Come ogni avvicendamento che si rispetti, il recente cambio della guardia in via del Nazareno sta preoccupando non poco i dirigenti romani di partito e quanti ricoprono incarichi, che già in questi giorni hanno mal digerito l’invito del neo Segretario Enrico Letta a cedere le proprie poltrone di capogruppo in Parlamento per dare, anche nella composizione della direzione, un chiaro segnale di apertura al mondo femminile, in verità poco presente in tutta la compagine di governo. Un rimescolamento delle carte, quello all’interno del PD, che coinvolge anche il prossimo impegno elettorale che riguarderà molti Comuni (tra i quali diverse città capoluogo) e che, inevitabilmente, rappresenterà il primo banco di prova del leader fresco di nomina.
In Campania, Enrico Letta dovrà affrontare una situazione davvero singolare con la storia di un decennio segnato da sonore sconfitte, certamente non casuali, che sembra non aver insegnato nulla a un partito che ha amministrato a lungo la città con risultati purtroppo ben noti, le cui conseguenze pesate in questi anni ricadranno ancora per molto sulla pelle dei cittadini. Il Segretario continuerà la strategia del far finta di niente del suo predecessore o farà i conti con il partito ufficiale, quello del Presidente De Luca e la posizione autonoma di Antonio Bassolino? Come concilierà l’attuale situazione con quello che scaturirà dall’accordo con il M5S? Già il solo nominare una possibile candidatura dell’attuale Presidente della Camera – unica proposta pentastellata con possibilità di riuscita – ha creato più di un mal di pancia, salvo che al tranquillo Bassolino che non sembra avere alcun dubbio nel portare avanti la propria con una macchina elettorale già in moto da tempo.
La novità assoluta, invece, è costituita dall’interesse del Presidente della Regione – con lo sguardo rivolto sempre alla sua amata Salerno – a mettere le mani su Napoli, città notoriamente non rientrante nelle sue simpatie, tanto da esprimersi poco più di cinque anni fa con la frase decisamente infelice secondo cui quelle del capoluogo sarebbero persone geneticamente ladre. Il PD locale, invece, sembra al momento interessato a far cadere l’attuale amministrazione con la conseguente nomina di un commissario, strategia che evidentemente qualche giovane dirigente ritiene estremamente vantaggiosa, non valutando a fondo, però, ciò che potrebbe comportare a danno della città e dell’effetto boomerang che garantirebbe così il terzo fallimento in un decennio.
Il Sindaco Luigi de Magistris, candidato alla Presidenza della Regione Calabria, intende portare a termine il suo mandato sino alla scadenza e, come noto, già da tempo ha annunciato la candidatura della giovane Assessore Alessandra Clemente, tenuto conto che sia il PD che i pentastellati non hanno mai ritenuto opportuno costituire un tavolo per discutere una possibile proposta unitaria, che quasi sicuramente dovrà digerire conseguentemente a un accordo più generale, con le imprevedibili reazioni di Vincenzo De Luca e un sereno Antonio Bassolino che potrebbe raccoglierne il malcontento.
La rinnovata disponibilità di de Magistris a valutare possibili soluzioni con le altre forze politiche ha ingenerato più di qualche sospetto di voler sacrificare l’avanzata della Clemente, interpretazione superficiale e frettolosa tipica dei chiacchiericci di corridoio di quanti ancora non hanno imparato a decifrare e a leggere tra le righe l’ex PM, evidentemente già convinto di un finale scontato.
Certamente la fuga e i ribaltoni di esponenti della maggioranza, parte dei quali sonoramente bocciati dalle urne nella scorsa competizione elettorale regionale, non sono valsi a fare i conti con limiti e potenzialità, pervasi forse da un delirio di onnipotenza e sopravalutazione personale e, perché no, anche da quella mancanza di riconoscenza e di realismo politico che talvolta condiziona la memoria fino a offuscarla del tutto.
Per quanti capaci di riportare alla mente le situazioni delle due precedenti Amministrative – durante le quali il nome di de Magistris, dato perdente dagli apparati di partito in entrambe le occasioni, si è rivelato vincente –, la candidatura autonoma di Alessandra Clemente potrebbe costituire il prosieguo di quella novità che, al netto degli errori certamente fatti, ha comunque rappresentato un elemento di rottura con i potentati di partito e gli interessi di bottega e, non ultimo, un risveglio delle coscienze di quella parte di città, cittadini e comunità politiche emarginati da sempre chiamati a partecipare alla vita politica e amministrativa costituendo, forse, uno degli atti che andavano ponderati con maggiore attenzione.
Tutto potrebbe essere ribaltato dall’ennesimo tentativo di risveglio dal coma di un partito già oggetto della spietata rottamazione renziana e della flebile e remissiva segreteria Zingaretti conclusasi con dimissioni le cui motivazioni sono apparse del tutto pretestuose e non chiare per una forza politica in verità sempre molto più attenta alle poltrone che ai contenuti.
Calare dall’alto una candidatura non gradita a ciò che in città resta del PD – partito che abbiamo più volte definito uno e trino – potrebbe non funzionare, favorendo in parte colui che ha governato per vent’anni tra Comune e Regione, la destra con la probabile candidatura del magistrato Catello Maresca e, anche, Alessandra Clemente. Vedremo nei prossimi giorni quale sarà la strategia di Enrico Letta e di Giuseppe Conte, che sembra voler mettere in discussione quell’oggetto sacro fonte della verità assoluta che è la piattaforma Rousseau. Mossa che rivoluzionerebbe i poteri decisionali all’interno del MoVimento riconducendoli al capo e probabilmente a una direzione ristretta.