Julia Margaret Cameron fu una precoce protagonista del mondo della fotografia che stava diventando sempre più un mezzo di espressione dell’arte, attraverso soprattutto una nuova tendenza della sua epoca: il pictorialism.
Nata nei pressi di Calcutta, a Garden Reach, l’11 giugno 1815, trascorse in India la maggior parte della sua infanzia, ma poi fu mandata a Parigi e a Londra per seguire quelli che erano considerati allora gli studi per l’educazione di una ragazza della buona società britannica. Nel 1838 tornò in patria dove sposò Charles Hay Cameron e dieci anni dopo abbandonò il Paese per stabilirsi nel capoluogo inglese. Qui iniziò a frequentare il salotto dei coniugi Prinsep che riunivano spesso altri intellettuali molto in vista, tra cui il pittore vittoriano George Frederick Watts. Questi fu un vero e proprio maestro d’arte per Julia, la quale fu molto influenzata dalla sua ideologia che prendeva vita attraverso quadri allegorici e simbolisti e che caratterizzavano soprattutto l’opera dei preraffaelliti.
Nel 1859 Cameron e la sua famiglia si trasferirono sull’isola di Wight ma, nonostante l’affetto dei figli e degli amici, negli anni successivi la donna entrò in una profonda depressione. Per aiutarla a superare quel momento difficile, nel 1863, le venne regalata un’attrezzatura per la fotografia che, da allora, la coinvolse in una passione così grande che il mezzo fotografico non fu mai più accantonato. Si trattò di un grande formato, per lastre 20×25, mentre la tecnica usata fu quella del collodio, con carte all’albumina e cloruro d’argento. Le immagini, invece, furono sviluppate in un laboratorio allestito nel pollaio della sua casa chiamato Glass House.
L’approccio di Julia alla fotografia fu differente: aveva, infatti, una tenace spregiudicatezza e una totale indifferenza verso gli stereotipi di quella professionale. Cameron si dedicò al ritratto, ma con occhio artistico e sottolineando la psicologia del soggetto ripreso, sempre immortalato in primissimo piano. Una vicinanza molto singolare, che la contraddistinse dai suoi contemporanei, ottenendo risultati trasgressivi soprattutto nell’accettazione di un’immagine molto “mossa” e “sfocata”.
La fotografa espose una serie di sue istantanee a Londra, nel 1865, soltanto due anni dopo aver iniziato a scattare; una mostra che però non ebbe molto successo. Nonostante ciò, fu invitata a far parte della Photographic Society della capitale inglese dove ebbe modo di avere per “modelli” i più famosi personaggi del tempo come Darwin, Carlyle ed Herschel. Già nel 1867, inoltre, iniziò a utilizzare anche un apparecchio di maggiori dimensioni, per lastre 30×38, e adoperò formati più piccoli quali il 15×18.
Attraverso la fotografia, Julia denunciò il suo trasporto ideologico, una religiosità profana, quasi sensuale a volte e, allo stesso tempo, un forte entusiasmo per l’avanguardia artistica dei preraffaelliti e il loro ambiguo moralismo.
Nel 1875 tornò in India, a Ceylon, e qui continuò a immortalare, dedicandosi a scene di genere e a ritratti. Morì il 26 gennaio 1879, lasciando un diario dedicato alla fotografia chiamato Annals of My Glass House, che iniziò a scrivere nel 1874, poi edito a Londra nel 1889.