Chi parla poco ha gli occhi che fanno rumore è il secondo libro di Silvia Brindisi, romana, scrittrice ed educatrice di comunità, che, dopo Amicizie magiche (2015), è tornata con questo nuovo lavoro pubblicato il 15 settembre 2016 dalla casa editrice LFA Publisher di Napoli.
Gli occhi, come è solito dire, sono lo specchio dell’anima, nonché lo strumento principale di cui disponiamo per manifestare, senza poter mentire o tentare di alterare, le nostre emozioni e i nostri stati d’animo. Ci si chiede, dunque, quelli che fanno rumore di cui parla l’autrice a chi possano riferirsi. Forse, ad animi turbati, a persone che vivono situazioni di disagio o malcontento e che sperano in un aiuto.
Non a caso, uno dei protagonisti del libro è Antonio, un senzatetto romano, disoccupato e divorziato, che si ritrova lontano da suo figlio e dalla propria dimora, costretto ad affrontare e a combattere la povertà dormendo sui cartoni per strada, tra la folla distratta che lo affianca incurante e con disprezzo. Nessuno rivolge la parola a un misero barbone e nessuno si preoccupa di mostrarsi disponibile o solidale. Sono, quindi, i suoi occhi che fanno rumore, che straziati cercano di incrociare qualche volto amico, che aspettano di ricevere affetto e solidarietà.
Intanto, tutti continuano le loro corse affannate, le loro giornate tra svaghi e lavoro, tranne Mara, un’educatrice part-time che passandogli di fianco decide di fermarsi per fare due chiacchiere. Da questo momento, nascerà un’amicizia molto forte tra la ragazza e l’incredulo senzatetto che, da anni, non riceveva premurose attenzioni né gesti altruisti da sconosciuti.
Il loro legame è istantaneo. L’autrice, volontariamente, descrive in poche pagine il punto di inizio che darà il via all’intero racconto, come a voler dimostrare che la chiave della vicenda non sia tanto l’incontro quanto l’evoluzione del rapporto tra i due personaggi.
Mara e Antonio decidono persino di andare a vivere insieme, imparano a donarsi affetto reciproco. La ragazza, orfana di padre, inizia a intravedere la figura paterna, ormai perduta, in quell’ex barbone, collaborazione e sostegno vicendevole non mancano mai. La trama, semplice e stringata, tende a svilupparsi maggiormente quando, sotto sollecitazione di Mara, Antonio si convince a recuperare il rapporto con suo figlio, Matteo, che non vede da anni. Il presente delle due famiglie comincia a intrecciarsi e la vita riparte ricca di novità per ognuno dei personaggi, è il destino che stravolge, ribalta e riorganizza le esistenze dei protagonisti.
La scrittura, piuttosto scorrevole e prevalentemente paratattica, predilige un lessico semplice e ripetitivo, probabilmente per avvicinare l’opera a un pubblico piuttosto giovane. Il ritmo è inizialmente lento per poi accelerarsi man mano che la storia prende il largo. Un racconto che ha tutte le note dei primi esordi, una potenzialità ancora da sviluppare, ma ancorata a idee e tematiche sociali che potrebbero, con qualche accorgimento, travolgere il lettore e far riflettere.
I luoghi citati rendono l’idea di un’ambientazione tipicamente romana, seppur descritta in modo essenziale. Si percepisce, tra le pagine, il legame dell’autrice con la sua città, che la emoziona e inspira la vicenda.
La visione e l’interpretazione del rapporto creatosi per caso, in una strada come tante, tra un senzatetto e una giovane qualsiasi è decisamente ottimista. Viviamo in un’epoca in cui il razzismo, le discriminazioni e le ostilità nei confronti delle classi disagiate prevalgono. Siamo quotidianamente a contatto con una società che, volontariamente, si rende cieca e sorda alle visibili problematiche e alla percepibile povertà che ci circonda ed è, quindi, utile riuscire a evadere con storie, seppur utopiche, in cui è possibile raggiungere e idealizzare un cambiamento concreto. Il messaggio principale che si deve far proprio, quindi, è un invito alla speranza, un’esortazione a vivere aspettandosi, anche dagli eventi più improbabili e inusuali, novità che, senza preavviso, possono stravolgere completamente l’esistenza fino ad arrivare al raggiungimento dell’equilibrio perfetto.