Il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza è senza dubbio il nucleo centrale dell’intero dibattito politico degli ultimi tempi. In questi giorni, ad acuire la questione, sono arrivati i sospetti avanzati dal Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, su delle presunte collusioni di alcune ONG attive nel Mediterraneo con i trafficanti di uomini. Queste accuse, come è noto, sono state riprese dal Vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, aspramente contestato, in una battaglia social, da Roberto Saviano, ma anche, tra gli altri, da Erri De Luca e dalla Sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini. Il punto è che le esternazioni del procuratore, allo stato attuale, non risultano essere fondate su fatti, atti e prove certe e, dunque, soprattutto se riprese dalla politica, rischiano di gettare fango, in maniera irresponsabile, sull’operato di tutte le organizzazioni umanitarie, anche di quelle che, da anni e con impegno, si occupano di salvare migliaia di vite umane.
Al di là del merito della questione, però, ciò che più dispiace è che anche queste polemiche stiano prestando il fianco a quanti non aspettano altro che sputare odio e cavalcare l’ondata di sdegno. Ormai si è oltremodo esasperati da questo clima di generale imbarbarimento, con picchi preoccupanti di razzismo e xenofobia. Sarebbe auspicabile, quindi, un maggiore richiamo alla ragionevolezza e una maggiore cautela.
Tuttavia, pur nell’odioso chiacchiericcio sui social e nei talk show, in Parlamento si è registrato un piccolo primo passo a favore delle politiche di integrazione. Parliamo dell’approvazione definitiva alla Camera, lo scorso 29 marzo, del ddl in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati. Il provvedimento, a prima firma della deputata Pd Sandra Zampa, è stato approvato grazie ai voti favorevoli del Partito Democratico, di Sinistra Italiana e anche del Movimento 5 stelle. Si sono invece astenuti Fratelli D’Italia e Forza Italia, mentre – e c’era da aspettarselo – la Lega Nord ha espresso voto contrario. Il testo di legge disciplina gli aspetti fondamentali della vita dei fanciulli che arrivano in Italia senza genitori, dalle procedure per l’identificazione e l’accertamento dell’età agli standard dell’accoglienza. Si pone attenzione, poi, sulla promozione dell’affido familiare alla figura del tutore volontario, alle cure sanitarie e all’accesso all’istruzione. Ma l’aspetto principale da segnalare è che, grazie alla nuova norma, i giovani non ancora maggiorenni che arrivano senza famiglia non potranno essere respinti, ma avranno gli stessi diritti dei loro coetanei dell’Unione Europea.
Come sostenuto da Save the Children e dall’Ordine degli assistenti sociali, se consideriamo che secondo il Ministero dell’Interno i minori non accompagnati arrivati solo nel 2016 sono oltre venticinquemila, si tratta sicuramente di una norma di buon senso e da premiare.
Ciononostante, questa legge rappresenta ancora un inizio rispetto alla sfida più importante alla quale, sul tema dell’integrazione, i nostri legislatori sono chiamati a rispondere, e che tarda ad arrivare proprio per il clima di astio di cui sopra: lo Ius soli.
L’approvazione della legge sullo Ius soli – quanto mai necessaria – rappresenterebbe, infatti, una svolta epocale per il nostro sistema. Attualmente, in Italia – secondo la legge sulla cittadinanza del 1992 – vige lo Ius sanguinis, in base al quale la cittadinanza di un bambino si determina sulla nazionalità dei suoi genitori (un bambino nato da genitori italiani è italiano, indipendentemente dallo Stato di nascita). Con lo Ius soli, invece, lo status di cittadino andrebbe a determinarsi sulla considerazione della nascita all’interno dei confini nazionali. In realtà, dopo la prima approvazione alla Camera alla fine del 2015, il disegno di legge è fermo al Senato, in Commissione Affari Costituzionali, subissato dagli oltre ottomila emendamenti presentati, tanto per cambiare, dalla Lega.
In aggiunta, se approvata, la nuova legge sulla cittadinanza sarebbe comunque lacunosa e non pienamente esaustiva. Del resto siamo abituati, nel nostro Paese, ai soliti giochi al ribasso e di mediazione sul tema dei diritti civili. Il ddl parla, infatti, di Ius soli temperato e di una nuova tipologia chiamata Ius culturae.
In base a tale previsione, il diritto di cittadinanza andrebbe a chi è nato nel territorio italiano da genitori stranieri, ma a patto che almeno uno di loro sia in possesso del diritto di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno di lungo periodo. Sarebbe cittadino, poi, il minore straniero che abbia fatto ingresso in Italia entro i dodici anni, ma solo dopo aver frequentato regolarmente la scuola per almeno cinque anni nel territorio nazionale. E, infine, la cittadinanza andrebbe anche allo straniero che sia arrivato sulla Penisola prima dei diciotto anni e vi risieda legalmente da almeno sei, a condizione, però, che abbia frequentato regolarmente in Italia un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, oppure un percorso di istruzione e formazione professionale. Questo è dunque l’impianto della legge che, sebbene minoritaria, rappresenterebbe comunque un segnale.
Come accennato, però, il percorso legislativo è complicato e tortuoso per colpa dei toni aspri, e per certi versi allucinanti, che stanno accompagnando, pure in questi giorni, il dibattito anche fuori dal Parlamento. Sicuramente, in tale scenario generale, il passo compiuto sull’equiparazione dei bambini migranti non accompagnati a quelli comunitari è una bella notizia della quale bisogna essere felici. Chiaramente, la tutela di un fanciullo non può essere calcolata sulla base del sangue o della pelle ma – se è vero che siamo ancora umani – va concessa a priori. Ogni bambino è un nostro bambino, ed è scandaloso che la Lega Nord si sia opposta anche a questa misura. Analogamente, la cittadinanza non dovrebbe avere nulla a che vedere con il sangue. È del tutto evidente – anche con capacità cognitive medie o basse – che ciò che fa di una persona un italiano non è una questione, per così dire, biologica e a trasmissione ereditaria dai genitori. È italiano chi nasce nel nostro territorio e cresce a contatto con la nostra cultura e con tutto il nostro patrimonio. Bisogna allora uscire dalla logica di voler rinchiudere la nostra identità in una trincea per usarla come un discrimine. Se riteniamo che essa sia forte e vogliamo tutelarla, dobbiamo saperla trasmettere e condividere con tutti coloro i quali nascono qui da noi e arrivano nelle nostre città. Fare diversamente ha come unica conseguenza quella di creare dei ghetti e delle marginalità, dove ben si annidano rabbia, odio e illegalità. Ebbene, lo Ius soli significherebbe riconoscere una dignità a migliaia di persone senza diritti e che quindi, in queste condizioni, si prestano a essere oggetto di sfruttamento. Per inciso, infatti, non sono gli stranieri a rubarci il lavoro ma sono gli spregiudicati capitalisti che li preferiscono per sfruttare la loro mancanza di tutele, contribuendo, peraltro, a minare quello che è l’impianto dei diritti sul lavoro di tutti. Allora, piuttosto che fare una guerra tra fratelli, tra ultimi e penultimi, dovremmo coalizzarci in maniera solidale contro gli sfruttatori e gli oppressori. Difatti – contrariamente a quelli che ultimamente stanno sparando a zero sulle ONG – la solidarietà non può essere criminalizzata, perché, a ben guardare, essa è l’unica salvezza, per tutti.
In conclusione, sarebbe utile ricordare ai signori appassionati dei muri e del filo spinato che nella Costituzione, espressione massima del nostro vivere in comunità, sono sanciti valori quali l’uguaglianza, l’antirazzismo e l’antifascismo. Dunque, chi è veramente degno di essere definito italiano?