Conclusa la presa in giro a danno del sempre più disorientato Segretario del Partito Democratico, Carlo Calenda, convinto di dover sopportare il peso del mondo intero sulle proprie spalle, tesse l’ultimo pezzo della tela, certo di riscuotere una marea di consensi per un’operazione che ingenui dell’informazione ritenevano impossibile: stringere un patto con chi gli è più simile, con chi regge l’altra parte di mondo, colui che siede al fianco di Macron nel Renew Europe: Matteo Renzi. Una gran bella lotta tra due prime donne, sempre che Calenda non stracci anche quest’ultimo accordo, bluffando il leader di Italia Viva.
Un patto alquanto sbilanciato, il loro, che, stando ai sondaggi delle rispettive forze politiche, suscita più di qualche dubbio. Un’accoppiata fatta di odio e amore, con caratteristiche comuni in quanto a posizioni ambigue, arroganza, opportunismo e spregiudicatezza, e un accordo elettorale di convenienza reciproca dal futuro più che incerto.
«Sinistra o destra? No, io risolvo problemi», ha dichiarato Calenda nel corso di una recente intervista. Un’affermazione che la dice lunga sul suo pensiero politico, più simile a quello pentastellato che a quello di un Renzi che – almeno per decenza, in linea del tutto teorica – salva la faccia rifiutando possibili alleanze future con la destra dell’ex Cavaliere.
Intanto, Silvio Berlusconi, oltre a chiedere al Presidente Mattarella di farsi da parte, a distanza di appena una settimana dall’aver desiderato di fargli da vice, assicura gli italiani di essere al lavoro per risolvere i loro problemi. Ma, al di là di Palazzo Chigi, la vera carta che la destra, almeno quella ufficiale, sembra volersi giocare è lo stravolgimento della Costituzione per il presidenzialismo. E la Meloni intende apporre la propria firma per dare un chiaro segnale al suo elettorato tradizionale, quello che non avrebbe mai perdonato l’esclusione della fiamma dal simbolo come auspicato da un Letta troppo impegnato a guardare in casa altrui, anziché nella propria, e magari facendo più di un pensierino per rassegnare le dovute dimissioni.
Una campagna elettorale infelice, tra le più drammatiche nella storia della Repubblica che, unitamente alla guerra in corso in Ucraina, costituiscono due emergenze di cui dobbiamo registrare purtroppo una risposta di rassegnazione e una doppia resa. Così Raniero La Valle in un suo post: La prima nei confronti di questa guerra, che viene identificata con la “fine della pace” e il ritorno a un mondo diviso da un conflitto permanente tra il blocco occidentale e quello opposto. La seconda rassegnazione è quella all’incubo di una vittoria elettorale della Destra, che darebbe l’Italia alla Meloni, la “mujer” che non giudica il fascismo ma, imparziale, lo “consegna alla storia”. Di più, obbedendo ai sondaggi e miracolando la Destra, l’ingegnosa legge elettorale vigente riporterebbe al Ministero degli Interni Salvini, che chiuderebbe in faccia ai naufraghi il chiavistello dei porti e, con appositi accordi, sulle orme di Minniti, provvederebbe a far loro riaprire le porte delle carceri e dei lager libici. Per non dire della festosa ascesa di Berlusconi alla presidenza del Senato, e magari al Quirinale. Qui la resa consiste nel considerare questi risultati come già acquisiti, abbandonandosi alla sindrome della sconfitta, e cercando di salvare il salvabile o almeno se stessi, “perdendo con onore”.
Chi invece non si è mai abbandonato alla sindrome della sconfitta, come la definisce La Valle, è quella parte di sinistra dalla quale hanno preso man mano le distanze ambigui personaggi che hanno favorito governi, ammucchiate e adesioni ad agende e programmi draghiani utili soltanto a difendere posizioni di potere personale in puro stile dimaiano.
In queste ore, proprio quella parte di sinistra è impegnata in tutto il Paese in una raccolta firme per poter partecipare alla competizione elettorale senza ricorrere a sotterfugi e apparentamenti di convenienza, presentandosi all’elettorato con un programma e, si auspica, con candidati credibili. Una corsa contro il tempo per raccogliere circa 40mila sottoscrizioni per la Camera e circa 20mila per il Senato, senza la possibilità di utilizzare le firme elettroniche come avviene per i referendum.
Il progetto Unione Popolare con Luigi de Magistris si prefigge pochi ma importanti obiettivi tra i quali la costruzione di relazioni internazionali di pace, lo stop alle spese militari e all’invio di armi, il salario minimo di almeno 10 euro, l’estensione del diritto di cittadinanza, il contrasto al lavoro nero e precario, l’abolizione del Jobs Act, una reale transizione ecologica attraverso un massiccio finanziamento delle rinnovabili e della messa in sicurezza idrogeologica, lo stop al consumo di suolo e alle grandi opere inutili come il TAV, la tutela dei beni comuni a partire dall’acqua pubblica e dei servizi essenziali (scuola e sanità pubbliche).
In un clima di giochi perversi, di apparentamenti di breve durata, di convenienze per poter aggirare cavilli di una pessima legge elettorale, una prova di sana democrazia va sempre apprezzata e saranno i cittadini, anche se distratti nel pieno delle meritate vacanze, a valutare e giudicare comportamenti, programmi e credibilità dei candidati.
Le urne saranno anche banco di prova per il partito dell’astensione, per vedere se perderà consensi o continuerà a crescere, ampliando la distanza con la classe politica che purtroppo, senza pudore, si ripropone al giudizio degli elettori dopo aver ampiamente dimostrato la propria incapacità di costruire una società libera per una democrazia realmente compiuta nel rispetto delle diversità, inclusiva, disponibile ai cambiamenti e all’altezza dei tempi.
Questa legge elettorale è una boiata. Non so se Unione popolare riuscirà a raccogliere le firme e soprattutto a superare il 3%, certo è che poteva fare un’alleanza con Verdi e Sinistra che hanno programmi molto simili e con le percentuali che potevano ottenere, avrebbero garantito una presenza in parlamento seria e qualificata. Non dite che siccome stanno con il PD non vanno presi in considerazione. Il PD è alleato elettorale ma Verdi e Sinistra Italiana hanno una loro autonomia politica innegabile: sono stati all’opposizione del governo Draghi e hanno un programma diverso da quello del PD.