È vero che in tempi di accordi per il Quirinale vale tutto e forse non dovremmo sorprenderci più di tanto – nonostante la fatica nel comprendere quelle parole – se Enrico Letta dice che deve dare l’impressione di non essere troppo in sintonia con Giorgia che sennò chissà che si inventano. Comprendiamo che lo ha detto in un contesto particolare, cioè la manifestazione di Atreju a cui hanno legittimamente partecipato anche gli altri leader di partito, ma in ogni caso non dovrebbero esserci proprio i presupposti per far credere che ci sia un’eccessiva sintonia tra la rappresentante della destra radicale e il segretario della principale forza di centrosinistra.
Tra i due, verosimilmente, c’è l’obiettivo comune di eleggere Presidente della Repubblica Mario Draghi: a lei tornerebbe utile per andare subito alle elezioni – e anche questo sarebbe tutto da verificare – e presentarsi quale leader del primo partito del centrodestra, dunque come papabile Presidente del Consiglio; lui, invece, potrebbe approfittarne per liberarsi dei renziani presenti ancora nei gruppi parlamentari dei democratici e candidare il suo come partito trainante della coalizione progressista – dai contorni ancora indefiniti – considerando che anche i sondaggi, al momento, danno il PD come favorito, di poco distante da Fratelli d’Italia.
Ecco, dicevamo, in tempi di guerra e di Quirinale tutto è davvero concesso. Al punto tale che Conte non si sente in difetto nell’affermare che Berlusconi ha saputo interpretare le istanze del Paese – dando così vita al bipolarismo – e ha fatto anche cose buone. Ora, al di là, delle cose buone (espressione che ricorda un po’ chi in genere vuole giustificare un determinato periodo passato) sulle quali bisognerebbe interrogarsi – e che certamente ci saranno, più per una questione statistica che per altro –, non capiamo per niente come sia possibile che il capo politico del MoVimento 5 Stelle dedichi parole dolci a Berlusconi.
Perché, se ci volessimo sforzare di capire il senso delle sue affermazioni, potremmo pensare che l’avvocato abbia voluto ricambiare le recenti dichiarazioni del Caimano sul reddito di cittadinanza («Gli importi che sono finiti a dei furbi che non ne avevano diritto sono davvero poca cosa rispetto alle situazioni di povertà che il reddito è andato finalmente a contrastare. […] Si tratta di una misura che aiuta i poveri»). Questo, però, non farebbe onore allo stile mostrato in questi anni da Conte, che – per quanto diplomatico – non ha certo bisogno di ingraziarsi gli avversari politici, soprattutto se parliamo di quel Silvio Berlusconi.
Infatti, per quanto queste possano essere prove di intesa proprio per le imminenti elezioni del Capo dello Stato – motivo per cui è necessario un dialogo tra tutte le forze politiche per trovare una figura unitaria che consenta di avere quanti più voti possibili, visti i quorum giustamente stringenti –, l’ex Premier non deve dimenticare che il soggetto in questione è un condannato per frode fiscale, artefice del più spudorato conflitto di interessi che si sia mai visto in una democrazia occidentale, regista di una serie di vergognose leggi ad personam, decisore di riforme sulla giustizia che miravano solo a garantire – soprattutto a lui – l’impunità, fido di Marcello Dell’Utri – condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa –, lo stesso Berlusconi che definì la magistratura un cancro. E così via.
Quanto, invece, al fatto che il cittadino di Arcore si sarebbe fatto interprete delle istanze del Paese, non c’è alcun dubbio che lo stesso sia stato un gran comunicatore che ha sempre saputo dove colpire e quali corde toccare, ma va ricordato il clima certamente appassionante, ma anche divisivo e infuocato, che si respirava soprattutto negli ultimi anni del suo governo, tant’è vero che non possiamo dimenticare come fu salutato dalla folla sotto Palazzo Grazioli il 12 novembre 2011, in occasione delle ultime dimissioni.
Può, l’avvocato, almeno dichiarare che è inammissibile che il centrodestra candidi al Colle un soggetto con una condanna definitiva per frode fiscale? Fino a che punto possono spingersi le parole buone di Conte, in vista delle elezioni per il Presidente della Repubblica, se poi finiscono per risultare come dei complimenti nei confronti del personaggio appena descritto? Il rischio finisce per essere sempre lo stesso, cioè che la pacatezza e il confronto – doti purtroppo non comuni in politica – possano essere mal interpretati e apparire come trame oscure. O peggio, come ammiccamenti.