Le riflessioni del direttore Alessandro Campaiola sulla spaccatura del MoVimento 5 Stelle, resasi ancora più evidente all’indomani della rielezione del Capo dello Stato, inducono a un ulteriore approfondimento sullo stravolgimento del quadro politico e, in particolare, sulla frantumazione del centrodestra che già alla nascita del governo Draghi era stata ufficializzata con la partecipazione di Forza Italia e Lega e l’esclusione di Fratelli d’Italia collocatasi all’opposizione.
Dopo la palese ammissione del fallimento della coalizione da parte dei rispettivi leader, la parola d’ordine è stata rifondazione e, per quelle forze di ispirazione centrista, da più parti un richiamo, sempre presente nella storia di questo Paese, alla costruzione di un centro, un sogno mai spento da Mastella a Casini, da Renzi agli orfani di quella Margherita rimasta ormai con pochi petali assieme ai nostalgici della DC, il cui simbolo il furbo avellinese Gianfranco Rotondi ha custodito e fatto brillare a uso e consumo personale nelle opportune occasioni.
L’operazione grande centro potrebbe vedere la luce – almeno nominalmente – già in occasione della prossima competizione elettorale e rendere più complicata la rifondazione del centrodestra che ancora una volta vedrebbe la regia dell’ex Cavaliere anche dal San Raffaele, se necessario, come avvenuto in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica. Sarà Berlusconi a tenere le fila a meno che, da una parte l’imprevedibilità della Lega di Salvini e dall’altra la Giorgia nazionale forte dei sondaggi favorevoli, non modifichino radicalmente gli equilibri.
La Meloni ha più volte manifestato insofferenza all’interno della coalizione col crescere delle percentuali a suo favore e, ancor più, con la ferma collocazione all’opposizione contrariamente al suo ambiguo competitor leghista proiettato in più direzioni, ovviamente quelle con prospettive maggiormente favorevoli alla sua forza politica e le non trascurabili ambizioni personali. I tentativi continui di Matteo Salvini di mettere in ombra la leader di FdI con la strategia tutta goldoniana dell’Arlecchino servitore di due padroni, con un piede nel governo e uno all’opposizione, non servirà di certo a recuperare credibilità nel suo storico bacino elettorale dopo le candidature presidenziali buttate sul banco del peggiore massacro mai verificatosi in analoghe occasioni.
La draghizzazione di Salvini e quella del Ministro Giorgetti, infatti, potrebbero aprire nuovi e sorprendenti scenari anche in relazione al futuro dell’attuale Premier, che difficilmente intenderà scomparire dalla scena politica considerando, tra le altre cose, il suo ruolo determinante per la rielezione di Sergio Mattarella, e che potrebbe rappresentare il Jolly per nuove e sorprendenti alleanze tra forze che – come abbiamo avuto modo più volte di affermare –, svuotate ormai di contenuti ideologici, trovano coesione unicamente nell’affermazione di un potere fondato su logiche di interessi di parte, di gruppi e lobby che nulla hanno a che fare con quelle della crescita e dei bisogni del Paese reale.
Anche in una possibile ipotesi, in apparenza fantasiosa ma alquanto realistica, l’abilità del caimano non tarderebbe a rivelarsi scoprendo le carte a tempo debito, preparando il campo attraverso i suoi giornali fotocopia, i canali televisivi e il suo fidato Bruno Vespa al costo di una prefazione per l’ennesimo libro natalizio. Un’ipotesi che vedrebbe isolata la componente che fa capo alla Meloni – cui va riconosciuta una posizione certamente più coerente rispetto al Matteo filo-pentastellato e poi draghiano – la quale però potrebbe tramutarsi in una carta vincente per la coalizione in caso di una netta affermazione alle elezioni del prossimo anno.
Equilibri saltati che potrebbero ricomporsi per convenienza politica subendo anche una leadership che la Giorgia nazionale comprensibilmente pretenderebbe. Non la subirebbe, nei fatti, il sempreverde Silvio Berlusconi come non lo è stato con quella di Salvini piegatosi al gioco della finta candidatura dell’ex Cavaliere e al finale inglorioso con quella della Presidente del Senato platealmente bocciata dal San Raffaele, del qual gesto gli saremo sempre grati.
Lo scenario post-presidenziali, apparentemente senza particolari tensioni nel centrodestra, nasconde quella che poi è la vera ragione di uno scollamento tra le componenti, il procedere ciascuna per la sua strada, tessendo rapporti, ipotesi, con il variegato mondo di sigle e il nutrito gruppo misto per possibili intese anche in forza di una sensibile prossima riduzione della rappresentanza parlamentare che vedrà molti degli eletti tornare a casa e quindi interessati a garantirsi un’ipotetica rielezione.
Identica strategia di quel mondo centrista che potrebbe riportare alla luce e in maggiore evidenza il popolo di ex e scappati di casa che come in un vecchio film si riposizionerebbero in uno scenario che anche con l’ingresso di nuove forze è rimasto tristemente immutato e ancorato a vecchie logiche.
In una democrazia compiuta la destra conservatrice dovrebbe riscoprire e perseguire valori propri nel rispetto della Costituzione, bandendo una volta per tutte e senza ambiguità connessioni estranee ai valori democratici. E non saranno di certo le coalizioni di comodo a ridare credibilità a quelle forze cui al loro interno continuano a convivere aberranti principi e riferimenti a figure del tragico passato. E, sia chiaro, non riguarda la sola componente di Giorgia Meloni.