Una scrittrice molto acclamata, notando le sigarette, sussurrò: “Si può fumare.”
Il suo accompagnatore scosse il capo. “Non credo.”
“Non c’è il cartello. È quello là?”
Cercando gli occhiali, scrutò una targa attaccata a una colonna.
“Credo che sia una stazione della Via Crucis” rispose l’altro.
“Ah sì? Comunque all’entrata ho visto un posacenere.”
“Quella era l’acquasantiera.”
Bastano poche pennellate d’autore per riconoscere il tocco caustico e dissacrante del drammaturgo e romanziere londinese Alan Bennett. Il celebre scrittore di Nudi e crudi, in questo passaggio tratto da La cerimonia del massaggio, riporta sotto il proprio abile microscopio letterario i vizi e le vacue virtù borghesi della “Londra bene”, raccontando, ancora una volta, le situazioni paradossali e le sconvenienti sensazioni dei propri personaggi.
Il lettore partecipa, insieme ad artisti, editori, divi e prestigiosi professionisti, al funerale di Clive, il massaggiatore più popolare della città. Tutti gli ospiti sono confusi e spiazzati nel vedere così tante persone tra i banchi della Chiesa, dal momento che molti dei presenti si conoscevano tra loro e in pratica tutti conoscevano Clive, ma non tutti sapevano che lo conoscevano anche gli altri. I più, infatti, erano venuti con la presunzione di far parte di un ristretto gruppo di eletti.
Dopo qualche pagina, l’autore rivela un dettaglio fondamentale che costituirà il fulcro dell’intera narrazione: l’arte del massaggio non era l’unica a essere praticata da Clive. Gran parte degli uomini e delle donne seduti tra i banchi della Chiesa, come anche il parroco, avevano goduto delle prestazioni sessuali del giovane uomo sudamericano, a volte condividendone le abilità anche con i propri partner. Occorrono, dunque, poche pagine di rara minuziosità e inesorabile cinismo per portare alla luce il vero scopo della cerimonia, che si rivelerà un’indagine per comprendere cosa abbia ucciso Clive o, più precisamente, se la malattia che ha portato via il noto massaggiatore possa essere un pericolo anche per i presenti. Spesso ai funerali la gente piange soprattutto per se stessa.
In un tal clima di sospetto, paura e ipocrisia, si mostra – impeccabile e virtuosa – la sagace penna di Bennett, volta più a svelare le inettitudini e le pratiche inconsistenti del genere umano che a darne una spiegazione razionale e moraleggiante. Un lavoro di bisturi e vetrini che è destinato a percorrere la stessa via dei grandi classici e a nutrire l’eredità da consegnare ai posteri, come ha affermato anche Michela Murgia, nella sua celebre rubrica televisiva Quante Storie.
Appare, però, ancora un mistero la scarsa fama raggiunta dall’autore tra i lettori italiani. Lungi dal voler rintracciare l’eziologia di questo squilibrio, rispetto all’enorme successo che Bennett ha raggiunto nei Paesi anglofoni e in giro per il mondo, non resta che promuovere le sue minute e preziose opere, cercando di non tradirne la drammaticità e l’intensità psicologica.