Chi è mia madre? Sono in tanti a porsi questa domanda, molti di più di quanti si possa immaginare, a volte silenziosamente, in un dialogo interiore che si ripresenta nei momenti più impensati, quasi a tradimento, a ricordare che si è privi di una conoscenza fondamentale per la propria esistenza. Altre volte, invece, a piena voce, per rivendicare un diritto personale irrinunciabile. Sempre più spesso per iscritto, tramite un’istanza che, oggi, è possibile presentare al Tribunale per i Minorenni di competenza.
Ma per quanti tale istanza l’hanno prodotta al TdM di Napoli la risposta, da due anni, è solo il silenzio. Un silenzio opprimente per chi vede inascoltata una richiesta che ha il valore di una vita finalmente compiuta, di un cerchio chiuso e della verità. Una verità scritta sui documenti conservati in archivio ai quali possono accedere i carabinieri incaricati dallo stesso Tribunale.
Dopo aver rubricato la pratica, il giudice fa richiesta all’Anagrafe del Comune di un certificato che ritiene indispensabile: l’Atto integrale di nascita. Senza di esso la ricerca documentale non può andare avanti. Ma, come ci è stato riferito, pare che il Comune non invii tali certificati da ben due anni. E così il giudice rimane in attesa. Intanto il tempo passa e, al legittimo desiderio di chi fu figlio non riconosciuto, si aggiungono la rabbia, la delusione e l’incredulità.
Il cittadino si chiede come possa essersi creata una simile situazione e dove siano da ricercare le responsabilità. Infatti, non è più discutibile che a seguito della sentenza costituzionale 278/2013 sia stata positivamente riconosciuta l’esistenza nel nostro ordinamento del diritto del figlio a conoscere le proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale, diritto che costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona.
Indicando, come fa nella sentenza, i principi costituzionali cui la soluzione normativa prescelta dovrà ispirarsi, la Corte traccia i confini del futuro intervento normativo che, seppur libero nella scelta delle concrete modalità di attuazione, deve comunque avvenire uniformemente ai principi indicati e offre un orientamento interpretativo ai giudici comuni, chiamati a reperire nell’ordinamento la regola del caso concreto, in attesa di un intervento legislativo puntuale che tarda ormai da almeno dieci anni, cioè dalla suddetta sentenza.
Le modalità di esercizio di tale diritto richiedono, perciò, un’urgente disposizione, stabilita dalla legge, che assicuri l’omogeneità procedurale nei ventinove tribunali italiani che dovranno attivarsi, in seguito alla richiesta dell’interessato, per reperire la sua documentazione e fornire i dati anagrafici della madre, dopo che ella sia stata interpellata, con la massima riservatezza ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.
È necessario, dunque, che la materia venga regolata in modo dettagliato con legge ordinaria e sono ormai quattordici anni che il Comitato per il diritto alle origini biologiche, fondato a Napoli nel 2009, chiede al legislatore una modifica all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di accesso dell’adottato alle informazioni sulla propria origine e sull’identità dei genitori biologici sollecitando deputati e senatori a presentare, a oggi, ben nove disegni di legge, che non sono riusciti a concludere l’iter parlamentare.
A questo ritardo della politica, si aggiungono, nel microcosmo napoletano, il blocco dei giudici che, come si è detto, hanno già le risorse per l’applicazione del dettato delle Corti per dare corpo a una ricerca rispettosa di tutte le posizioni coinvolte (madre di nascita, famiglia adottiva e figlio adottato), e la colpevole inoperosità di una burocrazia inefficiente: gli atti integrali, con le moderne procedure di informatizzazione, richiedono, di fatto, pochi minuti per essere acquisiti.
Per di più, sono molti anni ormai che le vecchie istanze sono state rigettate in quanto la documentazione ospedaliera che, per legge, deve essere conservata in appositi archivi, non viene esibita ai carabinieri a questo preposti dagli enti responsabili e dunque risulta irreperibile. Soltanto l’archivio dell’Annunziata è perfettamente tenuto secondo i migliori criteri archivistici, ma i documenti, ahimè, non gli vengono nemmeno richiesti per l’assenza dell’atto integrale. Un cane che si morde la coda, lasciando tanti uomini e donne a mordersi le mani, di fronte all’ignavia delle istituzioni.
A oggi, una richiesta di udienza con il Presidente da parte del Comitato per il diritto alle origini biologiche non è stata accolta.
Contributo a cura di Emilia Rosati