C’erano una volta le fate. Nascoste tra le fitte foreste della Germania, i fiordi scandinavi e le scogliere a picco sul mare d’Irlanda, questi spiriti dispettosi e ingannevoli hanno popolato le menti degli uomini per secoli. Crudeli e potenti, le fate erano le protagoniste della mitologia celtica e del folklore del Nord. Si raccontava in particolare una favola antica, comune a tutti: quella dei changeling, i bambini scambiati. Nel mezzo della notte, fate e spiritelli strappavano i neonati dalle loro culle, sostituendoli con creature della loro stirpe. I bambini mortali erano più sani e belli, mentre i loro erano deformi, sinistri e gracili. Il giorno dopo, i genitori si ritrovavano in braccio creature strane e malaticce, senza riuscire a capire cosa fosse successo ai loro figli.
In alcune storie, si diceva che le fate fossero in grado di far sembrare il changeling identico al bimbo mortale rapito. Spesso, i changeling morivano ancora in fasce ma, se questo non accadeva, la differenza tra i due bambini iniziava a mostrarsi. Arrivati ai tre anni, le creature cominciavano a cambiare. Sentivano il richiamo del mondo fatato, si distaccavano dalla realtà, smettevano di parlare o di interagire con chiunque. Rifiutavano i gesti d’affetto, e i genitori sentivano di averli persi. È proprio questo aspetto ad aver fatto suonare un campanello nel cervello della dottoressa Julie Leask del National Centre for Immunisation Research and Surveillance of Vaccine Preventable Diseases di Sydney. La dottoressa un giorno sentì dire da una madre, durante un programma ministeriale sull’autismo, che era come se la bambina che aveva messo al mondo le fosse stata rubata.
Assieme ai suoi colleghi, ha esaminato fiabe inglesi, tedesche e scandinave. I risultati della scoperta, pubblicati nella rivista medica Archives of Disease in Childhood, suggeriscono che l’autismo esiste da molto prima di quel che pensiamo. La descrizione dei changeling è molto simile a quella dei bambini autistici, che mostrano i primi segni proprio intorno ai tre anni. I bimbi scambiati vengono descritti come apatici, impenetrabili ai gesti d’affetto, non esprimono le proprie emozioni, urlano o addirittura non parlano. Una delle storie che spesso viene citata è quella di un gentiluomo rispettabile il quale decise di prendere in sposa una fata. Questa cominciò presto a mettere in imbarazzo il marito in pubblico. Parlava quando non era interpellata o in momenti inopportuni, ignorava completamente chi le rivolgeva la parola, non riusciva a comprendere i rituali della società civile. A un funerale, cominciò a ridere in maniera incontrollabile. Presto, il marito si stancò di lei e la lasciò tornare al suo regno. Questi comportamenti associati al popolo fatato sono tipici dello spettro autistico, in particolare dell’Asperger.
Anche in Egitto si credeva che i djinn fossero alla ricerca di bimbi da rapire e la stessa tradizione è stata ritrovata nella teologia cristiana. Inizialmente, le fate erano ritenute angeli caduti cacciati dall’Eden, alla ricerca di sangue umano per garantirsi un posto in Paradiso. Poi, fu Lutero a riprendere questo mito, ritenendo che Satana fosse responsabile dei bambini scambiati. I changeling non erano altro che figli del demonio, senz’anima, pezzi di carne vuoti dentro. In tutte queste tradizioni, c’è un aspetto comune: la predilezione per i bimbi maschi. Le mamme, infatti, spesso vestivano i propri bambini “da femmina”: gonne, pizzi, merletti e fiocchi rosa. Speravano così di salvarli dalle grinfie di queste creature. L’autismo è più facilmente diagnosticabile nei maschi, dato che le femmine hanno sintomi meno evidenti e sono più in grado di fare masking, cioè di fingere di essere neuro-tipiche mimando i comportamenti altrui. Possono passare anni e anni prima che una donna riesca a ottenere una diagnosi ancora oggi, figuriamoci nel passato.
Il mito, però, non si limita solo all’autismo. I changeling sono spesso descritti come strani o deformi, il che significa che qualsiasi condizione genetica, anomalia cromosomica, malattia infantile o handicap potrebbe essere stata spiegata da questo mito. Credere ai bambini scambiati era una sorta di “via di fuga” per spiegare una situazione senza alcuna soluzione. E deumanizzare questi bambini era in un certo modo conveniente. In tutte le fiabe c’è un punto in comune: il fatto che i changeling piangessero costantemente e che mangiassero in maniera smodata. Nel passato, il mantenimento di una famiglia dipendeva dalla capacità di ciascun membro di essere autosufficiente. La voracità del changeling indica il fatto che, nel loro subconscio, i genitori vedessero nei figli delle sanguisughe, dei pesi che non avrebbero mai potuto produrre sostentamento e avrebbero messo in pericolo la sopravvivenza di tutta la famiglia.
In alcune storie, i bambini non erano neanche bambini, ma pezzi di legno di quercia anneriti, incantati per somigliare agli umani. In seguito all’incantesimo, questo tipo di changeling si ammalava dopo poche ore e moriva durante la notte. L’unica consolazione per i genitori era sperare che il loro vero bambino fosse tra le braccia delle fate. Il dolore di una mortalità infantile elevatissima veniva così esorcizzato, sperando che no, quello non era il mio vero bambino. Alcune volte i genitori portavano il cadavere del changeling morto nei pressi degli alberi sacri alle fate, sperando di riavere indietro il proprio figlio.
Se il changeling sopravviveva, era tutt’altro paio di maniche. Il primo tentativo per capire se si avesse a che fare con un bambino scambiato era preparare della camomilla e versarla in un guscio d’uovo. A quel punto, il changeling avrebbe detto: «In tanti anni della mia esistenza ne ho viste di cose, ma mai versare della camomilla in un guscio d’uovo» e sarebbe sparito. Nella culla, sarebbe tornato il vero bimbo. Purtroppo, le prove non finivano qui. Se il bambino scambiato non rispondeva, il secondo tentativo era quello di gettarlo nel fuoco. La speranza era che, dalla cima del camino, sbucasse il bimbo vero. Una lunghissima serie di abusi è stata giustificata da questa leggenda. Giornali e fascicoli giudiziari raccontano tristi storie.
Nel 1843, il West Brighton riportò il caso di J. Trevelyan di Penzance, accusato di aver maltrattato suo figlio. Il piccolo raccontò di essere stato regolarmente frustato dai genitori e di essere stato lasciato fuori casa da quando aveva quindici mesi. Il caso venne archiviato, dopo che i genitori si difesero sostenendo che quello fosse un changeling. Nel 1690, a Gotland, in Svezia, un uomo e una donna furono processati per aver lasciato il figlio su un mucchio di letame durante tutta la notte della vigilia di Natale. Il bimbo morì per il freddo invernale. I genitori, notando che il piccolo era cresciuto “non nella norma”, speravano che in quella notte sacra le fate fossero tornate col loro vero figlio. Tra il 1850 e il 1900 in Germania, Scandinavia, Gran Bretagna e Irlanda ci sono evidenze di moltissimi processi a genitori rei di aver torturato e ucciso “sospetti” changeling.
Oggi, per fortuna il mondo è cambiato. La scienza ha rivoluzionato il nostro universo, portando la luce sulla vera natura di handicap e neuro-divergenze. Eppure. Sempre più comune è la teoria (ampiamente smentita) che ci sia un legame tra vaccini e autismo. Una ricerca spasmodica di una spiegazione che allontani la responsabilità dai genitori, un elemento esterno crudele e malvagio che sta rovinando i nostri bambini. Uno spettro che strappa i piccoli dalla normalità. E la sottile, nascosta implicazione che valutando il rischio di avere un figlio vaccinato e autistico e uno non-vaccinato morto, il secondo sia preferibile. Nel campo medico, spesso la ricerca della “normalità” è seguita ad ogni costo. Non si gettano più i bambini nel fuoco, ma sono ancora diffuse terapie curative controverse, come l’ABA. Questo metodo ha diviso fortemente la comunità scientifica, dato che utilizzava strumenti punitivi come l’elettroshock pur di abituare i bambini al pensiero neuro-tipico. Un discorso sull’opportunità e sul cambiamento dell’ABA oggi deve essere lasciato agli esperti. Ma il dato di fatto è che nel tempo, in campo medico o familiare, tanti sono stati gli abusi nascosti e occultati. O peggio, giustificati. Tutto pur di riavere il proprio bambino. Come se davvero fosse perso, come se fosse un altro, come se non fosse lì.