanno fatto da autorevole eco massmediatica: nei prossimi otto anni la temperatura media della Terra potrebbe superare di 2 gradi il valore dell’era preindustriale e, quindi, in 8 anni accadrà quello che non è successo per milioni di anni, con conseguenze imprevedibili ma sconvolgenti per la vita degli esseri viventi sull’intero pianeta.
Fino a domenica, tuttavia, si è trattato ancora per la stesura di un documento finale dei lavori, cercando di superare le difficoltà per la definizione dei target di taglio alle emissioni di CO2 che ogni Paese dovrà adottare, la revisione delle norme che regolano il mercato del carbonio – per evitare il double counting nel quale sia il Paese venditore sia quello acquirente conteggiano la quantità di emissioni scambiata – e il loss and damage, relativo ai meccanismi finanziari messi in atto per aiutare gli Stati più vulnerabili dal punto di vista climatico, colpiti da eventuali calamità naturali legate al global warming.
I responsabili del fallimento della Cop25 sono proprio i grandi Paesi inquinatori, dagli USA di Donald Trump alla Cina, all’India e al Giappone, nonché il Brasile di Bolsonaro e l’Australia. Non sono bastati gli sforzi di altre 80 nazioni che si sono impegnate ad aumentare l’impegno nel rispetto delle regole di applicazione dell’Accordo di Parigi del 2015 che prevede di limitare il riscaldamento climatico al di sotto di 2 gradi, meglio ancora entro la soglia più sicura di 1.5 gradi. L’Unione Europea si è già accordata, intanto, su un obiettivo di neutralità del carbone entro il 2050.
La responsabile governativa dell’Ambiente del Cile e Presidente del vertice, Carolina Schmidt, si è appellata all’assemblea, sostenendo che la politica deve mostrare al mondo esterno che mantiene le promesse, che il multilateralismo funziona. Per questo il coordinatore della presidenza Andres Landerretche ha scelto di prorogare la sospensione della conferenza di Madrid per tentare di giungere alla stesura di un documento comune entro la serata di domenica. Alla fine, invece, dopo due giorni di trattative supplementari, nell’avvilente sessione plenaria c’è stato il rinvio sull’articolo 6 degli Accordi di Parigi intorno al nodo centrale del mercato del carbonio. Una formale dichiarazione del fallimento della 25esima Conferenza tra le parti sui cambiamenti climatici.