Affollano le strade con le loro proteste, sono stati accusati di aderire agli scioperi solo per saltare la scuola, e da anni sono la voce più coerente che chiede – o prega – ai propri governi e a tutto il mondo di porre urgente rimedio alla crisi climatica. Sono i giovani i protagonisti della Youth4Climate, una conferenza voluta dall’Italia nell’organizzazione della PreCop26 che si sta tenendo a Milano durante questa settimana. L’obiettivo è fare chiarezza sulle criticità che stanno impedendo il raggiungimento degli obiettivi sul clima, porre rimedio alle disastrose previsioni degli ultimi studi sul tema e dare una voce a quegli attivisti che più di altri si battono da anni per qualcosa che, mai come prima d’ora, coinvolge tutti. Ma andiamo con ordine.
Nelle ultime settimane sono stati pubblicati numerosi studi che descrivono la gravità della situazione climatica: tra obiettivi disattesi e incapacità di adattamento, l’Italia – non molto diversamente dal resto del mondo – non è attualmente in grado di tutelarsi contro i cambiamenti climatici e per il Bel Paese i rischi non sono cosa da poco. Lo studio European Governance of the Energy Transition ha stimato che le attuali politiche consentiranno all’Italia di raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi prefissati entro il 2030 con ben ventinove anni di ritardo. Più o meno contemporaneamente, invece, il centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici ha pubblicato un rapporto sull’analisi del rischio e sulle conseguenze che il fallimento di tali obiettivi riverserà sulle città italiane. Se l’obiettivo di raggiungere una temperatura media globale inferiore ai due gradi in più rispetto ai livelli preindustriali fallirà, ne subiranno le conseguenze numerosi settori economici – dalle infrastrutture al turismo all’agricoltura – e le categorie più deboli – dalle fasce sociali più svantaggiate ai soggetti più a rischio in termini di salute.
Secondo il rapporto, aumenteranno i giorni di caldo intenso e diminuiranno le precipitazioni. Al clima sempre più arido e meno adatto all’agricoltura si aggiungeranno ondate di calore letali per alcuni e una frequenza sempre maggiore di eventi metereologici estremi, che tra trombe d’aria e bombe d’acqua andranno a danneggiare le infrastrutture e mietere molte vittime. I cambiamenti climatici rischiano di aumentare le disuguaglianze economiche tra le fasce sociali e tra le regioni, peggiorando, di fatto, le condizioni dei già ultimi. Criticità anche per la disponibilità dell’acqua e della sua qualità, che comporta un ulteriore impatto anche sul sistema agricolo e sull’allevamento. Gli incendi recenti già indomabili, inoltre, si intensificheranno e peggioreranno.
Non è roseo, dunque, il quadro descritto dall’analisi dei rischi, ma non si può dire che ci fosse bisogno di questo ennesimo studio per comprendere la gravità della situazione. Dopotutto, del rischio che il cambiamento climatico comporta si parla ormai da anni e, in questo caso, a differenza di molti altri, la percezione di ogni individuo non è poi così lontana dalla realtà: ognuno di noi ha contezza degli eventi estremi degli ultimi mesi che hanno distrutto città e ucciso persone, così come la nostra pelle avverte l’afoso e insopportabile caldo che i termometri registrano durante le estati infinite. Eppure, questo non basta a cambiare le cose.
Al momento, tutti i paesi stanno complessivamente mancando gli obiettivi necessari per arrestare il cambiamento climatico prima che sia troppo tardi. Da un lato, le nazioni sviluppate non stanno mettendo in atto politiche realmente efficaci. Lo stesso programma italiano, il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), che ha permesso l’accesso a risorse straordinarie messe a disposizione dall’UE, ha svariate criticità. La svolta green che il piano promette è, di fatto, basata su un avanzamento tecnologico che dovrebbe permettere, in parole povere, di continuare a fare la vita che facciamo senza rinunciare a nulla e lasciare che una tecnologia – che non è detto che abbiamo – rimedi per noi alle emissioni sconsiderate. Che si tratti di gestione dei rifiuti o di soluzioni smart per l’agricoltura, insomma, non si fa cenno a quella decrescita necessaria, a quelle rinunce che possano in qualche modo permetterci di risparmiare un po’ sulle emissioni. Dopotutto, è stato proprio questo il concetto espresso dall’attivista Greta Thunberg nel suo discorso durante la prima giornata del PreCop26: in mancanza di soluzioni tecnologiche che ci consentano di abbattere le emissioni mantenendo lo stesso stile di vita, l’unica soluzione è cambiarlo.
D’altro canto, mentre i paesi sviluppati non fanno propriamente la loro parte, anche i paesi in via di sviluppo contribuiscono al cambiamento climatico. Che non si provi a dare la colpa a loro, perché la responsabilità della situazione in cui ci troviamo è condivisa e, soprattutto, tende molto più verso le nazioni più ricche. Si parte dal presupposto che i paesi oggi definiti sviluppati, per giungere alle condizioni in cui si trovano attualmente, hanno inquinato senza particolari scrupoli per un paio di secoli, causando conseguenze gravi a livello planetario, anche sui luoghi del mondo più poveri che non hanno in alcun modo beneficiato dello sviluppo economico ma ne hanno subito le conseguenze. Contemporaneamente, questi ultimi non possono permettersi gli stessi ritmi di inquinamento, data la grave situazione in cui il clima si trova, ma non è giusto negare loro una crescita che noi abbiamo fatto senza crearci alcun problema. Per questo, era stato previsto un piano che aiutasse economicamente queste aree affinché non dovessero rallentare il proprio sviluppo, ma potessero farlo senza danneggiare ulteriormente il clima. Gli Stati che avrebbero dovuto contribuire, però, hanno, ovviamente, disatteso le promesse e dei 100 miliardi da versare entro il 2020 ne mancano ancora 20.
Non c’è certamente da girarci intorno, il cambiamento climatico è responsabilità di tutti. Non di pochi paesi, né di pochi capi di Stato che prendono decisioni disastrose, come se l’agenda politica non fosse dettata dalle priorità che settano la popolazione tutta, o da pochi industriali avidi che, pur di fare profitto, sono disposti a qualunque nefandezza. E, tanto quanto le responsabilità, anche le conseguenze ricadono su tutti. Anche se non allo stesso modo.
Come accennato in apertura, in questi giorni si sta tenendo la PreCop26, un evento organizzato da Italia e Gran Bretagna che precede la Cop, la conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Glasgow a novembre e che riunisce i vertici mondiali intorno al tema dei cambiamenti climatici. Alla PreCop26 di Milano sono stati invitati anche quattrocento giovani da tutto il mondo, due per ogni paese. Dopotutto, i giovani sono stati coloro che più di tutti hanno fatto sentire la propria voce in questi anni di continui rinvii sulla questione climatica. Eppure, i giovani sono anche i meno responsabili nonché, paradossalmente, quelli che ne subiranno maggiormente le conseguenze. Ciononostante, è davvero difficile trovare qualcuno che ne riconosca i meriti, a partire dal Ministro per la Transizione Energetica – transizione che ci chiediamo se avverrà mai, considerando che in Italia esistono ancora dei sussidi ai combustibili fossili e le fonti di energia rinnovabile non hanno subito alcuna crescita nel corso degli ultimi anni.
Il Ministro Cingolani, durante il suo intervento, ha infatti sottolineato quanto ritenga importante l’utilità delle proteste e il ruolo che i giovani hanno avuto, per poi aggiungere che questi ultimi non dovrebbero limitarsi alle proteste, ma potrebbero anche proporre qualche soluzione. Certo, in effetti le soluzioni dovrebbero arrivare proprio dai ragazz, cioè da coloro che non hanno alcuna colpa di un cambiamento climatico dovuto alle scelte scellerate delle generazioni dei loro nonni e dei loro genitori, di coloro che hanno vissuto un boom economico e una vita sostanzialmente ricca anche grazie alle scelte inquinanti di cui non saranno loro a pagare il vero prezzo. Le soluzioni dovrebbero arrivare proprio dai giovani, che soffrono di comprovati stati d’angoscia ed eco-ansia dovuti all’incertezza per un futuro in bilico a causa delle scelte di chi è venuto prima. Proprio loro che sono ancora troppo giovani per essere ingegneri ambientali o economisti green dovrebbero poter in qualche modo partorire una qualche soluzione al cambiamento climatico.
Il bello, però, è che loro la soluzione, loro, l’hanno persino data: l’ha detto anche Greta Thumberg, dobbiamo cambiare stile di vita, abitudini alimentari, rinunciare a qualcosa, ridimensionare il profitto per evitare ulteriore inquinamento. Il punto è che nessuno li ascolta.