L’incontro online svoltosi lo scorso 3 novembre a cura del Laboratorio Re-insurrezione (di cui fanno parte l’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, Donne per la Chiesa, e l’agenzia Adista) ha affrontato il dramma delle religiose della Comunità Loyola vittime del sacerdote Marko Rupnik. L’obiettivo è stato quello di rompere il muro di silenzio sugli abusi.
Clelia degli Esposti, coordinatrice del Laboratorio Re-insurrezione, ha sottolineato lo sconforto e l’indignazione delle donne abusate nonché la loro richiesta di giustizia e di veder fatta verità su questa storia. Le relatrici hanno registrato un silenzio da parte delle istituzioni, un silenzio che sconcerta, un silenzio che apre al ricatto, forma ulteriore di violenza delle autorità che cercano di non fare luce sul problema.
Gli abusi del predatore Rupnik e le coperture da parte della gerarchia ecclesiastica sono stati ampiamente raccontati dalla stampa. Ma che ne è delle vittime? Che ne è della comunità delle religiose? Che ne è di queste vite spezzate e del loro futuro? Bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti della tragedia. Bisogna dare parola al grido afono contro gli abusi del sacerdote. Le religiose molestate hanno subito un’offesa inguaribile. Rupnik, prima espulso dall’ordine dei Gesuiti, è stato poi accolto dal vescovo di Capodistria: la scomunica, infatti, è stata revocata e può di nuovo amministrare i sacramenti e continuare ogni esercizio. Un’operazione di protezione ingiustificabile. Ma il 27 ottobre il Pontefice ha tolto la prescrizione, restituendo la speranza del processo.
La complessità dell’abuso colpisce drammaticamente varie dimensioni: sociale, psicologica, giuridica, culturale e antropologica. Complessità che va focalizzata per capire il problema. Ludovica Eugenio, direttora di Adista, ha spiegato alcune coordinate che si ripetono: la presenza di una figura carismatica, la dinamica di mistificazione del discorso teologico e della spiritualità per giustificare una prassi abusiva su persone adulte all’interno di un’istituzione ecclesiale, il silenzio delle vittime, stigmatizzate e abbandonate anche economicamente, la protezione degli abusanti da parte della gerarchia.
Per le donne abusate è difficile farsi ascoltare ed essere credute. Eppure la violazione radicale dell’intimità è un abuso di potere. Il forte incantamento spirituale verso la guida religiosa, la figura del predatore e il contesto particolare inducono alla fragilità psicologica della preda. La forzatura dell’autorità ecclesiastica spinge verso l’assoggettamento della persona. Il contesto è importante perché giustifica e condiziona la vittima fino al controllo comportamentale e psicologico. La rete di protezione strutturale sistemica di cui gode il predatore, il luogo silenzioso e inaccessibile che non fa emergere e non nomina la violenza favoriscono il silenzio e la condizione depressiva di coloro che subiscono, che si sentono sole, abbandonate e piene di vergogna. Leggere la struttura sistemica delle relazioni interdipendenti è necessario per capire l’abuso, che è innanzitutto spirituale, una manipolazione fatta in nome di Dio.
Le cause archetipiche da cui origina sono legate alla teologia patriarcale. Il prete esercita il suo potere come servizio religioso, dentro un preciso copione maschilista. L’abuso in un certo senso è una specificità cattolica, esito illecito di una relazione asimmetrica, sbilanciata e contraria alla dignità della persona. Il consenso diventa conseguenza di questa relazione di potere.
Il punto nodale dell’ambiguità dell’abuso sessuale è coerente con questa asimmetria del rapporto personale tra il sacerdote e la suora, un legame già potenzialmente squilibrato. L’uomo, che ha rinunciato a tutto per essere prete, si colloca al di sopra degli uomini e delle donne. La vulnerabilità è il concetto basilare per capire la posizione delle vittime. Essa in sé non ha un significato negativo: può essere fragilità esistenziale in una fase della vita, porosità ontologica, permeabilità alla relazione, una condizione dell’essere umano che rende inermi. Il concetto di vulnerabilità va applicato non a uno status, ma a un contesto che rende fragili: si parla pertanto di vulneranza, cioè la capacità di rendere fragili di un contesto “malato” che può predisporre all’abuso. Ogni dibattito avvenuto finora non ha avuto risposte adeguate, anzi il problema è stato più volte oscurato. Si perpetua l’impunità, per la paura dello scandalo e per difendere l’immagine istituzionale.
Fabrizia Raguso, psicologa, terapeuta familiare, ex religiosa della Comunità Loyola, professore associato alla università Cattolica Portoghese, ha voluto dar voce al silenzio afono della comunità. Spesso l’abuso ha radici antiche che rende i soggetti predisposti a essere abusanti e abusati. Le donne religiose dovrebbero imparare a capire la loro ferita esistenziale, per potersi difendere dalla dipendenza verso figure autoritarie. Prevenzione vuol dire investire nell’educare al rispetto di se stessi e degli altri.
Cecilia Sgaravatto, ricercatrice indipendente dell’equipe del progetto Prometeo, ha spiegato i dati raccolti dalle vittime fuoriuscite dagli ordini religiosi e dai contesti abusanti, provenienti da tutti i continenti. Necessario un approccio giuridico, sociologico e psicologico per affrontare queste criticità. Per tutelare i diritti umani dei soggetti coinvolti, l’analisi multidimensionale del problema va affrontata con coraggio. Le vittime raccontano che il numero degli abusi è molto superiore a quello denunciato.
L’amore oblativo impedisce il diritto all’autodeterminazione. Non c’è la coscienza sociale e individuale del danno psicologico, sessuale ed esistenziale. Non avere il diritto di autodeterminarsi crea una sostanziale difficoltà a potersi difendere da ogni offesa. Bisogna creare le condizioni sociali e organizzative per prevenire l’abuso in una logica precauzionale e di giustizia successiva. Gli illeciti, ogni abuso sessuale, patrimoniale e psicologico, sono penalizzati dalla legge, ma non basta. È necessario che le vittime si organizzino in associazioni per condividere le esperienze e denunciare, contro ogni isolamento che avvilisce e deprime. Importante il monitoraggio costante e la creazione di strutture per la loro cura e il sostegno economico e psicologico.
Paola Cavallari, scrittrice femminista, ispiratrice dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, scardina alla radice la cultura del silenzio. Bisogna riflettere sul simbolico inerente agli abusi di potere, di coscienza e sessuali, guardato da una prospettiva femminista. La pratica femminista incentrata sul “partire da sé”, su esperienze vissute, vuole attraversare tutta la sofferenza provata. Afferma Cavallari che rompere il muro di silenzio sugli abusi all’interno dell’universo ecclesiastico cattolico vuol dire spezzare la cultura del segreto.
Il trauma dell’abuso provoca una vita devastata, fino al suicidio. Per rendere verità e giustizia, bisogna perseguire la via del ristabilimento dei torti e delle offese. Bisogna perseguire gli abusatori e gli operatori di insabbiamenti e coperture. È necessario risvegliare la consapevolezza, la responsabilità, l’interesse su questa drammatica questione. Il sistema di potere è ecclesiale e sessista, perché clericalismo e sessismo non sono scissi. Per fare la verità, è necessario decostruire il sistema di potere monocratico ecclesiale di uomini celibi che da secoli si auto-comprendono sacramentalmente separati (ovvero verticalmente al di sopra), non solo ordinati ma sovraordinati, spiriti eletti, dotati di una differenza ontologica conferita – secondo loro – dal disegno divino.
L’inferiorizzazione dell’altro (il non eletto) è perciò la conseguenza. Il sistema clericale/gerarchico/kyriarcale e il sistema sessista governano la chiesa cattolica. Vigono pertanto il principio del potere assoluto, la logica della brama di prestigio, onori e beni, vige la logica della sacramentalizzazione del capo, porta d’ingresso all’idolatria. Vige un esercizio del potere verticalmente inteso. Lo stile perversamente seduttivo e prevaricatore di alcuni suoi rappresentanti, stile che si ammanta dell’aura del sacro, usa il principio dell’obbedienza o della purezza del cuore, o la logica dell’amore per addomesticare e plagiare.
Il sistema kyriarcale si è stabilizzato nei secoli, in una progressiva opera di esclusione/colonizzazione delle donne, che si avvaleva del paradigma “o santa o puttana”. In Italia si parla di questi argomenti ancora troppo poco. Anche i media indietreggiano. Non si vuol sapere e vedere, non si vuole essere sconvolti nei propri convincimenti. Veronique Margron parla di un sistema di omertà. Si tende poi a psicologizzare, ma il male è sistemico, non episodico né emergenziale.
Il controllo, aperto o dissimulato, i preti lo hanno esercitato per secoli sui corpi e sulle anime femminili. Palese il loro disinteresse cinico nei confronti delle vittime. I confessori “colpevoli” possono ancora contare sull’appoggio di potentissimi ordini religiosi. Nell’universo ecclesiastico, l’ingiunzione e la persuasione a tacere rinforzano la cultura del segreto dottrinalmente e teologicamente giustificata.