Ci siamo andati vicinissimi, abbiamo quasi sfiorato la svolta ma, alla fine, niente da fare. Per la prima volta, si era individuata una delle cause principali della disparità di genere nelle differenze di diritti e doveri delle madri e dei padri e si era – quasi – compreso che per rimediare a questi problemi fosse necessario intervenire, prima di tutto, sul congedo di paternità. E invece…
Poco più di una settimana fa, scrivevamo che la nostra classe politica ha la malsana abitudine di provare a risolvere i problemi sistemici – che avrebbero bisogno di interventi sistemici – investendo denaro e investendolo nel modo sbagliato. Non abbiamo fatto in tempo a lamentarci, a chiederci perché il governo abbia scelto di offrire premi alle aziende che garantiscono la parità salariale invece di intervenire in modo da garantirla esso stesso, che la nuova Legge di Bilancio per il 2022 ha tradito le promesse fatte in merito al congedo di paternità obbligatorio.
Pochi giorni prima l’Italia, in uno slancio di incredibile avanguardia, aveva promesso di adeguarsi agli standard europei e di portare il congedo di paternità obbligatorio a tre mesi. La misura era prevista all’interno del Family Act ed era stata annunciata lo scorso 18 ottobre, solo poco prima di essere annullata. Neanche due settimane dopo, la Legge di Bilancio per il 2022 ha dovuto escludere la possibilità di mettere in pratica la misura poiché si dispone dei fondi per garantire solo dieci giorni di congedo parentale per i padri. Insomma, nel nostro Paese non ci sono i soldi per garantire i diritti dei genitori di serie B né quelli per azzerare le disparità di genere.
Eppure, il provvedimento sarebbe costato lo stanziamento di soli 1.5 miliardi, molto molto meno rispetto ad altre misure invece attuate e forse meno necessarie di questa. Soprattutto, soltanto qualche giorno prima, un’altra legge sulla parità di genere era stata approvata, una legge probabilmente inconcludente, per la quale invece i fondi erano stati trovati eccome. Si sarebbe trattato di qualcosa di molto simile a una svolta perché, per la prima volta dopo molti anni di totale silenzio, si sarebbe messa in moto un’azione che, invece di girarci intorno, avrebbe affrontato alle radici la discriminazione di genere – tra l’altro sia in casa sia sul lavoro.
Come abbiamo già sottolineato molte volte sulle pagine di questo giornale, è impossibile azzerare le disparità se non se ne riconoscono prima le cause. E se le donne hanno difficoltà a essere assunte o promosse, ad avere accesso a cariche importanti, se non hanno lo stesso reddito degli uomini e se hanno a loro carico tutto il lavoro di cura non pagato, i motivi sono da ricercare nel ruolo di madre – o di potenziale madre – che ognuna di esse si ritrova cucito addosso.
In realtà, la società ha davvero bisogno delle donne perché sono le uniche che possono generare figli. E, come alla classe politica nostrana piace ricordare, la natalità è in calo ed è un bel problema perché l’Italia non può reggersi sulle pensioni di chi invecchia e necessita di nuova forza lavoro che garantisca produttività. Si tratta di una vera e propria esigenza dalla quale dipende il futuro del Paese e che dovrebbe convincere a un’azione più incisiva anche coloro a cui di agire per garantire i diritti non importa nulla. Invece, anziché rendere il gravoso compito più semplice e cercare l’uguaglianza per tutti i membri della società, si mettono ancora i bastoni tra le ruote alle donne, relegandole esclusivamente al loro potenziale ruolo di madri.
Dopotutto, se queste ultime hanno più difficoltà a trovare un impiego è proprio perché uno o più potenziali congedi di maternità costerebbero troppo ai datori di lavoro, che dunque preferiscono gli uomini. Se i lavoratori ricevono promozioni e avanzamenti di carriera più velocemente delle lavoratrici è perché, alla nascita di un figlio, agli uni quei pochi giorni di congedo parentale non creano problemi, mentre le altre restano indietro di sei mesi. E se le donne hanno bisogno di più congedi è anche perché, all’interno delle stesse famiglie, è a loro che automaticamente viene assegnato il lavoro di cura. Mettere al mondo un bambino, con tutte le conseguenze professionali che comporta, è dunque uno dei motivi principali per cui la disparità di genere persiste. Il problema, però, non è la maternità in sé, che quando è desiderata e non imposta può essere meravigliosa per la donna e non solo utile alla collettività. Il problema è che la paternità non esiste. Non è tutelata, non è insegnata e, soprattutto, non è contemplata neanche dalle leggi.
La riforma prevista nel Family Act ci avrebbe avvicinato alla risoluzione della disparità di genere sia sul luogo di lavoro sia all’interno delle mura domestiche, iniziando a lavorare su quelle condizioni che finiscono per relegare le donne al ruolo di mamme e niente più di questo. Eppure, che il congedo di paternità non sia andato a buon fine non è solo un peccato per l’occasione mancata, ma è una vergognosa conferma di quanto non ci sia evidentemente nessun interesse a porre effettivamente un freno allo stato attuale delle cose. Dimostra, inoltre, il totale disinteresse dei diritti dei padri.
Se la maternità rischia costantemente di essere un’imposizione invece che una scelta, la paternità, in cambio, è preclusa a tutti quegli uomini che la vorrebbero. E contrariamente a quanto si pensi, non sono pochi i padri che non vorrebbero solo aiutare le mamme, ma avere la possibilità di essere papà a tutti gli effetti. Di loro, però, non si parla quasi mai. Esistono i diritti dei padri separati, evidentemente alla ricerca di un nuovo equilibrio una volta che la struttura familiare tradizionale viene meno e, dunque, anche i ruoli imposti dalle convenzioni. Ma, che si tratti di congedo di paternità o di qualunque altra tutela della genitorialità degli uomini, non si fa mai riferimento.
Non sono molte e non sono troppo numerose, eppure qualche voce inizia a farsi sentire anche da parte degli uomini, di tutti quei padri che vorrebbero che la propria genitorialità e i diritti a essa connessi fossero adeguatamente tutelati. A dimostrazione di quanto la battaglia per la parità di genere riguarda chiunque, è proprio da un papà che è partita una petizione per l’approvazione dei tre mesi di congedo di paternità obbligatoria. La petizione parla per tutti i genitori, senza distinzioni tra madri e padri, senza alcuna classificazione tra i genitori di serie A e tutti gli altri, quelli che non hanno neanche il diritto di veder crescere i loro figli, proprio mentre ai primi sono richiesti sacrifici che, con la parità, non sarebbero davvero necessari.
Eppure, alle iniziative che partono dal basso, da chi ne ha bisogno, deve necessariamente seguire un impegno da parte di chi ci amministra e decide in quali settori investire il denaro pubblico. E inizia a diventare insostenibile l’incapacità di analizzare la realtà di chi siede sulle poltrone che ci governano. Altrettanto insostenibile è la mancanza di lungimiranza. Vengono approvate – e dunque finanziate – leggi che non risolvono davvero la disparità e poi non si hanno più i soldi per quei provvedimenti che, invece, cambierebbero davvero le cose. Si ignorano, allo stesso modo, i diritti delle madri e quelle dei padri, le prime penalizzate perché prive di tutele e i secondi esclusi dal ruolo genitoriale che dovrebbero e vorrebbero interpretare.
Insomma, mai come in questo caso è dimostrato quanto la disparità di genere non sia solo un problema delle donne poiché a subirne le conseguenze sono tutti, anche gli uomini, anche i padri. Come possiamo ritenerci un Paese moderno e sviluppato, un Paese democratico, un Paese libero, se non viene messa in campo alcuna azione efficace atta ad azzerare tutte le discriminazioni e le disparità sistemiche?