Rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola: sono questi i colori che hanno vivacizzato molte delle piazze di Italia e del mondo lo scorso weekend. Un’unica bandiera policroma che ha avvolto strade e persone in un canto polifonico all’insegna dell’amore e della libertà di amare, ancora oggi negati con insistenza, levatosi a gran voce per squarciare il silenzio della società contemporanea, ostinatamente impegnata a rimandare la discussione sui diritti omosessuali.
Giugno, si sa, è il mese dedicato al Pride, la storica parata che nel riverbero dei Moti di Stonewall riunisce la comunità Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender, e i suoi sostenitori, per rivendicare, anche grazie all’istituzione della Giornata Mondiale dell’Orgoglio LGBT che si celebra in data 28, il proprio riconoscimento in ambito legislativo e non solo. Un’occasione talvolta provocatoria che mira a scuotere le coscienze, nella speranza di un anno zero che per le unioni arcobaleno sembra non giungere mai. È per questo, dunque, che da Pompei a Milano, passando per New York, in migliaia si sono riversati per le strade delle loro città, reclamando la “normalità” di una “diversità” che tanto sembra spaventare chi a essa si oppone in nome di una religione che si fa scudo e discriminante, talvolta persino ridicolaggine. Basti pensare alla scena da film comico – o di paura – che ha visto protagonista la celebre cittadina ai piedi del Vesuvio dove un gruppo di sedicenti fedeli ha pensato bene, come in un atto di esorcismo, di recitare le proprie preghiere, dinanzi al Santuario (che si voleva escluso dal percorso perché ritenuto un gesto di sfida), al passaggio dei manifestanti. Meno ridicolo ma ancora più grave, invece, l’attacco al corteo con il lancio di proiettili di plastica sui partecipanti da parte delle forze dell’ordine turche che a Istanbul hanno impedito alla folla di radunarsi dopo il divieto al Pride imposto dal sempre democratico Erdogan.
Come se non bastasse, mentre nelle piazze si reclamavano libertà di essere e di amore, nelle stesse ore, Giorgio Zinno, il Sindaco di San Giorgio a Cremano, città natale di Massimo Troisi, riceveva una lettera intimidatoria, con tanto di pallottole, per il suo orientamento sessuale (Zinno è unito civilmente al suo compagno), a quanto pare indigesto a qualcuno. Non a caso, domenica, dal palco di Pontida, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini – a dimostrazione di quanto voglia prodigarsi per gli italiani (tutti?) – dichiarava, facendo eco al suo compare Ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana, che finché avrà vita si batterà al fine di garantire che i bambini abbiano una mamma e un papà («Farò tutto quello che è legalmente, umanamente e civilmente possibile fare perché la mamma continui a chiamarsi mamma e il papà continui a chiamarsi papà»). Quando si dice il tempismo, insomma. A ribadire la linea dell’attuale esecutivo, tuttavia, dalla stessa carnevalesca manifestazione padana, anche il leghista Gian Marco Centinaio, nuovo Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali della Repubblica Italiana, che in un’affermazione tanto discutibile quanto ignorante ha ribadito: «Diritti civili? Non sono un tema nel contratto di governo». Mancanza di conoscenza o ammissione di colpevolezza?
Con l’espressione diritti civili, infatti, si indicano tutti i diritti di cui gode – o deve godere – ogni cittadino di uno Stato in quanto tale. Quei diritti da definire, secondo ordinamento giuridico, come fondamentali, irrinunciabili e inviolabili (no, il contratto di governo non può sopprimerli), e che assicurano al soggetto la possibilità di realizzare pienamente se stesso. Tra questi, la libertà di parola, di pensiero, di espressione, di associazione, di stampa, di voto e, quindi, anche di costituire famiglia con chi più si desidera. Ministro, sicuro di non volerne discutere?
Per fortuna, in risposta a queste becere dichiarazioni, è giunta quella del Sindaco del capoluogo lombardo Beppe Sala che, dinanzi ai 250mila del Pride, ha affermato con convinzione: «I colori arcobaleno sono i colori di Milano, vi difenderemo». Più deciso e polemico, invece, il Sottosegretario Vincenzo Spadafora (M5S) in quel di Pompei: «Sono qui per testimoniare il mio sostegno e quello del governo. So che in una parte dell’esecutivo non c’è la stessa sensibilità ma l’Italia non tornerà indietro, non si perderanno i diritti conquistati. […] Nel contratto di governo non ci sono questioni riguardanti il mondo LGBT, ma convocherò prestissimo le associazioni di settore per avviare un percorso di ascolto e confronto». Pronta e scontata, ovviamente, la replica di Fontana e colleghi: «Con tutto il rispetto, il Sottosegretario Spadafora parla a titolo personale, e non a nome del governo, né tantomeno della Lega. Per quanto ci riguarda, la famiglia che riconosciamo e sosterremo, anche economicamente, è quella sancita e tutelata dalla Costituzione». «Sarebbe meglio si dedicasse ad altro, viste le posizioni già assunte in passato e ora con l’adesione al Pompei Pride, che non è semplicemente quella festa spesso sguaiata, talora oscena, che appare, ma ha un ampio e dettagliato manifesto politico, che include la richiesta dell’indottrinamento dei bambini a scuola in materia di omosessualità e le adozioni gay», ha commentato Lucio Malan, vice capogruppo vicario di Forza Italia al Senato, prendendosela con l’intero MoVimento pentastellato: «Tutto coerente con la linea sempre tenuta dal M5s in Parlamento, ma è inquietante che questo ora sia sostenuto dall’esponente di Palazzo Chigi che ha l’incarico di occuparsi di queste cose». Davvero?
Intanto, è notizia di ieri che a Milano aprirà, per volontà del Sindaco Sala e dell’Assessore alle Politiche Sociali del Comune, Pierfrancesco Majorino, una casa rifugio per ragazzi e ragazze omosessuali, rifiutati dalle famiglie o vittime di forme di discriminazione. Un’idea pensata per aiutare questi giovani a superare l’isolamento e a inserirsi nei contesti più disparati. Promotori del progetto, la cooperativa Lotta contro l’emarginazione e l’associazione Cig Arcigay Milano. Lo stabile scelto sorge in via Sommacampagna e potrà ospitare fino a cinque persone. Un piccolo numero, certo, ma sicuramente un primo grande passo a sostegno di chi ne ha più bisogno in una fase delicatissima della crescita e dell’accettazione di sé, nella speranza che anche altri comuni e comunità possano voler emulare l’iniziativa. Un augurio che, nonostante la nostra buona fede, non può comunque non metterci tristezza. Quando si potrà vivere tutti alla luce del sole?