Che fine ha fatto la crisi climatica? Ogni giorno, siamo presi dalle piccole e grandi difficoltà dell’emergenza pandemica globale e l’attenzione dei media e dei cittadini è focalizzata soprattutto sulle informazioni intorno alla nuova ondata della COVID-19. Non va dimenticato, invece, che i due fenomeni si sovrappongono e sono espressione della più ampia crisi ecologica che sta mettendo in pericolo, da tempo, la vita sull’intero pianeta Terra.
Una risposta importante alla domanda iniziale l’ha data, nei primi giorni di settembre, il Rapporto su cibo e clima, pubblicato dall’organizzazione ambientalista non governativa WWF (World Wildlife Fund) insieme all’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), organizzazione internazionale che si occupa dei cambiamenti climatici per la tutela dell’ambiente e in favore dell’uso sostenibile delle risorse naturali. Alla redazione del documento hanno collaborato la EAT, una piattaforma scientifica che si dedica alla trasformazione del sistema alimentare globale, e la Climate Focus, una società di consulenza che si occupa di politiche climatiche nazionali e internazionali, a supporto delle attività di governi, ONG e aziende.
Il titolo del report è Enchanging Nationally Determined Contributions (NDCs) for Food Systems e l’essenza del suo contributo conoscitivo e informativo è che per salvare il clima è necessario agire anche su produzione e consumo di cibo. Il messaggio rimanda almeno a due dei problemi più importanti a cui le governance degli Stati e degli organismi internazionali finora non hanno risposto in maniera adeguata al fine di frenare gli effetti drammatici del global warming, il surriscaldamento del pianeta.
In primo luogo, le attività di produzione, distribuzione, preparazione e consumo del cibo negli attuali sistemi alimentari provocano almeno il 37% di tutte le emissioni di gas serra nell’atmosfera. La seconda riflessione riguarda il fatto che non soltanto la produzione agricola e gli allevamenti intensivi sono responsabili dell’inquinamento, ma anche le poco considerate ma pessime pratiche quotidiane che portano alle perdite e allo spreco di cibo. E, ancora, lo stile di vita consumistico, caratterizzato da diete poco sostenibili che incidono in misura non indifferente sulla difficoltà di ridurre le emissioni di CO2, per salvaguardare la biodiversità e, al tempo stesso, la salute pubblica.
Il report di WWF e UNEP individua 16 modi in cui i responsabili politici possono agire “dal campo alla tavola” per cercare di contenere l’aumento del riscaldamento globale entro il riferimento di 1.5° C, con la trasformazione dei sistemi alimentari nazionali e globali. In effetti, nei loro piani nazionali programmati sull’Accordo di Parigi del 2015, i Paesi aderenti sono tenuti ad aggiornare i propri NDC (Nationally Determined Contributions), vale a dire i contributi determinanti a livello nazionale, ogni cinque anni. Tuttavia, fino a oggi le informazioni sulle perdite e gli sprechi del cibo e le diete non sostenibili non hanno trovato lo spazio adeguato nella pianificazione, mentre gli scienziati hanno calcolato che la trasformazione dei sistemi alimentari possa ridurre fino a oltre il 20% delle emissioni globali.
Queste considerazioni rappresentano le ragioni fondamentali per le quali Marco Lambertini, Direttore Generale del WWF-International, esorta le governance del mondo a una strategia per avere sistemi alimentari rispettosi e positivi per il clima e per la natura nei nuovi e più ambiziosi NDC, e di rinforzo Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP, ha affermato che la pandemia ha messo a nudo la fragilità dei nostri sistemi alimentari. La crisi socio-sanitaria, quindi, ci offre la possibilità di ripensare radicalmente il modo in cui produciamo e consumiamo cibo, modificando i consumi, contrastando gli sprechi alimentari e adottando diete alimentari ricche di vegetali. Tutte quelle pratiche positive dei sistemi alimentari, insomma, che riducono le conseguenze negative sul clima, all’insegna di un’economia ecosostenibile.
Che cosa fanno, intanto, i Paesi del mondo? Il Green Deal voluto da Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, e quindi la legge sul clima adottata dall’Unione Europea, per esempio, dovrebbe risultare giuridicamente vincolante, e in teoria lo è per i Paesi membri, allo scopo di giungere al traguardo delle zero emissioni di gas climalteranti e alla neutralità climatica entro il 2050. Non sarà facile, comunque, superare le opposizioni rappresentate dai “requisiti nazionali” e dagli ostacoli che le politiche economiche statuali opporranno, di fatto, agli obiettivi comuni per la decarbonizzazione del continente europeo.
A livello globale, ricordiamo gli appuntamenti determinanti che si terranno nel 2021. La Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica (COP 15), intanto, dove si spera di arrivare a un accordo tra i Paesi del sistema-mondo per un New Deal for Nature and People capace di invertire la rotta della perdita di biodiversità sul pianeta Terra. Il Segretario Generale dell’ONU António Guterres, inoltre, ha affermato la necessità della trasformazione dei sistemi alimentari, all’annuncio del primo Vertice dei sistemi alimentari dell’ONU del prossimo anno, come svolta cruciale per il raggiungimento di tutti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
A ricordare alle governance mondiali di mantenere gli impegni presi nelle sedi istituzionali nazionali e sovranazionali, comunque, ci saranno gli scienziati – impegnati sui diversi fronti delle emergenze climatiche e socio-sanitarie in atto – e le organizzazioni non governative ambientaliste. I ragazzi dei FFF (Fridays For Future), il movimento globale per la giustizia climatica e ambientale nato e organizzatosi sull’esempio della giovane attivista Greta Thunberg, nel frattempo, sono tornati nelle piazze a manifestare contro l’assurda tesi e le pratiche dello sviluppo infinito su di un pianeta finito, portate avanti fino a oggi dai grandi della Terra, a beneficio degli interessi dei gruppi di potere economico-finanziario e a danno delle comunità degli esseri umani e della vita sul pianeta A.