Va in scena la crudeltà dell’animo umano nell’ultimo romanzo di Herbert Lieberman, Caccia alle ombre, in tutta la sua violenza, in ogni sua singola sfaccettatura, anche la più nascosta. È il dramma dell’uomo comune, che si tratti di un poliziotto o un killer seriale, un’intricata matassa di pensieri raccapriccianti di cui ognuno, a suo modo, è capace.
Già, perché Frank Mooney, detective newyorkese – noto agli appassionati del genere e della serie come il protagonista del romanzo Il fiore della notte –, per risolvere questo che sarà il caso più complesso della sua carriera ormai prossima alla pensione, dovrà calarsi nella mente di un assassino dai modi brutali provando a seguire le tracce dei suoi ragionamenti, un uomo (o forse due) che violenta e strazia le donne vittime della propria follia.
Con Caccia alle ombre, minimum fax completa la trilogia crime dell’autore statunitense, un vero e proprio maestro del genere, un fine studioso dei comportamenti più nascosti dell’uomo che, in questo testo, offre spazio ai cattivi, a coloro che la società relega ai margini, lo fa – in linea con i volumi precedenti – senza giudicare o schierarsi, offrendo uno sguardo nitido (e lugubre) delle vicende che decide di rappresentare.
In una città di New York ben lontana dalle luci scintillanti della bella Manhattan, tra i sobborghi e le strade più buie della Grande Mela, il primo attore, il tenente Frank Mooney, si troverà a fare i conti con un enigma complesso, una serie di efferati omicidi che la stampa attribuisce all’Ombra danzante. Mooney seguirà le tracce di uno stupratore e omicida seriale che firma con disegni osceni e una serie di numeri i delitti a lui attribuiti. Ad affiancarlo, tornerà anche Paul Konig, l’anatomopatologo – protagonista del primo libro della trilogia, Città di morti – che, come il protagonista, indagherà sulla possibilità che gli assassini da assicurare alla giustizia siano due, con un emulo, dunque, a complicare le indagini.
Lieberman non ha dubbi: è nell’oscurità che ognuno può scoprirsi capace di qualsiasi efferatezza. Per tale motivo, la prima scena di Caccia alle ombre prende forma in un condotto fognario, rappresentazione di un mondo complesso che si rincorre tra sottrazione e rivelazioni, tra buio e luce, tra discese all’oblio e continuo risorgere. Il tutto, nel dominio del caos, della fretta, la stessa che Frank Mooney sente bussare alla porta della sua lunga carriera, con il più giovane sostituto sull’uscio, pronto a subentrare qualora il tenente non si dimostrasse in grado di offrire alle istituzioni e ai giornali il colpevole.
Sono questi i motivi che spingono l’autore a ribaltare le consuetudini proprie di ogni animo umano, di metterne a nudo la fragilità, con i sentimenti della mente criminale che si appropriano della natura di chi rincorre la soluzione, dimostrazione che l’istinto alla sopravvivenza è capace di mutare la mente – e l’agire – di qualunque personalità.
Non è la classica opposizione bene-male a farsi spazio in Caccia alle ombre, ma quanto l’uno è capace di convergere e influenzare l’altro elemento. Lieberman affronta il tema della privazione, del passato che, ciclicamente, torna a influenzare o, come in questo caso, tormentare il presente e il futuro delle sue vittime.
L’autore dimostra, inoltre, di intendere il genere crime come la – quanto mai attuale – spettacolarizzazione dell’orrore, compreso il fascino che genera in chi si imbatte in qualunque immagine o scena dai contorni raccapriccianti, un aspetto – anche questo – che sottolinea con forza la natura nascosta e malfida dell’uomo.
Oltre 500 pagine che tengono il lettore legato al dipanarsi della vicenda, stravolto dal senso di tensione e angoscia che si accompagna a ogni riflessione non solo sul caso su cui indaga Frank Mooney, ma su tutti gli aspetti più oscuri della vita di ognuno, sviscerati da Lieberman con sguardo crudele e, dunque, imparziale. Caccia alle ombre è capace di incollare alla pagina anche i meno avvezzi al genere thriller, con una straordinaria caratterizzazione dei personaggi e un ritmo della narrazione che nulla ha a che fare con i pallidi gialli di casa nostra.
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